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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

L’attimo colto, a Praglia nel 2001

cartolina PragliaA Praglia il bucranio appare ripetutamente sul portale della sala del refettorio grande, nella abazia. Esso richiama il bue, corrispettivo ammansito del toro selvatico e costituisce un simbolo di servitù pacifica, forza paziente e sicura come il monachesimo che ci parla attraverso le opere rimaste nella storia. Quell’immagine quindi, il cranio del bue all’interno della metopa, ci ha fornito la chiave per godere della visita.

Ci si arriva facilmente in camper da Monteortone; noi ci siamo arrivati ad ora di pranzo di domenica mattina, ovvero l’unico momento della settimana in cui il parcheggio è gratuito. Ma alle 14, durante il riposo postprandiale nell’ampio e poco frequentato parcheggio, siamo stati colti dai parcheggiatori i quali, con quel contegno giovanile tra l’educato e il furbesco caratteristico delle cooperative sociali frequentate da ex - tossicodipendenti, ci hanno chiesto ben quattro Euro e tredici centesimi.

In realtà credo che l’avveduto camperista debba notare la tourist – trap insita in questa situazione. Il parcheggio è inevitabile perché altrimenti si dovrebbe lasciare il mezzo nel centro abitato per arrivare in bicicletta e pertanto tocca sottostare alla regola venale della tariffa oraria. L’idea della bicicletta come complemento si è quindi confermata nelle nostre teste per la prossima visita.  Cosa questa che ci siamo ripromessi di fare nei periodi di apertura al pubblico della favolosa Biblioteca abaziale. Per il momento ci siamo goduti l’occasione di una visita guidata dalle parole di un giovane e colto frate benedettino.

 Praglia deriva dal latino “pratalae” o dall’arcaico “pratiale” e significa “in mezzo al prato”, o “dei prati” che dir si voglia e sorge in un’area valliva tra due colli Euganei di quelli bassi, che si staccano “come satelliti” dal contesto montuoso. Ad est abbiamo infatti il Monteortone, dal quale siamo arrivati, ad Ovest, molto più vicino, il colle delle Are, segnato sulle carte anche col nome di Monte Lonzina.  E’ quindi in una posizione felice e pacifica. Così devono averlo infatti concepito i frati cluniacensi nell’undicesimo secolo, quando iniziarono la costruzione e così deve averlo visto anche il Barbarossa che provvide poi, un centinaio d’anni più tardi, a confermare loro la legittima proprietà, anche dei terreni circostanti “in qualunque modo e con qualunque diritto fossero stati acquisiti”.

Col passare dei secoli il monastero si è sviluppato come un complesso architettonico di stili diversi, composto da più edifici variamente integrati fra loro. Un solo punto di vista, dall’interno permetterebbe al turista di cogliere con un solo scatto la pluralità di stili ed epoche condensate in quel complesso di edifici, ed è appunto l’angolo sud – ovest del chiostro pensile al cospetto del bucranio, sotto il portale del Refettorio Monumentale. Ma il divieto di introdurre apparecchi fotografici e cineprese impedisce di togliersi questa soddisfazione e per portarsi a casa quell’ immagine tocca acquistare la cartolina illustrata all’uscita.

Dopo le parole iniziali dedicate alla storia del monastero, la visita si svolge rapida tra il chiostro rustico e il chiostro botanico salendo scalinate a pendenza rinascimentale che conducono alla sala capitolare e al chiostro pensile per approdare finalmente al refettorio monumentale. La specificazione è necessaria per distinguerlo dal refettorio quotidiano che si trova da un’altra parte e non ha la solennità né le particolarità artistiche di questo.

