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25 febbraio 2020 2 25 /02 /febbraio /2020 22:48

 

 

 

 

 

A metà degli anni novanta nei dintorni dell’aeroporto Catullo di Verona nei campi di Sommacampagna è caduto un aereo in fase di decollo. Era un Antonov carico di passeggeri con interessi in Romania. Si trova tutto su Wikypedia, come dice l’autore, ma la vicenda processuale per individuare cause e responsabilità si è protratta nel tempo approdando nel 2003 ad una sentenza penale che ha condannato il direttore dell’aeroporto con altri collaboratori. A contrario sul piano civile non si è mai giunti alla soluzione del contenzioso risarcitorio. Che è ancora in corso. La vicenda che fa da sfondo al romanzo è quindi reale, anche se ormai dimenticata, e fornisce una contestualizzazione precisa.

A tal proposito l’autore, Andrea Pavan, aggiunge alla fine del libro una breve appendice ove narra l’incontro con Francesco Zerbinati presidente dell’associazione dei familiari delle vittime. E conclude: “Non è l’inchiesta che mi interessa, in realtà, ma solo ricordare una tragedia spinta a forza ai margini della storia”.

Io trovo positivo e meritorio l’inserimento di quella tragedia nella trama del libro perché ripropone alla opinione pubblica un fatto grave, ingiustamente, anzi colpevolmente, accantonato dai media. In proposito un recente libro-inchiesta, condotta dal giornalista Gianni Favero, chiarisce che si trattava all’epoca (ventiquattro anni fa) del secondo incidente aereo per gravità dopo Ustica. Ma esso venne sottaciuto per non danneggiare l’immagine dell’aeroporto. Un aeroporto che a sua volta apparteneva agli stessi proprietari dei media.

 

Ma veniamo al racconto. I personaggi del libro non sono tratti dal fatto di cronaca, tranne un rumeno di fantasia, che ha un ruolo chiave nella vicenda. Egli viene collocato tra i deceduti e la sua morte fornisce una chiave risolutiva a tutto l’intrigo.

Il motivo conduttore è il tentativo di furto in un supermercato contestuale alla catastrofe aerea. Un colpo rocambolesco che si intreccia casualmente con un’altra azione degna dei migliori ladri di Pisa, ovvero quelli che derubavano gli altri ladri. Molti altri temi però concorrono a dare contenuto alla narrazione, in particolare quelli di taglio psicologico. E sono a mio avviso quelli che da soli non avrebbero retto l’attenzione del lettore, mentre contestualizzati sullo scenario dell’incidente diventano accattivanti. Il tema della famiglia, con i complicati intrecci delle moderne parentele allargate, le adozioni, gli abbandoni ecc. costituisce poi il secondo motivo d’ispirazione. Infine abbiamo la delocalizzazione e il lavoro nero con annessa criminalità economica. Ma è l’idea del parapendio che mette insieme molte cose della storia e dà un tocco di originalità all’aspetto giallesco. 

 

Direi quindi che Ogni futuro è già trascorso è un romanzo che si distingue.

La prosa solida, nutrita e corretta si sposa con un impianto narrativo evoluto e un intreccio complesso ma accattivante. Non è facile districarsi, specie all’inizio, tra le vicende e i personaggi che vengono presentati. All’inizio la narrazione scorre in modo ingarbugliato e apparentemente sconnesso; ma tutto si ricompone magistralmente nella seconda parte e si distende nel finale. Non è un giallo, soprattutto non è un noir con sesso e violenza e non è un’inchiesta romanzata come potrebbe sembrare.

Il passo della lettura è impegnativo ma piacevole. E’ riflessivo. L’andamento non può essere superficiale, richiede concentrazione. Tuttavia è coinvolgente ed arricchito da piccole spezie e metafore che danno un sapore sia ilare che malinconico quando meno te l’aspetti. Complimenti, me ne sono segnate alcune:

Osservava sfilare le luci di quel Nordest che era diventato la sua prigione di malinconia

Marco aveva deciso di lasciarsi trascinare in quella pazzia perché la vedeva come una buona occasione per dare battaglia ad un sistema sbagliato.”

Cacciò un pugno sul clacson che proruppe in una strombettata da ultimo dell’anno” (pg 90)

Aveva parlato d’impulso come se uno tra le centinaia di pensieri che gli orbitavano nel cervello gli fosse precipitato per errore fino alle labbra”. (pg. 97)

Camilla si era rannicchiata sul sedile, le ginocchia incastrate tra le braccia come un bambino rinchiuso nella casa sull’albero dopo che il cane dei vicini ha invaso il giardino” (pg.149)

 

L’espressione “ogni futuro è già trascorso” che fornisce il titolo al libro, si trova a pagina 88 come conclusione di un discorso attribuito a Carmelo Bene durante una intervista di Maurizio Costanzo. Intervista trasmessa nella stessa sera in cui uno dei protagonisti viene reclutato per fare il colpo. Ognuno dei protagonisti ha dei conti da regolare con un passato che non conosce e il concetto espresso nel titolo costituisce una chiave anche per cogliere il metodo di progressione temporale della storia narrata.

 

 

L’autore ringrazia, tra altri, tale Luca, che suppongo sia Luca Valente il quale in un suo bel romanzo usa un simile schema di progressione.

 

Narrativa locale, buona lettura.

 

 

 

 

 

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