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29 agosto 2012 3 29 /08 /agosto /2012 10:14

cartolina PragliaA Praglia il bucranio appare ripetutamente sul portale della sala del refettorio grande, nella abazia. Esso richiama il bue, corrispettivo ammansito del toro selvatico e costituisce un simbolo di servitù pacifica, forza paziente e sicura come il monachesimo che ci parla attraverso le opere rimaste nella storia. Quell’immagine quindi, il cranio del bue all’interno della metopa, ci ha fornito la chiave per godere della visita.

Ci si arriva facilmente in camper da Monteortone; noi ci siamo arrivati ad ora di pranzo di domenica mattina, ovvero l’unico momento della settimana in cui il parcheggio è gratuito. Ma alle 14, durante il riposo postprandiale nell’ampio e poco frequentato parcheggio, siamo stati colti dai parcheggiatori i quali, con quel contegno giovanile tra l’educato e il furbesco caratteristico delle cooperative sociali frequentate da ex - tossicodipendenti, ci hanno chiesto ben quattro Euro e tredici centesimi.

In realtà credo che l’avveduto camperista debba notare la tourist – trap insita in questa situazione. Il parcheggio è inevitabile perché altrimenti si dovrebbe lasciare il mezzo nel centro abitato per arrivare in bicicletta e pertanto tocca sottostare alla regola venale della tariffa oraria. L’idea della bicicletta come complemento si è quindi confermata nelle nostre teste per la prossima visita.  Cosa questa che ci siamo ripromessi di fare nei periodi di apertura al pubblico della favolosa Biblioteca abaziale. Per il momento ci siamo goduti l’occasione di una visita guidata dalle parole di un giovane e colto frate benedettino.

 Praglia deriva dal latino “pratalae” o dall’arcaico “pratiale” e significa “in mezzo al prato”, o “dei prati” che dir si voglia e sorge in un’area valliva tra due colli Euganei di quelli bassi, che si staccano “come satelliti” dal contesto montuoso. Ad est abbiamo infatti il Monteortone, dal quale siamo arrivati, ad Ovest, molto più vicino, il colle delle Are, segnato sulle carte anche col nome di Monte Lonzina.  E’ quindi in una posizione felice e pacifica. Così devono averlo infatti concepito i frati cluniacensi nell’undicesimo secolo, quando iniziarono la costruzione e così deve averlo visto anche il Barbarossa che provvide poi, un centinaio d’anni più tardi, a confermare loro la legittima proprietà, anche dei terreni circostanti “in qualunque modo e con qualunque diritto fossero stati acquisiti”.

Col passare dei secoli il monastero si è sviluppato come un complesso architettonico di stili diversi, composto da più edifici variamente integrati fra loro. Un solo punto di vista, dall’interno permetterebbe al turista di cogliere con un solo scatto la pluralità di stili ed epoche condensate in quel complesso di edifici, ed è appunto l’angolo sud – ovest del chiostro pensile al cospetto del bucranio, sotto il portale del Refettorio Monumentale. Ma il divieto di introdurre apparecchi fotografici e cineprese impedisce di togliersi questa soddisfazione e per portarsi a casa quell’ immagine tocca acquistare la cartolina illustrata all’uscita.

Dopo le parole iniziali dedicate alla storia del monastero, la visita si svolge rapida tra il chiostro rustico e il chiostro botanico salendo scalinate a pendenza rinascimentale che conducono alla sala capitolare e al chiostro pensile per approdare finalmente al refettorio monumentale. La specificazione è necessaria per distinguerlo dal refettorio quotidiano che si trova da un’altra parte e non ha la solennità né le particolarità artistiche di questo.

In questa sala ampia e solenne si sono tenute e si tengono le riunioni degli abati priori di vari monasteri e, forse proprio per questo, il tema del potere e delle sue lusinghe appare citato ripetutamente nelle decorazioni lignee degli scranni. In queste decorazioni, che stanno in cima allo stallo ove siede il monaco per mangiare, abili artigiani decoratori dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, hanno riposto, su commissione monacale, vari stemmi, imprese e cifre, creando un gioco di significati che stuzzica lo spirito e che forse va oltre le intenzioni degli stessi committenti… Ogni commensale si ritrova sotto un motto creando, se così lo si vuol intendere, un’ allusione alla integrità della sua persona.

 Il codice simbolico è abbastanza intuitivo ed è tipico del gusto tardobarocco. IUSTITIA e FORTITUDO fanno da contrappunto simbolico al PESCE  e al ROSETO utilizzando un suggestivo linguaggio fatto di scene allegoriche e motti latini. La giustizia infatti viene rappresentata dal giudizio di Salomone; la Forza da Sansone che spezza le colonne del Tempio, mentre il pesce è rappresentato fuor d’acqua, sopra un fregio che reca un cartiglio con la scritta "“in sicco moritur" come a dirci che “tra le aridità del digiuno e della penitenza muore il vizio”, il quale ha vita solo nel piacere e nelle delizie di chi può permettersele. Il Roseto è rappresentato con i boccioli racchiusi perché, come ci dice la chiave riposta anche in questo caso nel cartiglio, “sub sole patebunt” cioè le rose sbocceranno al sole. Su questo significato manifesto si può poi sviluppare la metafora fino a concludere che allo stesso modo delle rose “i segreti intendimenti del nostro cuore si sveleranno solo alla chiarissima luce del giudizio…” ecc. ecc. Il fratino si sbizzarrisce nella scelta degli esempi , ma non può ovviamente citarli tutti e così rinvia all’acquisto del libretto che li riassume e che si trova in vendita nello shop dell’uscita.

*

 Dopo la descrizione della sala sulla cui parete ovest campeggia tra l’altro l’affresco della Crocifissione eseguito da  Bartolomeo Montagna nel 1523, il gruppo si avvia seguendo il saio della guida, ma mentre sfuma la in questa prospettiva solenne, alla mia distorta mente dietrologa non sfugge il richiamo di un fregio, uno perfettamente mimetizzato tra gli altri, ma che cattura il mio sguardo come un potente magnete: INHAERENDO PUTRESCAM. L’attrazione è potente perbacco… come resistere alla tentazione di dedicarlo a chi so io, in fin dei conti non lo saprà mai nessuno. E così retrocedo per avvicinarmi e contemplarlo nel dettaglio: una vite tronfia di sé sostiene a malapena i tralci piegati fin che l’uva tocca terra. Marcirà per l’attaccamento, dice il fregio latino. Ecco si, è perfetto; non può essere che per chi dico io… anche perché dall’altra parte, in perfetta giustapposizione, si trova l’albero colpito dalla scure: NON UNO CONCIDIT ICTU già, è vero, non cade con un colpo solo, occorre perseverare per ottenere lo scopo. Così a completamento di quella piccola, ma emozionante illuminazione mentre, solo, nell’enorme salone rischio di farmela addosso, la mia mente eccitata coglie il messaggio finale: COMPLETUR CURSU.  Un ostensorio sorretto da fregi lignei fluttuanti in ogni direzione mostra dentro di sé una luna in prima fase e il significato del cartiglio mi appare nitido: “si compirà a corso finito”, occorre attendere sino alla fine del ciclo per vederlo compiuto… la perseveranza nella virtù conduce alla gloria. Ecco, questo dev’essere per me… Carpe Diem!   

Avvertendo il ritardo dal resto del gruppo, riparto spedito e passando sotto al bucranio avverto un senso di incoraggiamento: “resta nel gruppo, segui la guida” e mi ritrovo nell’Interno Chiesa, ove si svolge l’ultima tappa della visita.

 La basilica è stata eretta nel sedicesimo secolo e dimostra la propria epoca di costruzione con la facciata semplice, ma dalle linee inequivocabilmente barocche. E’ una costruzione voluminosa, che vuole essere solenne, ma è incompleta e ne soffrono le proporzioni Abside/Navata. “Il solo transetto della basilica di SANTA GIUSTINA a Padova è più grande di questa navata”, spiega la giovane guida e con le sue parole si nota la sproporzione, l’inutile spazio antistante la facciata, lo spazio inutilizzato di una spianata enorme ma vuota. “Saranno mancati i soldi per finirla”  è il commento ironico della guida mentre ci riconduce al punto di partenza. Qui noi riceviamo il suo umile, ma signorile saluto e lui riceve le mance dei turisti i quali, chi si chi no, non avendo pagato biglietto di entrata, contribuiscono in questo modo alla manutenzione dell’edificio a beneficio dei posteri.   

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Ritornando al camper rifletto su come, oltre ai pregi architettonici parecchie altre stimolazioni vengono offerte dalla visita. Ad esempio.

 La sala capitolare mostra sul pavimento le pietre tombali che portano all’ossario sottostante, dove riposano i resti dei monaci di tutte le epoche; dev’essere un ossario enorme se si considera che la dimensione media della comunità è stata di 35 ospiti per una trentina di generazioni. Inoltre una parte dev’essere adibita a cimitero, con le salme intere delle ultime generazioni, per cui a parte i problemi di spazio, se si pensa che tra le due ultime guerre la comunità era arrivata a più di ottanta ospiti, dev’esserci qualche leggera forma di aerazione, per evitare inopportune mummificazioni dei cadaveri. Insomma nel chiostro più basso, sotto quello pensile, l’aria dei vivi dev’essere promiscua con l’aria dei morti; e a questo proposito è suggestivo immaginare il nostro fratino dopo l’ora nona camminare tra le arcate ogivali in compagnia dello spirito di qualche inquieto frate medievale, mentre assieme meditano sul mistero della Resurrezione aiutati dai versetti di Paolo ai Corinzi “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”(1°Cor.XV-20) B Maddy Praglia

 L’affresco del Montagna non è straordinario, anche se ha il suo fascino. Ai piedi della croce sta, sulla destra di chi guarda un classico San Giovanni con capelli e clamide rossi, ma senza raggiungere il netto rosso cremisi delle tele del Giambellino; il nostro Giovanni inoltre è tozzo ed impalato da un alberello che sembra gli sbuchi dallo stomaco. La Maddalena abbraccia il pedicroce senza alcuna convinzione come se dovesse solo chinarsi per lasciarci contemplare lo sfondo, quello sì accattivante, con le nostre montagne dell’arco prealpino. In questo sfondo, come in tutti gli sfondi montani dell’epoca manierista, la skyline delle vette non è realistica, ma il colore e l’aspetto della roccia richiama chiaramente la dolomia e qui, sopra i capelli della Maddalena, potrebbe esserci proprio il Sengio Alto, anche se con un Baffelan troppo spiccato e con un Passo delle Gane troppo ampio. La Maddalena è un’icona che non tradisce, e così anche questa, così tiepida e oserei dire palesemente frigida, ha riservato  delle sorprese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Per finire non posso tralasciare la provocazione contenuta nello stemma, quello che il catalogo dei simboli di E. Lehner definisce: “The Seven Pointed  Mystic Star”. Lo stemma del monastero è composto da una stella a sette punte coronata dalle sette lettere che ne compongono il nome: P, R, A, G, L, I, A  che sono l’acrostico di antichi simboli della patristica con qualche incursione gnostica, ma potrebbero anche essere l’anagramma di “PAGALI GR.”  che è appunto quello che avrei detto a Graziana quando siamo partiti.

