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22 febbraio 2021 1 22 /02 /febbraio /2021 10:17

 

 

Il centenario della scissione di Livorno che portò alla nascita del Partito Comunista d’Italia è stato trattato con una insolita reverenza. Il mainstream ne ha parlato con un certo risalto in quanto nascita del PCI ovvero una delle principali forze costitutive della Repubblica e della Costituzione. Era un tributo doveroso e le incrostazioni della GUERRA FREDDA hanno pesato meno del solito. 

 

 

Ci sono state commemorazioni in Italia, alcune come quella di Livorno caratterizzate da contestazioni tra comunisti. Evidentemente c’è ancora chi si sente un comunista puro tradito dai collaborazionisti del neoliberismo e inneggia a Pietro Secchia. O forse c’è chi rimpiange la gioventù militante sessantottina. Tuttavia sarebbe stato più utile riflettere su quel momento storico, sugli effetti del biennio rosso e sul mito rivoluzionario.

Io ho avuto un padre e un nonno socialisti, cosa questa non molto comune a Valdagno dove nell'ottobre del 1921 davanti alla portineria della fabbrica ci fu un grave attentato contro Vittorio Emanuele  Marzotto, e pertanto ho pensato con ammirazione alle loro scelte. Ho quindi tirato fuori dalla mia disordinata biblioteca la STORIA DEL PCI, di Giorgio Galli Bompiani 1976 e ho steso questi appunti.

G. Galli

Il termine Comunismo lo ha rilanciato Lenin nel suo scritto “Progetto di piattaforma del partito del proletariato” dell’aprile 1914. In quell’anno inizia WW1 ovvero quel processo che, nell’analisi marxista dell’epoca, è il conflitto imperialistico. Col termine imperialismo si intende definire la nuova fase di riorganizzazione del capitalismo, una fase che, scrive Lenin, sfocia nella guerra conducendo l’umanità intera sull’orlo del baratro. Lenin vede l’inizio del conflitto imperialistico come una esplosione delle contraddizioni interne a sistema capitalistico e al tempo stesso come la dimostrazione dell’insufficienza del movimento operaio a fronteggiare la catastrofe nonostante essa fosse stata prevista e preannunciata dalla II Internazionale nel congresso di Basilea del 1912. In pratica i partiti socialdemocratici invece di mobilitare il proletariato contro la guerra avevano finito per avvallarla. E pertanto il 4 Agosto del 1914 segna la fine del vecchio modello di organizzazione del movimento operaio e l’occasione per una nuova fase, quella che culminerà nella rivoluzione russa del 1917. Ecco, questa è la fase comunista della storia; una fase nella quale si vede il proletariato contrapporsi all’imperialismo inteso come fase suprema, cioè definitiva, del capitalismo attraverso una nuova organizzazione capace di portarlo al potere.

 

In Italia alla fine della guerra, dopo un anno e mezzo di pesanti dispute tra correnti di pensiero  interne e l’arresto del vice segretario Bombacci prima e quello di Serrati poi con l’accusa di “tradimento indiretto” commesso durante la rivolta di Torino, la direzione centrale del Partito socialista dichiara “giunto il momento storico della realizzazione internazionale del socialismo” e diffonde un ordine del giorno nel quale il Partito si dichiara “pronto per un’azione immediata” a raccogliere le rivendicazioni rivoluzionarie indicando come proprio obiettivo “L’istituzione della repubblica socialista e la dittatura del proletariato” (documenti del 7 e dell’11 Dicembre 1918). Tale linea si basa sulla persuasione che la guerra abbia diffuso nella mente del proletariato la consapevolezza di “che cosa sia l’assetto economico borghese basato sulla proprietà privata”. In effetti le masse che tornavano distrutte dal fronte aspiravano ad un radicale mutamento; un sentimento che si traduceva anche in adesione alle organizzazioni di massa: la CGL triplicherà gli aderenti rispetto all’anteguerra raggiungendo il milione di iscritti, il Partito Socialista passerà da 50.000 a 87.000 iscritti e nelle elezioni politiche del Novembre 1919 le liste socialiste vinceranno raggiungendo il 32,3% con l’elezione di 156 deputati al Parlamento. Le cronache del 1919 riportano un bilancio dell’anno di 1.663 scioperi in agricoltura e 208 nell’industria. In Emilia e in Toscana i contadini di ritorno dalle trincee occupano le terre che la propaganda aveva loro promesso durante la guerra e gli operai fermano le lancette degli orologi, occupano le fabbriche e ottengono (nel settore metallurgico) le otto ore di lavoro giornaliero. Si diffondono le cooperative e nascono i consigli di fabbrica.

Nelle piazze e nelle fabbriche, anche di Schio e di Valdagno si cantava “e noi faremo come la Russia, chi non lavora non mangerà!” E ancora: “se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorar e proverete la differenza tra lavorare e comandar!”.