In questa sala ampia e solenne si sono tenute e si tengono le riunioni degli abati priori di vari monasteri e, forse proprio per questo, il tema del potere e delle sue lusinghe appare citato ripetutamente nelle decorazioni lignee degli scranni. In queste decorazioni, che stanno in cima allo stallo ove siede il monaco per mangiare, abili artigiani decoratori dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, hanno riposto, su commissione monacale, vari stemmi, imprese e cifre, creando un gioco di significati che stuzzica lo spirito e che forse va oltre le intenzioni degli stessi committenti… Ogni commensale si ritrova sotto un motto creando, se così lo si vuol intendere, un’ allusione alla integrità della sua persona.

 Il codice simbolico è abbastanza intuitivo ed è tipico del gusto tardobarocco. IUSTITIA e FORTITUDO fanno da contrappunto simbolico al PESCE  e al ROSETO utilizzando un suggestivo linguaggio fatto di scene allegoriche e motti latini. La giustizia infatti viene rappresentata dal giudizio di Salomone; la Forza da Sansone che spezza le colonne del Tempio, mentre il pesce è rappresentato fuor d’acqua, sopra un fregio che reca un cartiglio con la scritta "“in sicco moritur" come a dirci che “tra le aridità del digiuno e della penitenza muore il vizio”, il quale ha vita solo nel piacere e nelle delizie di chi può permettersele. Il Roseto è rappresentato con i boccioli racchiusi perché, come ci dice la chiave riposta anche in questo caso nel cartiglio, “sub sole patebunt” cioè le rose sbocceranno al sole. Su questo significato manifesto si può poi sviluppare la metafora fino a concludere che allo stesso modo delle rose “i segreti intendimenti del nostro cuore si sveleranno solo alla chiarissima luce del giudizio…” ecc. ecc. Il fratino si sbizzarrisce nella scelta degli esempi , ma non può ovviamente citarli tutti e così rinvia all’acquisto del libretto che li riassume e che si trova in vendita nello shop dell’uscita.

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 Dopo la descrizione della sala sulla cui parete ovest campeggia tra l’altro l’affresco della Crocifissione eseguito da  Bartolomeo Montagna nel 1523, il gruppo si avvia seguendo il saio della guida, ma mentre sfuma la in questa prospettiva solenne, alla mia distorta mente dietrologa non sfugge il richiamo di un fregio, uno perfettamente mimetizzato tra gli altri, ma che cattura il mio sguardo come un potente magnete: INHAERENDO PUTRESCAM. L’attrazione è potente perbacco… come resistere alla tentazione di dedicarlo a chi so io, in fin dei conti non lo saprà mai nessuno. E così retrocedo per avvicinarmi e contemplarlo nel dettaglio: una vite tronfia di sé sostiene a malapena i tralci piegati fin che l’uva tocca terra. Marcirà per l’attaccamento, dice il fregio latino. Ecco si, è perfetto; non può essere che per chi dico io… anche perché dall’altra parte, in perfetta giustapposizione, si trova l’albero colpito dalla scure: NON UNO CONCIDIT ICTU già, è vero, non cade con un colpo solo, occorre perseverare per ottenere lo scopo. Così a completamento di quella piccola, ma emozionante illuminazione mentre, solo, nell’enorme salone rischio di farmela addosso, la mia mente eccitata coglie il messaggio finale: COMPLETUR CURSU.  Un ostensorio sorretto da fregi lignei fluttuanti in ogni direzione mostra dentro di sé una luna in prima fase e il significato del cartiglio mi appare nitido: “si compirà a corso finito”, occorre attendere sino alla fine del ciclo per vederlo compiuto… la perseveranza nella virtù conduce alla gloria. Ecco, questo dev’essere per me… Carpe Diem!   

Avvertendo il ritardo dal resto del gruppo, riparto spedito e passando sotto al bucranio avverto un senso di incoraggiamento: “resta nel gruppo, segui la guida” e mi ritrovo nell’Interno Chiesa, ove si svolge l’ultima tappa della visita.