 

 

 

Così pagato a tariffa piena il ragazzo della cooperativa parcheggiatori sarà certamente rimasto soddisfatto, tanto da abbonarci gli spiccioli con un tocco di stile che gli ha permesso di risolvere il problema del resto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ABC Metopa

 

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27 agosto 2012 1 27 /08 /agosto /2012 13:30

Sua-Santita.JPGNel panorama editoriale, la  crisi del giornalismo d’inchiesta, che non trova più spazio in televisione ed è sempre più emarginato anche nella stampa perché sostituito dalla logica delle campagne di gossip, e da un tipo di cronaca che è sempre più simile ad una sorta di narrativa scandalistica di regime, trova per fortuna una parziale compensazione negli instant book di Chiarelettere.

Un caso di successo e direi anche di qualità, è dato da questo SUA SANTITA’ Le carte segrete di Benedetto XVI“ di Gianluigi Nuzzi, uscito già in tre edizioni tra Maggio e Giugno scorsi. Ero prevenuto sull’autore perché, avendo visto molto poco, gli attribuivo uno stile televisivo di bassa qualità, ma ho dovuto ricredermi. Qui c’è professionalità e competenza.

L’esistenza di questo libro, come di altri simili prima, più che rispondere a qualche iniziativa individuale di ricerca della verità, che sarebbe ingenuo sostenere, risponde ad un piano di comunicazione di uno dei tanti centri di potere che si stanno scontrando nella crisi. E non mi stupirei che fosse il Vaticano stesso. Oggi le ristrutturazioni degli organigrammi di vertice, e non solo per le organizzazioni note, si fanno accompagnandole con un rapporto di narrazione all’opinione pubblica che permetta di gestire il gossip evitando il rischio che si ritorca contro chi conduce il gioco. E questo libro ne è lo strumento.

Si occupa delle vicende note, ma nebulose degli ultimi anni, a partire dal caso Boffo, e ci conduce al caso Gotti Tedeschi, passando attraverso altre vicende meno note, ma certamente interessanti. E a pochi mesi dalla sua uscita gli sviluppi risultano meglio comprensibili: il maggiordomo del papa viene arrestato, Lombardi lamenta pubblicamente l’esistenza di azioni di ricatto sulla Santa Sede, Gotti collabora e arrivano memoriali alla magistratura, la curia prende le distanze ecc., prende corpo la prospettiva di sostituzione del cardinal Bertone con un diplomatico. Il pregio del libro è che fornisce un quadro unitario del contesto di scontri in cui tutto ciò avviene.

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L’analisi Gottiana della crisi finanziaria globale.

Ettore Gotti Tedeschi, insigne economista e docente della Cattolica con curriculum qualificato in vari istituti bancari, nonché gradito amico professionale di Tremonti, è stato presidente dello IOR fino al 24 Maggio 2012, quando è stato sfiduciato dall’intero CdA. Ho seguito distrattamente la vicenda sui giornali delle settimane successive senza appassionarmi più di tanto anche perché non si capiva quasi niente. Ora, con la lettura di Nuzzi, mi sembra di vederci più chiaro e mi sento confermato nel mio sentore sulla crisi vaticana, che si basa su una lettura secondo la quale Benedetto è un buono. Lui è un buono e dà per scontato un passaggio molto doloroso per il rilancio della Chiesa. Purtroppo però è circondato dai cattivi che stanno attorno a lui nella curia romana e deve sostenere una quotidiana battaglia per vincere e sopravvivere. Speriamo sia più fortunato e meno ingenuo di Luciani. E in questo senso ben venga la storia di persone che a me appaiono tanto eroiche quanto modeste che lo aiutano. Primo fra tutti Paolo Gabriele, il suo maggiordomo e poi la sua amica suora musicista, della quale non ricordo il nome, persone che si stanno sacrificando per proteggerlo dalle ritorsioni meschine messe in atto dai nemici della verità.

Si dirà che sono in piena regressione buonista, ma mi sento nel giusto e per una volta mi piace giocare con l’illusione che il mondo non sia solo grigio e meschino, ma popolato di angeli del Bene che lottano contro il Male.

Forse però non sono ancora certo che vincano e, aimè, in ciò consiste la mia poca fede.

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Tornando al nostro Ettore, quando era in sella scriveva dei rapidi ed efficaci memo per spiegare la crisi finanziaria a Benedetto, il quale evidentemente stimava le sue opinioni. Alcuni di questi sono finiti nelle “carte segrete” di cui Gianluigi Nuzzi è venuto a conoscenza e che riporta, con commenti, nelle venticinque pagine del capitolo “Scacco a Benedetto XVI”, pgg 225-250. Alcuni di essi sono forti e per questo me li sono appuntati al fine di commentarli in un apposito post del mio diario di lettura.

C’è da dire non è ovvio e scontato che il papa si faccia commentare e informare dal presidente delo IOR sui fatti economici, anche perché Gotti è un laico. Si trattava quindi di una scelta fondata sulla stima e proprio questo probabilmente dava fastidio all’establishment vaticano.

Comunque, la tesi di fondo di Ettore è che la crisi è destinata a riflettersi negativamente anche sulla Chiesa e sui suoi bilanci, essendo essa dipendente dalle offerte e donazioni, riducendo così nel lungo periodo anche la sua capacità di evangelizzazione.

Le cause generali di questa crisi sono riconducibili ad uno squilibrato processo di globalizzazione che, forzando la delocalizzazione delle attività produttive, deprime i ruoli (economici) fondamentali dell’uomo occidentale che lavora, consuma e risparmia (investe). Le imprese domestiche occidentali sono sempre meno competitive, il lavoratore crea però il proprio reddito su di esse e il mercato offre al consumo beni sempre più competitivi ma prodotti altrove, col risultato che la ricchezza si trasferisce dall’occidente cristianizzato all’oriente da cristianizzare. Il mondo cristiano si sta impoverendo mentre assiste ad un tumultuoso empowerment del mondo da evangelizzare. Cina e India in testa.

Inoltre il progressivo aggravamento della crisi spinge i governi  ad aggredire la posizione della Chiesa, ad esempio invocando la tassazione dei suoi beni come cessazione di privilegi. Occorre perciò stabilire una strategia che indichi come reagire ecc.

L’analisi viene condivisa al punto che si crea una unità di crisi in vaticano che studia un progetto di ristrutturazione della amministrazione del denaro per “valorizzare i beni, crescere i ricavi, ridurre i costi e minimizzare i rischi.”(pg 230)

Il lavoro funziona, varie bozze si alternano sui tavoli vaticani. Bertone si lancia nell’operazione con la sua energia e con la sua esperienza di equilibrista, anche un po’ sgangherato e a volte brutale, tra le anime e gli enti di un cattolicesimo gerarchizzato e avvezzo al potere… ma è un lavoro critico e delicato, basta pensare al fatto che in giro per il mondo, nelle frontiere dell’evangelizzazione, la Chiesa è minoranza spesso esposta ad azioni violente. Per cui si perviene alla “istituzione di un gruppo di intelligence e coordinamento per la sicurezza economica” della Chiesa. Proprio così, parole da thriller. Il punto è che per “prevenire criticità che esporrebbero la Chiesa a giudizi negativi“ ecc. occorrerebbe la trasparenza, l’intervento sulle situazioni opache ecc. tutte cose che mal si conciliano con le furberie e le tattiche interne di potere che caratterizzano le lotte esasperate tra gli ordini, le entità economiche e confessionali diverse che caratterizzano la costellazione organizzativa cattolica… e si arriva quindi al dunque. Nel 2011 lo spread comincia a non lasciare più scampo e gli istituti economici cominciano ad andare per conto proprio in assenza di una seria politica di vincolo e orientamento finanziario. Per cui quando il Pontificio consiglio di Giustizia e Pace (istituzione che sarebbe molto, molto difficile definire liberista…) propone che la chiesa si faccia partecipe per la istituzione di un’autorità pubblica universale che rediga “norme per la regolazione del sistema monetario e finanziario internazionale” il nostro Ettore, evidentemente spaventato, prende posizione contraria e consiglia a Benedetto (sempre tramite padre Georg) posizioni molto più caute e alternative. (Mi viene da pensare che il cattolico Gotti Tedeschi, come del resto quelli che stanno più o meno dall’altra parte, tra i quali Monti e tanti altri illustri finanzieri col grembiulino, fosse più spaventato della prospettiva di scontro che una simile impostazione aprirebbe con i poteri sovranazionali che, alla faccia della trasparenza, questo ruolo lo svolgono già… ma senza doverne rispondere ad alcuna autorità universale) sta di fatto che (pag 233-235) scrive un memo nel quale smonta il documento del Consiglio Vaticano. Il punto principale di attacco nei confronti del documento è che si tratta di proposte velleitarie, già “discusse da lustri nelle sedi competenti” che vengono fatte in un momento nel quale la Chiesa ha bisogno di maggiore credibilità e deve realizzarla attraverso una maggiore trasparenza della propria situazione finanziaria, nel momento in cui lo IOR (che lui stesso presiede) è investigato e la stessa Santa Sede non è ancora stata accolta nella White List (elenco degli stati affidabili nell’attività di contrasto e prevenzione, antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo). Bello smacco…

Siamo nell’Ottobre –Novembre  dell’anno scorso (2011) e sta per precipitare anche la situazione politica italiana, e Gotti non lesina un memo a Benedetto nel quale spiega (con il governo italiano ancora formalmente in piedi) che è proprio il crollo della sua credibilità il motivo della fine di Berlusconi.

