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L’ultima notte del Rais di Yasmina Khadra (Sellerio 2015) –
150 pagine che romanzano la morte di Mohammar GEDDAFY. L’autore, algerino, si chiama Mohammed Moulesshoul ed è un militare di carriera che ama scrivere.
Un militare che scrive e pubblica con successo mi fa pensare, da qui quindi la mia curiosità.
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Notte a Sirte 19 Ottobre 2011. Geddafy riposa davanti alla tenda come lo zio tuaregh della sua infanzia che prendeva il tè nel deserto. Sente che le sue guardie del corpo dubitano, ma si sente ancora forte e sicuro, basterà la fede.
Ma si trova in una scuola abbandonata del distretto 2 e i cecchini sono appostati. Forse il rais sottovaluta e scambia due parole con l’attendente. Si rende conto che costui non sa perché succede ciò che succede in Libia e lo caccia perché aborre i suoi ragionamenti. Ma anche gli altri suoi fedelissimi come Abu Bakr, mostrano un profilo da “bandiera a mezz’asta”. La situazione è critica, vicina allo sfascio, con il rischio di bombardamenti. I figli di Geddafy con i loro incarichi militari sono deludenti.
Alla fine, nell’intimità con Amira verifica la scorta di eroina in esaurimento e rinuncia, cosa rara, ad onorarla a letto. Pensa alle donne che hanno ceduto al suo potere e a quella di cui ha abusato solo grazie al potere nel 1972. Sogna di incontrare Vincent Van Gogh nel deserto. Una visione che gli ricorda il successo del colpo di stato del 1 Settembre 1969 quando sfruttando l’assenza di re Idris, realizzò assieme ai suoi seguaci militari l’operazione “pugno di ferro”.
Geddafy vede nel suo onirico Van Gogh una sorta di ispiratore salvifico che appare in sogno per aiutarlo con messaggi e premonizioni. Anche il libro verde e il colore della bandiera nazionale da lui scelte si ispirano al cappotto di Van Gogh…
“Il potere è allucinogeno, perciò non si è mai al riparo dalle fantasie omicide “ PG61
In un colloquio col suo braccio destro Al Mansour, Geddafi perpetua il suo errore di valutazione sui pericoli immanenti e si mostra convinto che il popolo insorgerà in sua difesa perché si rederà conto che in giro per le strade della Libia c’è Al Quaeda. “Vinceremo entro la fine di Ottobre”.
Ed ha un terribile scatto d’ira quando l’interlocutore non nega ch’egli abbia commesso errori nella gestione degli affari si Stato tali da far sì che ora il popolo si ribelli. Tutto ha un prezzo, la fedeltà e il tradimento… il coccodrillo non si ammannisce asciugandogli le lacrime.
Il mattino seguente Abu Bakr gli mette assieme una scorta di dodici auto con una cinquantina di soldati ben equipaggiati tra i quali il giovane tenente colonnello Brahim Trid, “l’Otto Skorzeni personale” il giovane militare intrepido e di intelligenza superiore che gli ha messo al riparo in Algeria alcuni componenti la famiglia. Ed è previsto inoltre l’arrivo delle milizie inviate dal figlio, capo delle forze armate. Basta solo aspettarlo preparati.
Un prigioniero davanti alla morte gli dà del bastardo e questa parola turba profondamente Geddafy come le apparizioni oniriche di Van Gogh.
Chi è Albert Preziosi? E’ il vero padre di Muhammar, un pilota corso abbattuto nel deserto nel 1941 e poi salvato e curato dalla famiglia di Geddafy. Il suo padre naturale. Questo è il risultato di una inchiesta condotta dall’esercito di sua maestà re Idris quando venne esaminata l’istanza di promozione a capitano. Muhammar capì che era la verità e ruppe i rapporti con la famiglia che glielo aveva taciuto.
Inizia il bombardamento e arriva la consapevolezza di essere stati presi nella trappola finale. (pg 122) Le prossime 40 pagine sono una frenetica ricostruzione della fine di Geddafy. La colonna d’auto blindate riesce a ricongiungersi con quella del figlio, ma sarà inutile. La superiorità militare degli insurgers, in particolare per l’uso dei droni, sarà decisiva. Il cerchio si stringe ed uno dopo l’altro i protagonisti del regime cadranno sotto colpi di ragazzini super armati e indiavolati.
In questa fiction sembra che sia il popolo a linciare Muhammad Geddafy , inoltre l’autore sembra mosso da un odio personale che condisce la scena con maltrattamenti estremi degni solo di fantasie infantili.
Il momento della morte di Geddafy è stato filmato col telefonino e diffuso in tutto il mondo. La ricostruzione di Yasmina Kadra (Mohmmed Moulessoul) ne fa una iperbole rivoluzionaria come se fosse stato il popolo giustiziere a uccidere il Rais mentre in realtà sono stati solo dei barbari ultra armati e foraggiati dall’occidente.
Ma l’autore, ex militare algerino che vive in Francia, è prigioniero della propaganda antilibica e racconta una storia che non va oltre le ricostruzioni di comodo fatte all’epoca. L’enfasi viene posta sui tratti istrionici ed egopatici dell’uomo Geddafy come se l’occidente si fosse mosso per liberare il popolo da un tiranno maniacale.
In realtà dopo la caduta di Muhammar Geddafy il mondo è cambiato in peggio e oggi la situazione dei gruppi tribali libici è allo sfascio. In Libia ci sono due governi e quelli stessi insurgers che hanno linciato il rais si sparano uno contro l’altro quotidianamente senza un senso, un obiettivo un’ideale o una speranza che li guidi. Quella operazione, quella guerra, voluta da Stati Uniti, Francia ed Inghiterra, è servita solo a forgiare una leva di terroristi che ora usano le armi e gli arsenali libici in Siria contro Assad. E la televisione occidentale tace, anzi nasconde una realtà che è più cruda delle stesse fantasie vendicative di questo libro. Un racconto sull’ultima notte del rais, che lo fa parlare in prima persona senza alcun accenno alla politica di Geddafy, allo sviluppo della Libia, alla battaglia per l’autonomia e il futuro dell’Africa.
C’è da chiedersi come mai la Sellerio, che di solito ha buon gusto, si presti ad operazioni propagandistiche dal sapore ripugnante come questa.