Lo stato italiano appariva inoltre debole, screditato e inefficiente anche nel consesso internazionale ove si trattavano le condizioni della pace e ciò nonostante il fatto che l’Italia risultasse tra i vincitori della guerra con centinaia di migliaia di morti per la conquista di due provincie che stentavano ad essergli riconosciute. E’ il periodo caratterizzato dai gesti di Dannunzio contro la “Vittoria mutilata” e il decollo dello squadrismo fascista.

 

Il 2 Marzo 1919 viene fondata a Mosca la III Internazionale. E’ quella di Lenin e nasce come partito mondiale del comunismo. La linea politica si caratterizza per la intransigenza nei confronti del colonialismo mentre la prassi organizzativa si caratterizza per un forte accentramento russofilo e una marcata tendenza alla bolscevizzazione degli altri partiti.

In Italia il 1 Maggio parte il biennio rosso. Gramsci, Tasca, Terracini e Togliatti fondano Ordine Nuovo e progressivamente durante le lotte che seguono si sintonizzano con l’area del napoletano Bordiga.

Il fallimento, in senso rivoluzionario, delle forti lotte del 1920 con l’occupazione delle fabbriche nel nord e occupazioni di terre al sud, ingenera nella sinistra la convinzione che con il Partito Socialista la rivoluzione non sarebbe mai stata fatta nonostante i proclami dei massimalisti e pertanto il secondo congresso della III Internazionale, esaminata tra le altre la situazione dell’Italia, raccomanda un congresso straordinario e approva un documento con 21 condizioni da rispettare. Tre di esse sono decisive: cambio del nome, espulsione dei gradualisti (compresi i dirigenti riformisti della CGL) e obbedienza a Mosca. Sono le condizioni che Serrati, pur confermando l’appartenenza all’Internazionale, non accettava e in particolare vedeva con estrema preoccupazione i rischi di una rottura con la Confederazione del lavoro perché essa raccoglieva la gran massa del proletariato organizzato. Pertanto si arriva al Congresso con tre posizioni già formalizzate: la sinistra di Bordiga e Gramsci, che chiede l’applicazione secca delle condizioni moscovite, la maggioritaria di Serrati che si riserva margini di autonomia da Mosca e rifiuta sia il cambio del nome che l’espulsione dell’ala riformista e la destra di Turati che ribadisce la prospettiva gradualista.

A Livorno Terracini parlerà per la frazione comunista dando atto dei meriti del partito socialista (mutue, cooperative ecc.) ma rimproverandogli di “non aver mai creato né tracciato un decisivo programma d’azione” quando invece “il partito di classe non è quello che fa avvenire secondo la sua convenienza i fatti della vita di un Paese, ma è quello che non si lascia mai sorpassare dai fatti”. Terracini sostiene che ora dopo la guerra il proletariato italiano si trova all’improvviso di fronte al problema concreto della presa del potere ma si ritrova senza lo strumento adatto a causa di tale mancanza di elaborazione e pertanto occorre creare il partito di classe del proletariato.

Alle votazioni, che avvennero nella mattinata del 21 Gennaio 1921 il centro massimalista ottenne più di novant’ottomila voti, la frazione comunista cinquant’ottomila e i gradualisti poco meno di quindicimila (si tratta di voti espressi dai delegati in rappresentanza degli iscritti). Dopo la proclamazione i comunisti uscirono dal Teatro Goldoni, sotto la pioggia, e si recarono al San Marco dove sotto la direzione di Bordiga venne approvato l’ordine del giorno approvato da Fortichiari che dichiarava costituito il Partito Comunista d’Italia sezione della Internazionale Comunista.

Tutto questo avveniva nella totale sottovalutazione, soprattutto da parte di Bordiga, dei rischi di involuzione autoritaria controrivoluzionaria che si concretizzeranno nel quinquennio successivo fino agli arresti e al confino. Il movimento dei fasci creato dall’ex socialista Benito Mussolini praticando la violenza contro gli oppositori (botte, incendi delle Camere del Lavoro e purghe con l’olio di ricino) raggiungeva infatti il suo apice sotto gli occhi distratti sia dei socialisti che dei comunisti fino ad ottenere nell’Ottobre del 1922 l’incarico dal Re di formare il governo.

 

La rivoluzione secondo il modello bolscevico non avverrà mai, ma il Partito Comunista italiano sarà però destinato ad avere un ruolo di grande protagonismo due decenni dopo nella Resistenza, nella creazione della Repubblica e nell’assemblea costituente. Dei cento anni che sono trascorsi dal Congresso di Livorno ben settantacinque portano il marchio fondamentale di una repubblica fondata sul lavoro nata grazie al contributo decisivo del Partito Comunista Italiano rimodellato da Palmiro Togliatti.

 

 

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