Altro punto dei suoi memo che mi è piaciuto è quando dice che sarebbe utile un “dichiarazione di preoccupazione “ di Sua Santità sulla crisi perché “ se le imprese non sono sostenute adeguatamente e finanziariamente dal credito bancario a breve potrebbero ridurre o chiudere l’ attività” e stima per l’Italia un impatto tra i 100 e 200 mila posti di lavoro a rischio.

Insomma all’epoca dell’operazione Berlusconi/Monti Gotti Tedeschi era dalla parte giusta. Speriamo che lo sia stato anche in questi mesi più bui durante i quali è stato lui ad essere sfiduciato. E speriamo che la stessa chiarezza e gli stessi consigli di trasparenza ed etica che dava a Benedetto quando era in carica, lo abbiano guidato nelle dichiarazioni che ha fatto ai giudici che lo hanno interrogato un paio di mesi fa.

Rimane da capire perché lo hanno fatto fuori dallo IOR. E questo il libro di NUZZI non lo spiega, anche perché è uscito prima che ciò succedesse. Ma spiega altre cose e soprattutto pubblica dei documenti che fanno un po’ di luce sulle problematiche interne decisamente oscure del Vaticano. In ogni caso dalle informazioni che il libro fornisce ho ricavato l’idea che le dimissioni di Gotti Tedeschi abbiano aiutato e non indebolito la posizione di Benedetto.Gotti-Tedeschi.JPG

Chissà come andrà a finire quindi. In ogni caso il libro è buono e la Chiesa dovrà fare le sue scelte. Chi prende ora il posto di Gotti a consigliare il pontefice? Passerà la linea del Consiglio pontificio? Una strategia economica globale della Chiesa capace di difendere i propri interessi finanziari globali e di tenerla fuori dal cortocircuito imminente tra i paesi ad essa vicini?

Mah!, certo che ai fedeli di base, ai poveri della terra forse questa non apparirebbe la priorità su cui impegnare gli sforzi della fede, le risorse e le preghiere, anche perché a loro appare come un problema dei paesi ricchi.

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Altro aspetto, tra i tanti, di attualità di una lettura fatta in questi giorni riguarda il Meeting di Comunione e Liberazione. 

Nel capitolo CL, Legionari e lefebriani, atolli dell’impero, che, anche se non è numerato, è il nono e viene significativamente dopo il capitolo dedicato a Tarcisio Bertone: l’ambizione al potere, il libro si occupa del meeting di Cl, Rimini 2012.

Dopo aver ricordato che Ettore Scola è stato scelto dal Papa come vescovo di Milano su indicazione del papa nero gesuita Juan Carron (e c’è la lettera tra le carte segrete che ivi vengono pubblicate e commentate) anche per la sua appartenenza a Comunione e Liberazione, si passa ad illustrare la vicenda relativa all’invito che Emilia Guarnieri (presidente del Meeting) ha rivolto tramite lettera direttamente al papa, e a lui medesimo presentata con sue proprie mani da Tarcisio stesso in uno degli incontri settimanali che avvengono ogni Lunedì in qualità di segretario di Stato. Ciò sarebbe avvenuto nel Dicembre scorso quando già era stato definito il titolo del convegno: La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. E si sarebbe risolto in una scelta favorevole alla partecipazione da parte di Benedetto XVI.

Oggi il convegno si è chiuso e il papa non c’è stato. C’è stato Monti, presidente del Consiglio italiano, milanese, ma non certo esponente curiale. Inoltre il convegno è stato aperto con una particolare enfasi giornalistica all’attacco di Famiglia Cristiana a CL: al meeting applaudono solo chi ha il potere. Mi pare evidente che in questi sei mesi di scontri l’asse è cambiato e lo scontro con Bertone si è acuito. Anche l’enfasi data alla visita milanese del giugno scorso assume così un significato più comprensibile: Benedetto ha detto ai milanesi: non andrò al Meeting, ma confermo la mia particolare attenzione alla chiesa ambrosiana. La quale, devo dire, ne ha proprio bisogno. (Università Cattolica, San Raffaele, don Verzè, scandalo Formigoni ecc.)

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Altra piccola chicca è la parte che mostra le sintonie dell’anno scorso tra Tremonti e Bertone sulla vicenda dell’Ici sugli istituti religiosi. Vicenda che secondo i dati di Agenzia delle entrate, vede in ballo qualcosa come due miliardi di euro all’anno. Direi che ne esce anche, tra le righe, l’indicazione che Emma Bonino difficilmente verrà sostenuta dai cattolici come prima donna presidente della Repubblica il prossimo anno visto che è stata lei ad avviare questa bomba ad orologeria.

Ecco, questi ed altri sono tra i contenuti del libro, scritto bene, che si fa leggere e fornisce un livello di comprensione superiore alla lettura dei giornali. Quindi i miei complimenti a Nuzzi, ma anche a che dirige Chiarelettere.

 

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24 agosto 2012 5 24 /08 /agosto /2012 12:58

Tesla-monumentale-copia-2.JPGLa Croazia del 2012, da come l’ho vista nelle mie vacanze in camper, è soprattutto quella che aspetta il 2013, anno dell’entrata in Europa, ovvero il passo definitivo nella integrazione con le economie occidentali del post-guerra fredda. E’ anche vero che, scavando in po’ tra gli umori della popolazione, si può incontrare un po’ di paura per l’Euro e perciò il prevalere di un sentimento filo Kuna (moneta nazionale vigente) nell’economia spicciola. Ma a Plitvice, dove ci sono turisti di tutto il mondo, accettano pagamenti in euro, mentre i giapponesi e gli americani coi loro dollari li mandano allo sportello del cambiavalute. 

 

Già negli ultimi anni del comunismo e soprattutto negli anni dell’immediato periodo post-titino (che era croato), la Croazia stava stretta nelle vesti di Repubblica Popolare e ha fatto di tutto per uscirne. Ma non è riuscita a fare in fretta come la Slovenia, ha dovuto aspettare e pagare un prezzo molto più caro: la guerra d’indipendenza 1992 - 1996.

 

Significativo a questo proposito l’aneddoto di Plitvice, dove già nel 1991, quando i croati già anelavano all’indipendenza ma la maggioranza era serba, si trovarono localmente in una situazione che determinò una enclave etnica in territorio croato, che aderiva alla repubblica autonoma di Krajina. Costoro chiesero aiuto a Milosevic e il giorno di pasqua accolsero a fucilate la polizia croata che era intervenuta per imporre la legalità. In tale circostanza vi furono i primi due morti, prime salme della guerra che si infiammò negli anni successivi con tanto di pulizie etniche e genocidi criminali. Finché la pax croata arrivò nel 1995.

 

Da allora la zona dei laghi, che possedeva già lo status di patrimonio mondiale dell’umanità fin dal 1971, venne fatta oggetto di attenzioni e investimenti, (compresi tre anni di intensa attività di sminamento, condotta in sordina) con tanto di certificazioni UNESCO, tali da renderla un forte centro turistico globale. autoscatto-cascata.JPG

 

 

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L’attuale sviluppo croato sta producendo definitivamente una democrazia occidentale assetata di “Konzum” e la punta di diamante di questo business è il turismo di massa. Noi col nostro camper ci siamo ritrovati, assieme a centinaia di sloveni, cechi, slovacchi tedeschi e polacchi, dentro un perfetto meccanismo turistico che offre tutti i vizi occidentali (movida e sballo del sabato sera compresi) a prezzi migliori e soprattutto senza la congestione da traffico nelle autostrade e dei centri storici. Insomma per quel che dura, un piccolo sogno. scenario-autostradale-croato.JPG

Ma io, mia moglie e il nostro cane, che cominciamo ormai ad avere una certa età, più che dalla movida siamo stati attratti da aspetti culturali (si, anche Barce ne era attratto, peccato che non lo hanno fatto entrare) capaci di accendere curiosità inedite. Primo fra tutti Tesla,The man who lit up the world”, una sorta di scienziato/inventore praticamente  ignorato dalla storia della scienza, secondo alcuni superiore ad Einstein e tutto da riscoprire.

 

Nikola Tesla infatti non è solo una personalità originale della storia scientifica del secolo scorso, ma un vero e proprio oggetto di culto per i cacciatori di verità profane. Attorno alla sua figura grava sempre più un alone di misticismo esoterico che ne fa un tema sempre più trendy.

 

E questo devono averlo capito bene anche le autorità locali che hanno dato vita ad un centro dotato di stazione sperimentale, multimedia center con souvenir shop e playground per bambini. Manca solo la lingua italiana.

E così una settantina di chilometri a sudovest di Plitvice abbiamo visitato il Tesla Memorial Center, con la chiesetta che fu di suo padre, pope ortodosso, la casa natale ricostruita e un cenotafio, che però non ospita ancora le sue ceneri perché si trovano a Belgrado.

 

 

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Tesla-agiografico.JPGSei anni fa, in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita, il 2006 venne proclamato dal Parlamento Croato anno di Tesla. La Tesla Memorial Society di New York ha dedicato all’evento un sito nel quale la personalità dell’inventore viene fortemente rivalutata con una agiografia che non risparmia grandi  elogi e sviolinate. Purtroppo però anche qui siamo ancora lontani dalla verità. In quella biografia ad esempio non si dice che il mondo seppe della sua morte solo vari giorni dopo che egli avesse cessato di vivere e ciò perché egli era “under the watchful eye of the U.S. intelligence services” e gli agenti esaminarono il suo lascito per giorni e giorni nella stanza d’hotel dove Tesla era morto e sfortunatamente nulla si è mai saputo circa i risultati di quelle investigazioni.

E’ noto invece il discorso molto pomposo col quale il sindaco newyorchese di allora, Fiorello Henry La Guardia, comunicò e commemorò al mondo via radio la morte di Tesla nel 1943. I nastri di quel discorso sono oggi proprio al Memorial Center di Smiljan, sua località natale vicino alla cittadina di Gospiċ, nella Laka, regione non propriamente ricca della Croazia, e si possono ascoltare facilmente.

In tali nastri La Guardia parla di lui come dell’uomo che portò la luce nelle nostre case, orgoglio americano ecc. ma probabilmente le cose erano ben diverse. Eravamo in un momento chiave della seconda guerra mondiale perché l’arma segreta della Gran Bretagna,  ovvero il radar, che si basa su di una tecnologia del tutto omologa al campo degli studi tesliani,  si stava giocando il destino dell’intero conflitto. La città di New York in quel frangente osanna Tesla come un grande soprattutto dal punto di vista umano, sostenendo che era morto povero, emarginato per la sua volontà di non chiudere mai soldi, in una dedizione quasi religiosa allo studio dei fenomeni scientifici. Ma la verità è che proprio quel campo di ricerche fu boicottato dai grandi investitori negli ultimi decenni della sua vita e il suo enorme lascito scientifico fu tenuto in disparte fino ai nostri giorni ovvero nel momento in cui l’umanità intera, nell’epoca della comunicazione wireless globalizzata, comincia a percepire a livello di massa la sua visione unitaria della scienza e dell’energia come filosofia della natura.