 La basilica è stata eretta nel sedicesimo secolo e dimostra la propria epoca di costruzione con la facciata semplice, ma dalle linee inequivocabilmente barocche. E’ una costruzione voluminosa, che vuole essere solenne, ma è incompleta e ne soffrono le proporzioni Abside/Navata. “Il solo transetto della basilica di SANTA GIUSTINA a Padova è più grande di questa navata”, spiega la giovane guida e con le sue parole si nota la sproporzione, l’inutile spazio antistante la facciata, lo spazio inutilizzato di una spianata enorme ma vuota. “Saranno mancati i soldi per finirla”  è il commento ironico della guida mentre ci riconduce al punto di partenza. Qui noi riceviamo il suo umile, ma signorile saluto e lui riceve le mance dei turisti i quali, chi si chi no, non avendo pagato biglietto di entrata, contribuiscono in questo modo alla manutenzione dell’edificio a beneficio dei posteri.   

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Ritornando al camper rifletto su come, oltre ai pregi architettonici parecchie altre stimolazioni vengono offerte dalla visita. Ad esempio.

 La sala capitolare mostra sul pavimento le pietre tombali che portano all’ossario sottostante, dove riposano i resti dei monaci di tutte le epoche; dev’essere un ossario enorme se si considera che la dimensione media della comunità è stata di 35 ospiti per una trentina di generazioni. Inoltre una parte dev’essere adibita a cimitero, con le salme intere delle ultime generazioni, per cui a parte i problemi di spazio, se si pensa che tra le due ultime guerre la comunità era arrivata a più di ottanta ospiti, dev’esserci qualche leggera forma di aerazione, per evitare inopportune mummificazioni dei cadaveri. Insomma nel chiostro più basso, sotto quello pensile, l’aria dei vivi dev’essere promiscua con l’aria dei morti; e a questo proposito è suggestivo immaginare il nostro fratino dopo l’ora nona camminare tra le arcate ogivali in compagnia dello spirito di qualche inquieto frate medievale, mentre assieme meditano sul mistero della Resurrezione aiutati dai versetti di Paolo ai Corinzi “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”(1°Cor.XV-20) B Maddy Praglia

 L’affresco del Montagna non è straordinario, anche se ha il suo fascino. Ai piedi della croce sta, sulla destra di chi guarda un classico San Giovanni con capelli e clamide rossi, ma senza raggiungere il netto rosso cremisi delle tele del Giambellino; il nostro Giovanni inoltre è tozzo ed impalato da un alberello che sembra gli sbuchi dallo stomaco. La Maddalena abbraccia il pedicroce senza alcuna convinzione come se dovesse solo chinarsi per lasciarci contemplare lo sfondo, quello sì accattivante, con le nostre montagne dell’arco prealpino. In questo sfondo, come in tutti gli sfondi montani dell’epoca manierista, la skyline delle vette non è realistica, ma il colore e l’aspetto della roccia richiama chiaramente la dolomia e qui, sopra i capelli della Maddalena, potrebbe esserci proprio il Sengio Alto, anche se con un Baffelan troppo spiccato e con un Passo delle Gane troppo ampio. La Maddalena è un’icona che non tradisce, e così anche questa, così tiepida e oserei dire palesemente frigida, ha riservato  delle sorprese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Per finire non posso tralasciare la provocazione contenuta nello stemma, quello che il catalogo dei simboli di E. Lehner definisce: “The Seven Pointed  Mystic Star”. Lo stemma del monastero è composto da una stella a sette punte coronata dalle sette lettere che ne compongono il nome: P, R, A, G, L, I, A  che sono l’acrostico di antichi simboli della patristica con qualche incursione gnostica, ma potrebbero anche essere l’anagramma di “PAGALI GR.”  che è appunto quello che avrei detto a Graziana quando siamo partiti.

 

 

 

Così pagato a tariffa piena il ragazzo della cooperativa parcheggiatori sarà certamente rimasto soddisfatto, tanto da abbonarci gli spiccioli con un tocco di stile che gli ha permesso di risolvere il problema del resto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ABC Metopa

 

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