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11 settembre 2020 5 11 /09 /settembre /2020 09:50

 

 

Nell’estate 1956 io avevo cinque anni. Mio padre e mia madre vivevano sani e felici in una Valdagno che festeggiava il raggiungimento del titolo di città, il monumento a Marzotto e le speranze legate all’avvio del miracolo economico. In realtà due anni prima c’erano stati 138 licenziamenti per esubero di personale.

A Recoaro invece le stagioni turistiche termali erano in auge e richiamavano gente da tutta Italia. Si organizzavano frequentemente gite in pullman fino all’Ossario del Pasubio per mostrare la bellezza delle Piccole Dolomiti e tra queste, quella di Sabato 11 settembre 1956, che si concluse col pullman nell’abisso.

Il fatto

Alle 15:45 in località Boal de la Bante il vecchio pullman rosso tipo Leoncino a suo tempo collaudato per 23 passeggeri, ne trasporta 27 verso l’Ossario del Pasubio ma durante una sosta precipitò nella scarpata per 135 metri causando 15 morti e vari feriti nei cinque successivi, drammatici colpi d’impatto della caduta.

Il giovane autista Giuseppe Girotto verrà condannato il 20 Luglio 1957 a cinque anni e 4 mesi, confermati in appello, con l’accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime. Il risarcimento dei danni ammontava a 14 milioni di lire e fu a carico dell’autista nonchè della ditta di autotrasporti. Venne invece assolta l’Azienda Turistica che aveva organizzato la gita, facendo regolarmente pagare 700 lire al biglietto.

Cause e dinamica dell’incidente.

Piovviginava e l’autista accostò per tergere l’appannamento del cristallo. Non riuscendo completamente a farlo dall’interno ed essendogli caduto il panno egli scese per recuperarlo ma non riuscì più a salire perché nel frattempo il movimento indietreggiante del pullman aveva innescato il panico tra passeggeri che ostruivano l’unica portiera.

Le perizie dimostrarono che il pullman, un po’ vecchiotto ma con 85.000 Km, oltreché essere sovraccarico aveva il freno a mano inefficiente, le gomme consunte all’80% e il tergicristallo rotto. Il conducente sostenne di aver spento il motore e innestato la retromarcia nonché girato le ruote a monte, ma la perizia smentì questa ricostruzione trovando innestata la terza marcia e giunse alla conclusione che concomitanza di marcia alta, freno difettoso e forte pendenza (13%) causarono la messa in movimento del pullman. Il mezzo cadde all’indietro abbattendo anche un muretto stradale e con l’autista aggrappato alla portiera col piede sul predellino.

Il mistero del cambio

La tesi difensiva dell’autista, che era figlio del capo dei vigili urbani della città di Valdagno, era di aver rispettato tutte le misure di sicurezza del caso compreso l’innesto della retromarcia a motore spento e che l’asta del cambio a suo dire era stata spinta in folle durante il trambusto delle persone accalcate nel tentativo di scendere. Ma la perizia accertò che durante la caduta la marcia innestata era la terza e che non sarebbe risultato possibile lo sblocco della marcia senza l’uso della frizione per l’esistenza di un dispositivo apposito montato in serie. La questione del cambio non fu mai chiarita e alcune testimonianze avvallarono in parte la tesi del Girotto secondo la quale qualcuno dei passeggeri era intervenuto sul posto di guida.

 

I soccorsi

La comitiva non era composta solo dalle 27 persone sul pullman, c’erano anche altri passeggeri in due taxi che seguivano. Constatata la tragedia uno di questi si recò a dare l’allarme presso il custode dell’ossario il quale chiamò i carabinieri che furono i primi a raggiungere il luogo. Le vittime furono soccorse dalle autoambulanze dell’epoca con l’aiuto del soccorso alpino e furono trasportate anche all’ospedale di Valdagno durante le varie ore del pomeriggio. Tra i soccorritori Gino Soldà che collaborò al trasporto manuale dei feriti uno dopo l’altro a partire dai più gravi. Per ultime le salme fino a dopo il tramonto e nel giorno successivo, distribuite lungo tutto il percorso della caduta, anche in cima agli alberi.

L’autista non si trovava perché si era dato alla fuga e le ricerche furono inutili. Egli si costituì alle forze dell’ordine due giorni dopo dichiarando di aver vagato per boschi e malghe come un fantasma.

Il primo bilancio comunicato alla stampa fu di nove morti, ma presto giunsero a 14. Tra di essi una coppia di sposi in viaggio di nozze trovati abbracciati tra le lamiere accartocciate. Infine l’anziana marosticense Caterina Minuzzi che, seduta accanto al posto di guida era stata la prima a scendere dal pullman, morì successivamente presso il nosocomio di Valdagno e fu enumerata tra le vittime portando il totale a 15.

Una bambina veronese di nome Asia si salvò, ma perdendo i genitori.

 

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Tratto da Giro di Nera di Alberto Belloni

 

 

 

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