 

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Nel 1956 il Sistema Internazionale adottò il nome di Tesla per indicare l’unità di misura(T) della induzione magnetica e ciò ne impedì la definitiva rimozione. Ma Nikola Tesla resta colui che rifiutò il premio Nobel nel 1912 e del quale ancor oggi è poco risaputo che in realtà fu lui il primo a rendere noti alcuni  fenomeni fisici per i quali altri scienziati ricevettero il Nobel successivamente.

 

Tesla-povero-e-vecchio.JPGLa verità più probabile è che egli sia stato sistematicamente boicottato dai grembiulini più o meno “illuminati” che regolano il dissenso scientifico, perché le sue scoperte e le sue invenzioni mettevano a rischio i piani di dominio elettropetrolifero globale concepiti alla fine del diciannovesimo secolo e portati avanti dall’alfiere primario Thomas Edison. Nikola rimase impigliato nel conflitto di rivalità tra Edison e Westinghouse dopo che con quest’ultimo fece una fortuna miliardaria grazie alla realizzazione delle nascenti centrali elettriche industriali con i suoi sistemi, prima fra tutte quella di  Niagara Falls. Egli intraprese l’iniziativa autonomamente con la creazione di un laboratorio per lo sviluppo del suo motore a corrente alternata e assieme a molte altre iniziative incorse in un’altalena di successi e sfortune, incendi e furti di brevetti che lo condussero al fallimento imprenditoriale.

 

Si parla di 800 brevetti a lui riferibili, l’ultimo dei quali collegato all’aeromobile a decollo verticale nel 1928, ma la sua attività andò in bancarotta nel 1916 e da allora egli visse in povertà occupandosi solo di lavoro teorico.

 

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La visita del Centro, (a parte il problema della lingua italiana), è stata piacevole e caratterizzata da un dolce sentimento di mesta, e malinconica, solennità. Nell’intima speranza che a Nikola, come alle altre centinaia di uomini e donne come lui, il futuro ridoni la giusta dose di verità.

 

Tesla-dreaming.JPG

 

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27 luglio 2012 5 27 /07 /luglio /2012 00:46

Qatar-s-first-family.jpg

La scorsa settimana la stampa ha annunciato l’operazione finanziaria attraverso la quale la famiglia reale del Qatar, rilevando le quote di Permira, fondo Edge con sede a Londra, nella City,  ha acquistato Valentino Fashion Group.

 

Il giorno dopo è stata data notizia della morte di Giannino, principale esponente, dopo Pietro, della quinta generazione di imprenditori Marzotto. E poi, pochi giorni dopo, anche la morte di Crosara, suo amico e coetaneo che fece da copilota nelle Mille Miglia. Ovviamente tra le notizie non c’è alcun collegamento, ma suggestiona l’idea che l’immanente forza del destino ci stia comunicando la fine di un’epoca.

 

*

Per Giannino Marzotto faccio mie con rispetto le parole del sindaco Alberto Neri:

Giannino-Marzotto-copia-1.jpg"Mi unisco all'espressione di cordoglio che la comunità civile e politica gli sta tributando ben oltre il nostro territorio, segno dell'apprezzamento e dello spessore della sua figura''.

 

Ma ricordo che fu contro di lui, Giannino Marzotto, che la comunità valdagnese si ribellò nel sessant’otto e soprattutto nel Gennaio e Febbraio 1969.

 

 

 

 

 

 

Dopodiché, per ritrovare un modus vivendi tra la fabbrica e la città dei suoi operai dovette tornare suo padre Gaetano jr. che morì nell’estate del ’72.

 

 

 

 

 

Pietro-l-aveva-detto.jpgE fece in modo che il figlio più giovane Pietro, per quanto persona molto più difficile ed ostica di Giannino, rilanciasse gli stabilimenti e stabilizzasse i rapporti con gli operai.

 

 

                                                                    

                                              **

 

 

E’ la Marzotto dei trent’anni che seguirono (1975-2005) che, con la direzione di Pietro e dei suoi managers e col lavoro dei suoi operai e delle sue operaie, ha creato e ricreato l’enorme valore oggi racchiuso nella VFG e venduto alla famiglia reale del Qatar.

 

 

 

Ed è col lavoro di questi decenni che la mia generazione ha costruito ciò che ha e che spera di lasciare ai valdagnesi di domani. Francobollo-Marzotto-2011.jpg

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23 luglio 2012 1 23 /07 /luglio /2012 20:21

vendetta-Jonas.jpgSi avvicina la data della  Olympic games opening ceremony di Londrae nella City  pulsano più che mai i cuori sanguinanti delle Gran Logge che regolano le relazioni occulte tra le nazioni occidentali.

 

Israele sogna freneticamente una NATO che bombardi Assad,  e che dia un segnale di tolleranza ad  un suo eventuale intervento aereo sull’Iran. Ma pare invece che debba accontentarsi del sostegno alle rivolte interne. Tuttavia se l’attacco esterno dovesse avvenire, per i falchi armageddoni è meglio che avvenga subito, in queste ore, perché a fiamma olimpica ardente i cuori dell’opinione pubblica mondiale reggeranno male una guerra d’aggressione e, se consideriamo inoltre che ciò avverrebbe durante il Ramadam, in particolare nei paesi della Lega Araba.

 

Ecco quindi che si diffonde il messaggio drammatizzante relativo ad un improbabile uso di armi chimiche da parte di Assad. Mi vengono in mente le famose balle di Bush e Blair sulle (inesistenti) armi di distruzione di massa di Saddam.

Mi aspetto quindi un certo battage in questi giorni che ci separano dalla opening ceremony e vedo già che l’organizzazione londinese responsabile dei giochi viene attaccata sulla stampa sul fronte security mentre sul piano internazionale i maghetti mediatici agitano i dossier delle vertenze israelo-tedesca e israelo-francese.

 

*

 

Il versante tedesco riguarda i fatti di Monaco 1972, in occasione delle olimpiadi. Solo nel 1992, vent’anni dopo, si seppe che il governo tedesco occidentale teneva segreti i documenti sulla vera dinamica della strage. E oggi finalmente, dopo quarant’anni, si cominciano a rivelare al grande pubblico dettagli e particolari dei quali l’associazione israeliana delle vittime chiede conto tenacemente. Ma di tutti gli errori commessi dai tedeschi, con tutte le relative balle quarantennali, l’associazione delle vittime israeliane è stata moralmente ripagata?

 

Ira di Dio. Chi vuole rinfrescarsi la memoria si veda in proposito il film di Spielberg Munich (USA 2005) il quale, lungi dal raccontarla giusta per quanto attiene al rapimento e alla morte degli atleti israeliani (morirono 9 sequestrati e 5 degli 8 sequestratori) mostra però efficacemente il rapporto tra quella vicenda e molti atti terroristici avvenuti nei mesi successivi in Europa. Zwaiter.JPG

Primo fra tutti l’omicidio dell’intellettuale Wail Zwaiter amico di Moravia e Pasolini, avvenuto a Roma il 6 ottobre 1972. Meglio del film, che comunque accenna a qualche senso di colpa tipicamente israeliano, però può ancora essere utile la lettura di Venegance, The True Story of an Israeli Counter Terrost Team, romanzo storico scritto dal canadese Gorge Jonas nel 1984 sulla base delle memorie del comandante Avner che guidò il commando assassino e che era emanazione diretta di Golda Meir. S i può trovare anche in italiano: VENDETTA edito da Rizzoli.

 

 

 

 

 

**

 

 

Velodromo d’inverno. La vertenza con la Francia, la cui security non è considerata particolarmente efficiente dagli israeliani soprattutto dopo la vicenda di Tolosa il 20-22 Marzo scorso che si concluse con l’uccisione dello specialista Mohamed Mehrah dopo che erano già stati uccisi sette ebrei, riguarda invece la storia del Vel d’Hiv (Velodromo d’inverno).

 

I vari governi francesi del secondo dopoguerra hanno sempre mentito sulle responsabilità dello Stato Francese relative alla deportazione di 13.000 ebrei (un’enormità) nell’estate del 1942, molti dei quali rifugiati che poi finirono ad Auschwitz. Ora Hollande, che ha preso coscienza della vera situazione finanziaria delle banche francesi e si rende conto più che mai del bisogno di calorosi rapporti “log-gistici” con i padroni delle banche della City, ha reso omaggio finalmente alle vittime con un cerimonia in pompa magna che ha il sapore di una commemorazione di Stato della Shoàh.

 

 

 

Il vero problema è che dopo l’operazione Velodromo d’inverno andarono dispersi più di cinquemila bambini e cinquemila donne. Ne tornarono poche decine. E le vittime di oltre cinquant’anni di balle di stato sono state moralmente risarcite?

Anche qui c’è un film e c’è un libro ad occuparsi di questa narrazione: è La chiave di Sara (Omnibus Mondatori 2007).

           

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17 luglio 2012 2 17 /07 /luglio /2012 14:04

abc-copia-1.JPG

L’onda del titolo è quella marina, quei cavalloni enormi dell’oceano Pacifico che si vedono nei film ambientati nelle coste del Pacifico tra i surfisti. Insomma non è un’onda mediterranea calda e confortevole sul bagnasciuga, questa può sommergerti, annegarti o annichilirti come una indomabile forza della natura. Ma si può cavalcare, sfruttare e in questo senso domare.

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Un mommy noir

Due itinerari narrativi organizzati, l’uno in trentadue capitoli, l’altro in inserti titolati “Giacomo”, procedono su storie molto diverse e indipendenti, ma  arrivati ad un certo punto, dopo una ventina  di capitoli col numero e una decina i capitoli “Giacomo”, il loro sviluppo rivela un progressivo intreccio. Il romanzo quindi si fonde, con un ritmo più intenso, nel finale. Non ci sono banalità, siamo a mio avviso su un buon livello, e non c’è cattivo gusto. Del resto l’autore sta sul mercato editoriale da parecchi anni ed è un personaggio noto, con una immagine pubblica palese e trasparente.

Due tra personaggi principali, Roberto e Giacomo, introducono il lettore fin dall’inizio in una prospettiva psicologica. Di problemi ne hanno parecchi, uno non riesce più a parlare di sé, l’altro parla telepaticamente col cane ecc. L’uomo, Roberto, che va verso la cinquantina, è un adulto vaccinato che, come si usa dire, ne ha viste di cotte e di crude, l’altro è un adolescente moderno, problematico come tanti che si vedono uscire da scuola nelle nostre città, ragazzini che sembrano vuoti, ma in realtà hanno molti più problemi dentro la testa di quanti siano i libri dentro lo zainetto.

Poi c’è il dottore, uno psichiatra dal volto umano nel cui studio si svolgono quasi tutte le conversazioni che narrano la storia, e c’è Emma, un personaggio a mio avviso abbastanza riuscito che è  protagonista, con i suoi problemi, dell’ intreccio.

Roberto è il protagonista principale del romanzo. E la sua guarigione, il suo “ri-scatto” dalla condizione patologica in cui si trova è la nostra storia. C’è un bell’esempio, all’inizio del sesto capitolo, che suggerisce una metafora per capire il suo problema: “C’è una trappola adoperata in una regione dell’India per catturare certe scimmie. La trappola ha un funzionamento semplice e micidiale. E’ una specie di nassa con una apertura stretta e del cibo all’interno. Il diametro dell’apertura consente alla scimmia di infilare la mano, ma le impedisce di tirarla fuori chiusa a pugno. Così, quando la scimmia afferra il cibo e poi cerca di estrarre la mano, non ci riesce. Se lasciasse andare il cibo riuscirebbe a liberarsi; siccome non lo lascia andare, rimane intrappolata.”

Roberto deve liberarsi dall’oppressione dei suoi ricordi mollandoli, raccontandoli al dottore, così potrà ritrovarsi e smettere i farmaci.

Ad un certo punto della storia Roberto comincia a sciogliersi e allora emergono dettagli di vita meno nobili. Roberto è un carabiniere, uno di quelli tosti, dei ROS. Ha agito per anni come infiltrato in vari punti chiave della criminalità internazionale, fino all’ultima storia, in Colombia, dove ha avuto una vicenda che lo ha definitivamente stroncato. Una vicenda d’amore straziato.

Emma è una non più giovanissima ex attrice che cerca di uscire dalle reti del suo passato. Vorrebbe essere una buona madre per suo figlio, visto che il padre non c’è più, e ce la mette tutta anche con l’aiuto delle cure psicologiche, ma soprattutto, a mano a mano che il libro prosegue, con l’aiuto di Roberto col quale si incontra casualmente, ma ripetutamente, nello studio del dottore sviluppando una relazione ecc. ecc.

Non vado oltre perché l’impianto della storia non è così semplice, ma mi permetto invece alcune considerazioni, anche critiche, che vengono dalla mia personale lettura.

Il retrogusto della storia è che esistono uomini nello Stato che ci garantiscono la sicurezza in questa società piena di pericoli. Grazie a questi uomini, abilissimi eroi che soffrono in silenzio, il silenzio dell’onda, le mamme possono stare tranquille e i nostri figli diventeranno sani, grandi e onesti.

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L’onda dei frassica.frassica

Faccio una piccola digressione. In questa settimana in cui sto scrivendo questo post, il romanzo di Carofiglio è indicato al nono posto della narrativa italiana, fuori dalla classifica generale che considera anche gli altri generi e i romanzi stranieri. Mi riferisco a Tuttolibri de La Stampa. L’effetto Strega non si è ancora dispiegato, e non è detto che si dispiegherà. Nel frattempo abbiamo il nuovo tormentone librario sadomaso, quello delle cinquanta sfumature variamente cromatiche, che impazza nelle classifiche mondiali e sulle vetrine delle librerie. Ho letto che negli Stati Uniti definiscono questo genere di sadomaso buonista “mommy porn” volendone indicare una accessibilità domestica anche per le famiglie perbene del ceto medio americano. Ecco, io definirei Il silenzio dell’onda una sorta di mommy noir per la famiglia italiana del ceto medio perbenista.

Il punto è che io sono perplesso sull’approccio diciamo così “buonista”  di Carofiglio alla descrizione di tecniche delicate, nel senso che sono pratiche operative sull’orlo della legalità o totalmente illegali, di indagine e contrasto della illegalità. In un sistema fondato su queste tecniche non è più possibile la distinzione tra parte sana e parte malata della società. C’è chi compie un reato, anche grave e non va in galera perché protetto mentre c’è chi compie lo stesso reato e ci va magari pagando anche per quell’altro. Se uno viene infiltrato tra gli spacciatori deve spacciare, se viene infiltrato tra i killer della mafia deve uccidere. Non sono fisime di un lettore sprovveduto che confonde la realtà coi romanzi, ma è il problema istituzionale più grave che abbiamo, quello che sta sulle prime pagine di questi giorni ovvero la contiguità, cioè la commistione tra criminalità e forze dell’ordine in un’area grigia ormai inestricabile. Questo problema era esploso nel 1992 e si riverbera ancora oggi ai massimi livelli dello Stato.

Un reato è un reato e quando un magistrato ne ha notizia deve procedere. Come si fa quindi a proteggere il carabiniere infiltrato? Bisogna addossare i suoi reati ad altri. Servono detenuti- spugna, ad esempio un criminale condannato all’ergastolo, visto che ha già il massimo della pena può essere utilizzato come ripostiglio anche per reati commessi da soggetti protetti. La pena per un omicidio è uguale a quella per due… ecc. Ora Il silenzio dell’onda si occupa della infiltrazione sotto copertura, ti coinvolge e ti fa stare dalla parte dei carabinieri, ma non la racconta tutta perché non ti dice come va a finire. I vari episodi del passato di Roberto che vengono accennati finiscono bene, coi cattivi che vanno in prigione. E gli unici strascichi che rimangono sono i traumi psicologici dell’eroico carabiniere. Ma non ci dice che fine fanno i reati che il nostro ha sicuramente commesso durante il periodo sotto copertura per guadagnarsi la fiducia dei criminali che infiltrava.

Non che debba farlo, per carità, è un romanzo non un manuale, ma ne esce una visione “perbene” delle tecniche che usano i ROS, una visione ipocrita, che nasconde le illegalità necessarie dello Stato, e che perciò non spiega una  parte significativa del marcio della nostra società.

Carofiglio non è uno scrittore romantico ispirato dall’avventura. E’ uno che di tecniche di indagine se ne intende assai ed è uno che svolge tutt’ora, a nome del popolo italiano, un incarico politico di prim’ordine. A lui possiamo chiedere di più. In questa storia egli sembra motivato a scrivere soprattutto il lato psicoterapeutico. E’ preciso, indugia nel dettaglio colloquiale come se avesse i nastri delle sedute. Egli mette al centro della narrazione i disagio psicologico derivante dalla condizione di infiltrato e presenta la prassi dell’infiltrazione come un compito eroico riservato ai migliori. E ci mostra come ciò è poi causa di ferite che turbano la personalità, lasciando tracce profonde. Una sorta di lavoro usurante. Penso si tratti di cose vere nelle dinamiche reali di contrasto alla criminalità, ma penso anche  che siano meno veri li scrupoli morali che sembrano avere i carabinieri di Carofiglio. Penso che la tecnica della infiltrazione sia oggi talmente sviluppata da non poter più essere trattata come una parte riservata, non nota al di fuori degli addetti ai lavori, delle tecniche di polizia. E forse qualcuno comincia a pensare che sia opportuno lavorare sull’opinione pubblica per renderla accettabile, un fatto normale, utile e ovvio. Libri come questo possono svolgere il ruolo di sostegno a questo punto di vista.

Se cominciassimo a vedere i Don Matteo e il maresciallo di Frassica che pagano informatori, infiltrano ragazzi nella criminalità, li lasciano delinquere e li proteggono nelle indagini rifilando ad altri i loro reati, penso che anche gli italiani comincerebbero a preoccuparsi dello stato di degrado della nostra situazione civile…

 

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13 luglio 2012 5 13 /07 /luglio /2012 23:19

Ecco cos’è il Noir per me. Quello che sta scritto in questo saggio.

Finalmente una sistematizzazione di questo genere letterario che ormai sfreccia sibilante nel futuro della lettura. Lettura del conflitto ovviamente, anzi: lettori del conflitto. Ecco, ho letto questo saggio e mi dichiaro lettore del conflitto. Nel senso di Carlotto. Oltre il noir.

black-album-bis.JPGQuesto libretto si compone di tre parti: un breve saggio introduttivo di Marco Amici, una lunga conversazione tra i due che abbraccia tutta l’opera di Carlotto e una postfazione, breve ma preziosa, di quest’ultimo, dove tra l’altro loda e ringrazia Amici. Costui è uno che se ne intende di letteratura moderna e possiede anche una mente ordinata a precisa. Nel saggio iniziale, come nel corso di tutta l’intervista Amici si mostra capace di spendere in modo ottimale le genuine competenze che ha. E il tutto ben si sposa con la lucidità analitica e corrosiva del “principale esponente della narrativa noir in Italia” ovvero Massimo Carlotto, appunto.

Il breve saggio introduttivo fornisce indicazioni per orientarsi verso una definizione attuale e sostenibile di noir, che appare come “un ambito narrativo etichettato in modo vario e spesso confuso, affollato di autori e sovrasfruttato dall’editoria…” Sono d’accordo fin da questa premessa. Ho appena visto le vetrine dove l’ultimo di Jo Nesbø appare sormontato da una enorme etichetta dove si dice che “Jo Nesbø è il noir”. Da notare che la parola Noir ha gli stessi caratteri del nome dell’autrice, un chiaro indizio che per il marketing editoriale, in questo caso, autore e genere si equivalgono in termini di efficacia promozionale, anzi considerando che l’etichetta serve solo ad incentivare le vendite e a potenziare il messaggio promozionale nelle scaffalature del franchising, qui è il genere a tirare le vendite più che il nome dell’autrice.

Amici ci spiega che il noir è un ambito riconducibile ad un processo di differenziazione progressiva della “letteratura a tema criminale” che va da Poe alla Cornwell lungo una linea che possiamo chiamare romanzo poliziesco. Un tipo di racconto che ruota attorno a tre elementi fissi: crimine, indagine, risoluzione. Fuori da questo schema, ma sempre all’interno del “poliziesco”, inizia il noir. Hammett---Chandler.JPGLa corrosione dello schema tripartito inizia con l’affermarsi di un nuovo gusto nella letteratura poliziesca degli Stati Uniti tra le due guerre, con Dashill Hammett e Raymond Chandler (nella foto rispettivamente primo da destra e secondo da sinistra in piedi), esponenti di quella che viene definita hard-boiled school. Però l’uso della parola “noir” come indicazione di genere nasce in Francia nel secondo dopoguerra con la série noir edita da Gallimard.

Amici in questa disamina tiene presente le elaborazioni di Laura Grimaldi (alla memoria della quale il mio cuore si strugge visto che è morta  proprio in questi giorni) del 1996 e di Fabio Giovannini nel 2000.

Ma in Italia il carattere dominante della vicenda narrativa riconducibile al noir è quella del giallo mondatori; vicenda che qui non c’è ragione di sviluppare, ma che sta alla base della nomea entrata nel linguaggio comune italiano. In linea di massima possiamo comunque convenire con la visione proposta dal saggio: “la differenza profonda tra i due generi sta nella filosofia che sottende la narrazione”. Infatti “il giallo non descrive mai una realtà interamente caotica o malvagia e i personaggi hanno una loro etica…  mentre nel noir il mondo è iniquo e il crimine regola le relazioni…” ecc. Per questo nel noir i personaggi sono “perdenti, disperati, carogne o lucidi assassini che spesso esprimono il punto di vista del Male”. Da un lato c’è quindi una profonda differenza nella struttura della narrazione, perché non ci sono più le tre fasi del giallo canonico, anzi quella struttura tripartita collassa proprio, sotto il peso del fattore criminale che domina totalmente la narrazione. Dall’altro lato il clima e il contesto sono valorialmente negativi, devianti e trasgressivi.

Oggi comunque il termine è concepito dall’industria culturale più come un “brand”, inteso come nel lessico del marketing ovvero un fattore dinamico di promozione del prodotto, proprio per questo superficialmente indicativo e abbastanza indefinito.

 

**

 

La ricchezza del saggio, in termini di di spunti, rinvii e annotazioni, meriterebbe una trattazione sistematica con tutti i libri di Carlotto, più un’altra decina, sopra il tavolo, ma non è necessario farlo per cogliere l’impulso fondamentale che il libro offre al lettore, ovvero questo: usare il campo di forze creato dal noir per sovvertire la narrazione di regime passando” dalla letteratura della crisi alla letteratura del conflitto”.

Sono parole che hanno il respiro di un Manifesto e vanno molto oltre l’idea del noir come semplice genere, stile o ambito di investimento editoriale, e mi stimolano alcuni ragionamenti. Innazitutto il pensiero narrativo noir diventa il campo stesso del conflitto per la verità. I soggetti in campo, autori, lettori ed editori possono essere coinvolti in una partita politica che aggredisce la realtà apparente con un nuovo messaggio di libertà e impegno. Insomma una cosa che sostituisce il vuoto angosciante generato dalla fine del giornalismo d’inchiesta.

Altro ragionamento che mi viene stimolato è che oggi siamo difronte ad una forte tendenza mediatica, particolarmente televisiva , a presentare i fatti  di cronaca come misteri. E’ il risultato di un lavoro ormai venticinquennale dei format giallistici: Telefono Giallo, Chi l’ha visto, ecc. Posto che queste tendenze determinano un peggioramento del rapporto tra verità istituzionali e realtà, perché essa viene progressivamente sostituita dalla narrazione mediatica, ciò permette anche una aritmia delle campagne informative sulla quale si aprono gli spazi per la costruzione delle emergenze. La cosa ovviamente, nel periodo massimo del conflitto di interessi, ha attenuato le resistenze al cambiamento delle regole sociali, la restrizione delle libertà di stampa, ecc, non voglio ritornare su cose che ho già scritto in altri post,  sono le moderne tecniche di comando dei comportamenti collettivi. Ora, verso la fine dell’intervista ce lo spiega bene Carlotto quali siano le grandi potenzialità “eversive” del noir contemporaneo in tale contesto. Ed è una delle parti che più mi ha elettrizzato. Carlotto dice (pg 108): “Il giornalismo investigativo è morto. Il noir d’inchiesta l’ha resuscitato ed è in grado di fornire delle risposte comunque.” Occorre quindi una nuova prospettiva narrativa che prosegua nel racconto delle storie negate, per raccontare la realtà senza vincoli di genere, aprendo la narrazione dal graphic novel al fantapolitico.

In Perdas de fogu (“un romanzo che è frutto di una accurata inchiesta sul poligono di Salto di Quirra, ma essendo un romanzo, nulla è vero”) 1200/2000 pagine di inchiesta sono state trasformate in 160 pagine di romanzo. “La forma romanzata è stata l’escamotage per raccontare una storia che altrimenti sarebbe rimasta taciuta. Storie così, infatti, non possono essere divulgate, pena la querela.” Ma i lettori ne hanno fatto un uso sociale, anche recentemente in Germania, che “rompe gli argini di una reticenza sociale” che era durata troppi anni. E la conclusione è solenne: “ Difficile prevedere se sarà di lunga durata, certo ha creato una nuova figura di lettore.”(pg 135)

Oltre il noir, appunto.

Attenzione però : ciò che arriva in mano al lettore non deve essere una “inchiesta travestita, ma un romanzo”, un romanzo le cui fonti non nascono dalla fantasia dell’autore, ma da un lavoro tipico del giornalismo investigativo.

 

***

Io sono solo un lettore arrangione, anarcoide e diffidente, sono senza una formazione accademica, e confesso di non aver ancora del tutto chiaro cosa significa “romanzo di genere” confesso di non aver studiato le figure retoriche ecc. Ma ho letto e leggo tanto. Lo faccio perché mi piace, perché ho il tempo di farlo (visto che ho il privilegio della pensione e trovo la lettura, assieme al canto e alle passeggiate col cane, il miglior modo di valorizzare i quattro decenni di contributi previdenziali versati), ma soprattutto leggo per sentirmi libero. Leggo perché leggere, leggere per capire, è eversivo. Chi legge è “contro”. Chi legge corregge, contrasta, critica il sistema. Già, quando uso questa parola, che è un vero jolly, intendo il contesto orwelliano della cultura occidentale e la sua dieta, quella dieta mediatica mascherata da “democracy” che asfissia la nostra mente. Per me ogni ora passata in lettura è un’ora di lotta contro il governo. Ho passato una vita a lottare contro il governo e suoi padroni e oggi non mi lascio colonizzare la mente. Non mi lascio colonizzare da chi mente.

E la lettura di “Massimo Carlotto THE BLACK ALBUM, il noir tra cronaca a e romanzo, conversazione con Marco Amici, Carocci Editore 2012, mi ha rifornito di speranza.

 

****

Dear comrades,

                          verrà la morte e avrà i miei occhi, certo, solo allora quando non avrò più occhi per leggere, avrò smesso di lottare e sarò appagato.

Verrà la morte e avrà le mie mani fredde, con le dita in rigor mortis sulla qwerty. Ma voglio che trovi il mio cuore sincero, e il mio animo sincerato.

Sono le mie piccole parole d’amore di tanti anni fa: “Mani fredde e cuor sincero”.

La morte è un fatto naturale, voglio che la mia vita sia stata un fatto vero.

Ho lottato con la tuta e ora lotto con la qwerty, verrà la morte e avremo il party.

O bella ciao.

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1 luglio 2012 7 01 /07 /luglio /2012 23:36

Qualcosa-di-scritto-1.JPG

Me lo hanno segnalato come possibile vincitore dell’imminente premio Strega, in competizione diretta, forse, con Carofiglio e il suo “Il silenzio dell’onda”. L’ho trovato interessante, ma alla fine mi si è depositato in testa un giudizio controverso. La prosa, il tema e la qualità del ragionamento depongono decisamente a favore, ma l’impianto, come dire, “cognitivo” dell’opera non mi ha conquistato. Anzi, forse un po’ deluso e allontanato.

L’autore, che non è l’ultimo arrivato e ha un ottimo background di cultura e letteratura, quand’era un po’ più giovane ha lavorato al Fondo P.P.Pasolini a Roma in Piazza Cavour, realizzando un’esperienza che oggi ci ripropone in forma meditata ed annotata. Allora aveva l’obiettivo di raccogliere tutte le interviste di Pasolini dai tempi di Ragazzi di vita (’55 – ’75), ma per realizzarlo doveva stare sotto il giogo di Laura Betti, cosa assolutamente penosa e opprimente al punto che per tutto il libro la conosceremo come “la Pazza”. “Mente ustionata e smarrita” egli scrive. Ma al centro della scrittura di Trevi non c’è una narrazione bensì una sorta di testimonianza culturale, una sua ricerca di incontro spirituale con l’animo artistico e culturale dell’ultimo Pasolini.

Trevi lascia trasparire una visione molto alta della figura letteraria di Pasolini e lo accosta a Cèline, Sylvia Plath. Mishima e altri che non conosco, proponendolo come perfetto rappresentante dell’età moderna anche se inconsapevole del fatto di essere al tempo stesso uno degli ultimi.  Si tratta del Pasolini di Salò o le 120 giornate di Sodoma ma soprattutto il Pasolini di Petrolio, opera complessa e controversa sulla quale si concentra la gran parte dell’idea motivante e del lavoro di scrittura di questo libro.

*

Si parte molto bene, l’approccio è seduttivo e promettente, al punto che si può anche rimandare la sosta prandiale arraffando biscotti (a basso contenuto calorico mi raccomando!) e analcolici. La lettura richiede concentrazione, un certo interesse per la tematica, e dunque, acquisite tali premesse, scorre veloce. Man mano che si procede però ci si accorge che ciò avviene fustigando le curiosità morbose o le lusinghe dietrologiche che caratterizzano la recente letteratura sul caso Pasolini. E qui c’è il punto problematico della mia  lettura. Ma andiamo con ordine.

Trevi, che in certi punti è assolutamente magistrale, accenna alla sua visione della letteratura moderna e delle sue tendenze con profondo acume ed ironia: accenna a Gordon Lish ad esempio, famigerato editor di Rymond Carver, per concentrarsi su questa figura professionale moderna, l’ ”editor” appunto, la quale a suo avviso sta per “ trasformare la letteratura tutta intera in narrativa”… fenomeno ineluttabile quanto repentino, simile ad un “colpo di stato spirituale”. E qui l’ho apprezzato perché mi ha fornito una chiave di comprensione per ciò che sta accadendo nell’editoria di questi anni in cui si riesce sempre meno a distinguere tra romanzo e saggio, tra testo e contesto, tra  “autore”, inteso come scrittore, e “testimonial”. Anni in cui le librerie sono sempre più piene di testi scritti da cuochi, politici, calciatori, cantanti… ecc. “E’ un romanzo, ma non è scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua è quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia.” Scrive Pasolini a Moravia a proposito di Petrolio. E più avanti Trevi dice del romanziere attuale che è un po’ una “persona informata dei fatti” e un po’ “fa finta, si tira indietro, conosce quello che basta per descrivere e quello a cui invece bisogna rinunciare per non soccombere.” Parole sante. Almeno per i miei gusti di lettore. Lo stesso Strega l’anno scorso ha premiato un testo che contiene molta più sociologia della globalizzazione che narrativa.

Ma così è in definitiva anche questo libro dove “qualche cosa di scritto” è l’espressione che a questo punto diviene un nuovo titolo, una nuova definizione di Petrolio. E Petrolio diviene un’opera dove scrivere “… significa intrattenere con le parole la stessa penosa intimità che unisce il bambino che piscia nel letto alla chiazza tiepida che si allarga sul lenzuolo”. Ottimo. Inoltre concordo con quanto detto a pagina 125: con Pier Paolo Pasolini se ne va anche il Novecento di Pollock, Artaud e Mishima come il Rock se ne è andato con Kurt Cobain nel 1994…

Ecco, questa è la parte che più mi affascina a mi coinvolge del libro. E si tratta di un discorso che calza con il travaglio della letteratura e dell’editoria moderne.

Poi ci sono altre parti più leggere e piacevoli. I personaggi descritti per esempio.

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Ho già accennato alla povera Laura Betti, uno dei miei miti erotici del sessantotto (tra l’altro qui proposta in copertina proprio con una foto di quel periodo). Credo che solo gli addetti ai lavori, gli amici e i conoscenti sapessero della sua evoluzione bulimica e psicopatica degli ultimi anni di vita. Io non ne sapevo niente ed ho trovato perciò molto curioso e malinconico conoscerla nei termini coi quali Trevi la descrive. E’ una sprezzante paranoica aggressiva, dispettosa e turpiloquace che arriva al punto di orinare per dispetto nell’ascensore quando scopre che lei e i suoi due accompagnatori (Trevi stesso e il semiologo Massimo Fusillo) non sono sistemati in tre, ma in due camere d’albergo…  Ciò detto Laura Betti è la figura principale ed è anche trattata con rispetto e devozione artistica in vari frangenti del testo. Anzi, su di lei il libro raggiunge il suo livello più alto, ai limiti del tributo, con le parole acute che Trevi usa  a pagina 203, laddove ci rivela che la voce del demone nella versione italiana del film L’Esorcista, di Friedkind, è di Laura Betti e la genialità di quella storia sta proprio nel fatto che quel demone “rivela il suono della sua voce come il più osceno e terrificante dei suoi attributi”.

Poi ci presenta altri personaggi, nomi noti della letteratura come Walter Siti o sconosciuti come Dragan e Ljuda, tutta gente che è passata per la sede del Fondo Pasolini. E a seconda del personaggio il discorso vaga per territori vasti e imprendibili, o a volte semplicemente sconcertanti come i capitoletti sado-maso durante i quali confesso di essermi fermato per un time-break che, oltre a permettermi di portar fuori il cane, mio gran compagno di letture, mi ha permesso di staccare un po’ la testa dal senso di disgusto. Ecco, qui è bene a mio avviso organizzare una cena come si deve e rimandare al giorno dopo la ripresa della lettura. Magari, come nel mio caso con dei filetti di platessa, zucchine lesse e purea di patate accompagnate da un buon vino bianco fresco (come ad esempio un soave brut dei vigneti di Monte Tondo). La platessa è molto digeribile e gustosa, basta star leggeri col burro ed essa sfama dando un senso di profumato di candore e digeribilità che ben contrastano il sapido gusto del sadomaso, (specie se connesso ad immagini allusive di variegati fluidi corporei… )

***De-Sade.JPG

 

Veniamo ora al punto dolens, ovvero il fatto che questo testo veicola un messaggio fortemente “anticomplottista” sulla vicenda Pasolini e propone una visione della sua figura artistica più esoterica che corsara.

In questi ultimi anni sono emerse evidenze che Pasolini è stato ucciso con molta violenza da più malavitosi e che, probabilmente, costoro agivano su mandato dei centri occulti di potere che la sua opera stava attaccando. Il libro di Trevi lo nega. Beninteso, non mi sembra affatto questo il principale intento autorale, perché si tratta di un’opera che si occupa di molto altro, e al contrario vagheggia una certa indifferenza per il tema, ma in realtà è un discorso che troviamo in vari punti e a volte trattato con acrimonia.

Egli scrive di aver letto il dattiloscritto originale in fotocopia di Petrolio e di considerarlo un “qualcosa di scritto… che va molto oltre il concetto stesso di “letteratura”. Insomma un testo del quale i suoi scarsi lettori avrebbero capito poco e rinvia alla lettura del commento De Laude per quanto attiene all’ipotesi, cara ai complottisti, secondo la quale Pasolini nella preparazione di Petrolio disponesse di fonti particolari (servizi segreti, documenti speciali o altro)  In particolare, e non senza una certa dovizia filologica, questo aspetto viene affrontato in una nota al testo, la 17 di pagina 117. Qui l’autore, dopo essersi scagliato con immotivata veemenza in una insolita invettiva contro” il carattere italiano medio”, contro il gusto per il “ giallo, il noir, l’intrigo col morto…” ma soprattutto contro “ i letterati di sinistra ” i quali a suo dire “ onorano, nel detective, la suprema forma della conoscenza “, attacca la teoria del “capitolo rubato”.  Si tratta di un mainstream  di questi ultimi anni, sostenuto anche da familiari, secondo il quale a ridosso della sua morte sarebbero avvenuti dei furti tra le carte di Pasolini finalizzati alla eliminazione di parti del romanzo già scritte ma compromettenti per i giochi del potere. Sarebbe stato bello che tale tesi fosse dimostrata dal ritrovamento del capitolo “lampi sull’ENI” del quale il senatore dell’Utri aveva solennemente annunciato di essere entrato in possesso.  Ma tutto sinora si è risolto in un nulla di fatto.

Io sono di sinistra e amo il noir per cui ho cominciato a sentirmi escluso dal target cui l’autore pensava di rivolgersi idealmente quando scriveva quelle parole, in ogni caso ho solo continuato a leggere, registrando che questa parte del libro esprime di fatto una precisa presa di posizione in proposito.

 

Profondo Nero è un libro dedicato a Pier Paolo Pasolini uscito per Chiarelettere nel febbraio 2009.  In esso gli autori Giuseppe Lo Bianco e Sandra Razza sostengono con solide argomentazioni che quella di Pasolini è una storia pienamente inserita nelle trame nere italiane dove sguazzano fascisti, servizi segreti e personaggi violenti, nonché squallidi della malavita siciliana e tiburtina. Per dirla in sintesi la tesi del libro, formulata sulla base dello stato degli atti di varie inchieste concluse a metà degli anni duemila, è che i delitti Mattei, De Mauro e Pasolini sono collegati tra loro in una lunga trama nera, la stessa delle stragi di stato, una trama che Pasolini conosceva e stava ricostruendo e denunciando con l’obiettivo di svergognare un’intera classe politica non solo italiana. Ora, io sono un lettore che sta al gioco e cerca sempre la complicità con l’autore;  perciò non entro nel merito dell’assassinio di Pasolini. Riconosco che non è questo il tema del libro, anche se il capitoletto sul “pellegrinaggio” all’idroscalo lo richiamerebbe, e tralascio richiami e considerazioni sui particolari di quella morte. Ma in un’opera come questa, costruita sulla grandezza e sulla dimensione intellettuale di un protagonista del Novecento è difficile rimuovere il carattere battagliero, corsaro e alla fine eroico, di un autore che emergeva in quanto antagonista del potere e dei suoi trucchi violenti, uno che non solo non ci cascava, ma che anzi, era in grado di capirli, prevederli e ridicolizzarli.

Il Pasolini di Trevi mi è parso invece un artista intimo ed introverso, un uomo che certo comprende e disprezza il potere, ma si limita a stare in disparte nei suoi salotti che pur frequenta. Un artista che nell’ultima parte della sua vita cercava l’iniziazione ai misteri eleusini, più che la comprensione dei misteri italiani. Per Trevi quindi Petrolio non è il documento trasfigurato della ricerca di verità contro il potere politico, mediatico, consumistico che Pasolini annunciava nella sua invettiva pubblica oggi nota come “io so”, ma è solo “qualcosa di scritto” scopiazzando le analisi politiche dall’Espresso tra una ricerca e l’altra di “cazzi grandi” per film e notti violente con suggestioni sadiche.

Io amo sognare, è per questo che leggo, amo la verità e se non la raggiungo la sogno, ma ormai ho un discreto numero di anni di vita dietro di me e a volte sono anche cinico. Mi rendo conto che quelle parole di Pasolini: “ Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l’aiuto della CIA (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato… una crociata anticomunista a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista… Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato disposizione e assicurato la protezione a vecchi generali…” ecc. pubblicate da Piero Ottone sul Corriere della Sera qualche mese prima della sua morte, sono oggi un ottimo manifesto per una sorta di filocomplottismo sinistrorso, e in questo gioco un uso acritico delle parole di Pasolini può nutrire qualche manovra politica sgradita in particolare al presidente della Repubblica, ma non rinuncio a credere che siano vere e vogliano dire esattamente ciò che dicono. E la eliminazione, fortemente simbolica, di chi le ha scritte non solo ha punito chi ha avuto il coraggio e la sfrontatezza di dirle, ma lo ha anche fermato perché lui, Pier Paolo Pasolini, quelle cose e quei nomi le stava scrivendo in un romanzo, che oggi conosciamo col nome di Petrolio.

Trevi esamina gli Appunti di Petrolio ma non lo fa sistematicamente, lo fa secondo un itinerario erratico e senza finalità analitiche. Per carità, è una scelta di sviluppo testuale assolutamente libera e legittima per un’opera letteraria che, per quanto dotta e fondata, faccio fatica a definire “narrativa”, ma che sul mercato librario è proposta come tale. Perciò che faccia pure, ma anche per questa ragione il suo qualcosa di scritto mi ha lasciato un senso di delusione e falsa neutralità. Per me questo è un libro da leggere, sì, perché è ricco e ben scritto, ma non da premiare perché lavora contro un processo di verità che il nostro Paese, a partire dalla sue energie intellettuali, deve fare se non vuol lasciare la letteratura in un ruolo di puro asservimento al potere.

Io sono solo un  lettore, ma un lettore libero, e penso che Pasolini non possa essere ricordato in un’opera come questa, che è di un certo spessore, prescindendo dal significato della sua morte. Io sto con chi oggi porta avanti un lavoro di aggregazione di una area politico culturale antagonista alle balle di stato, un’area oggi come allora temuta dalla sinistra conformista e odiata dalla moderazione, un’area che oggi ha anche a disposizione un quotidiano di successo che non dipende dai finanziamenti di Stato. Speriamo che duri.

E la lettura di questo libro è stata un’esperienza lontana da questo mio sentire.

 

                                                            ****

 

 

Un pensiero per Pier Paolo:Pasolini-morto.jpg

<<Non mi ricordo se c'era la luna,

 

e nè che occhi aveva il ragazzo,

 

ma mi ricordo quel sapore in gola

 

e l'odore del mare come uno schiaffo.>> Francesco De Gregori, A Pà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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28 giugno 2012 4 28 /06 /giugno /2012 19:40
libro-predatori-notturni-copia-1.JPG Joseph Farrell qualche anno fa era consigliere della moderna Walt Disney. Nel 2001 ha scritto Beards of Prey dove racconta, non senza qualche stereotipo tipicamente americano sull’Italia, che il DC9 di Ustica fu abbattuto dai loro Top Gun per conto di Israele.
 
All’inizio i diritti erano stati contrattualizzati solo per il mercato anglofono, ma nel 2007 la Mondadori ha comprato i diritti e pubblicato in Italia la traduzione di Giuseppe Gallo col titolo Predatori Notturni.
 

                                                                                    *
 
 
Viva l'Italia, l'Italia di Ustica e i suoi brontosauri
 
Lo ha solennizzato ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano col comunicato che segue, e lo ha commentato anche il deputato Rosa Callipari, il cui cognome muliebre ci richiama sempre il concetto che l’Italia è una repubblica a sovranità limitata. 
Messaggio del Presidente Napolitano nell'anniversario del disastro di Ustica
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella ricorrenza del trentaduesimo anniversario del disastro di Ustica, in un messaggio alla Presidente dell'Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, Daria Bonfietti, ha rinnovato ai famigliari delle vittime la sua affettuosa vicinanza e quella dell'intero Paese: "E' motivo di profonda amarezza dover constatare come lunghi anni di indagini non abbiano ancora consentito di individuare i responsabili di una vicenda così tragica e inquietante. E' indispensabile che le istituzioni tutte profondano ogni sforzo - anche sul piano dei rapporti internazionali - per giungere a una compiuta ricostruzione di quanto avvenne quella drammatica notte nei cieli di Ustica e favoriscano lo svolgimento delle difficili indagini tuttora in corso. In questo contesto, ritengo pertanto meritevole di apprezzamento l'iniziativa di celebrare l'anniversario rendendo pubblici gli archivi digitalizzati dell'associazione: iniziativa che rappresenta un ulteriore tassello dell'impegno generoso e costante dei congiunti delle vittime nel perpetuare il ricordo di quel drammatico evento". [ corsivo mio ]
Roma, 27 giugno 2012
Quindi ora possiamo affermare, mossi da responsabile senso civico, che il trentaduesimo anno esiste. E, calendario Maya permettendo, possiamo sperare che arrivi inesorabilmente anche il 33, con quello che significa… (vedi due post indietro). Ma io notoriamente sono un inguaribile “dietromane” e non riesco a leggere questo comunicato senza correlarlo a quest’altro:
Anticipazione: Mercoledì 4 luglio riunione del Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha convocato il Consiglio Supremo di Difesa, al Palazzo del Quirinale, per mercoledì 4 luglio 2012, alle ore 10.30.

L'ordine del giorno prevede la trattazione dei seguenti temi: esame dei principali scenari di crisi e delle loro possibili tendenze evolutive, con particolare riferimento agli sviluppi della "Primavera Araba", alla situazione in Siria e Iran e all'andamento del processo di transizione in Afghanistan. Stato e prospettive dell'impegno italiano nelle missioni internazionali; risultanze del vertice NATO di Chicago e sviluppi della cooperazione internazionale per l'integrazione degli strumenti militari in ambito Alleanza e Unione Europea e a livello bilaterale; stato di attuazione del progetto di razionalizzazione e riorganizzazione delle Forze Armate: aggiornamento sui principali aspetti (deflusso del personale in eccedenza; rimodulazione degli investimenti; recupero di risorse per l'esercizio; prospettive di sinergia interministeriale, interforze, multinazionale e civile-militare; piano di comunicazione) e provvedimenti sin qui assunti. [ corsivo mio ]
Ora, lasciando stare la facile domanda polemica che mi viene sulla punta della lingua, e cioè se il “deflusso del personale in eccedenza” avviene o no attraverso un accordo di esodo e se in tal caso sia stata invitata la ministra Fornero a munirsi di calcolatrice, io penso che la riunione serva a ratificare il via libera per l’attacco siro iraniano e cercare di capire quanto costa. Nel frattempo si fa impellente il bisogno di svecchiare i brontosauri annessi allo stato maggiore e quindi bisogna mandar loro un segnale preciso di accondiscendenza all’esodo, senza però alzare troppo il prezzo perché siamo in tempi di spending review…consiglio-supremo-di-difesa.png
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Ricordo che il Corriere della Sera del 22 settembre 2011 ha annunciato dopo 31 anni di ritardi, che il DC9 di Ustica fu abbattuto durante un’azione militare segreta in cui “c’era un altro velivolo militare”  e che pertanto non ci fu alcuna bomba. Fu uno scontro tra caccia ed uno di essi si nascose sotto il DC9 attirando il missile.
Questa è oggi la verità ufficiale. Pertanto il problema oggi non è più quello di ottenere la verità sulla querelle bomba o non bomba perché è acquisito giuridicamente che fu un missile ad abbattere quell’aereo con 81civili a bordo. Il problema oggi è piuttosto quello di dare o no in pasto all’opinione pubblica i colpevoli delle coperture e depistaggi illegali che vennero messi in atto per nasconderla. Quindi la presidenza sta parlando a nuora (il popolo) affinché suocera  (i generali della marina e dell’aeronautica) comprenda che si rischia di passare alla fase del “fuori i nomi”. Problema questo di non poco conto se qualcuno di tali nomi è ancora in carica…
Anche perché possiamo scommettere che i brontosauri che oggi sono in alto nella carriera sono proprio quelli che allora erano solerti attendenti.
 In tempi di antipolitica montante, considerando che il giudice Paola Proto Pisani ha condannato il ministero della difesa e del tesoro ad un risarcimento pari a 1000 (mille) milioni di euro per la vicenda Ustica, non sarebbe poi tanto fuori luogo l’idea di cominciare sequestrando le buone uscite dei suindicati brontosauri.Ustica-di-Palermo-copia-1.jpg
Ovviamente le mie sono solo maldestre supposizioni da vecchia zecca comunista, ma per chi ama proprio le supposizioni, che sono un grande fattore di ispirazione narrativa, posso suggerire una lettura.
 
                           
                                                                   ***
 
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26 giugno 2012 2 26 /06 /giugno /2012 16:51

Rio+20 salute

Leggo che il vertice di Rio+20 si è concluso senza grandi novità, anche registrando strane alleanze cattolico-islamiche nelle votazioni del documento finale. Il tema riguarda i “diritti riproduttivi delle donne”, sul quale non è difficile trovare appoggio nelle culture islamiche per quanto attiene alle autonomie decisionali femminili, soprattutto in campo sessuale. Ma la novità, il fuoriclasse, lo ha messo in campo il Vaticano: si chiama padre Philipp J. Bene ( e credo che la “ J ” centrale non sia priva di significato), ha 44 anni fa il portavoce vaticano all’ONU ed è riuscito in una intensa giornata di lavoro a scardinare parecchie  alleanze che erano state precostituite in vari mesi di lavoro diplomatico. Egli ha fatto convergere  inaspettatamente, alle due di notte, in sede di votazione, Polonia e Cile sulle posizioni di Egitto e Siria a sostegno di un’altra settantina di paesi in via di sviluppo…

Bravo. IL Vaticano in quanto Stato non aveva diritto di voto, ma ha vinto. La scuola plurimillenaria della diplomazia vaticana è ancora una squadra da Mundial.

 

                                                                                    **

 

 

E bravo Profumo. Profumo di Passera ovviamente, ma niente di malizioso mi raccomando; solo uno squarcio sullo scenario futuro del governo tecnico. Col passaggio delle “Tracce”, ovvero i titoli dei temi per gli esami di maturità, dal supporto cartaceo a quello magnetico hai risparmiato un sacco di soldi contribuendo così alla spending  review. Ha indicato un modello virtuoso per tutta la pubblica amministrazione non fondato sulle cattiverie contro i pubblici dipendenti cui ci aveva abituati il ministro nanetto degli ultimi tre anni… E come se non bastasse ha anche sollevato il corpo dei CC da un anacronistico compito di supervisione sul trasporto e le consegne dei vecchi plichi cartacei. In pratica i vecchi “gendarmi con i pennacchi e con le armi” sono stati sostituiti da una password e un semplice decrittatore, con una figura innovativa: il Referente di Plico.

 Bravo. E gli studenti furbacchioni? Gli studenti 2.0 (quelli dell’epoca social networking) devono consegnare i cellulari, ma possono portare in aula le bottigliette di acqua minerale per dissetarsi dall’afa allucinate di questi giorni. Le bottiglie hanno l’etichetta e l’etichetta è un vero foglio di carta dove al giorno d’oggi ci sta un mezzo Bignami. Gli studenti possono portare al polso orologi-computer con cavetto USB incorporato e giocare allo 007. Leggo che oggi gli studenti  hanno il laser a portata di mano. Mamma mia come sono cambiati i tempi… Ma su tutto ciò veglia San Giuseppe, il quale, da quel gran lavoratore che è, fa anche il patrono dei maturandi.

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