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6 ottobre 2023 5 06 /10 /ottobre /2023 19:46

 

 

 

In questo romanzo, uscito nel 2015, Umberto Eco ci propone alcune perline del complottismo nel contesto italiano dell’ultimo dopoguerra.
Non si possono godere i romanzi di Eco senza il gusto della storia, la grande storia, quella che nasconde gialli e sfide in ogni sua pagina. E questa volta il pubblico italiano viene sfidato a fare i conti con le vere manipolazioni subite dalla recente storia politica.
 

La vicenda si svolge in una piccola redazione giornalistica appena creata nella primavera del 1992 quando, sotto il contesto montante di mani pulite, un direttore spregiudicato trova finanziamenti per lanciare una testata di tipo nuovo, aggressivo, destinata più a ricattare che ad informare. Il titolo del libro fa riferimento appunto al numero zero di questo nuovo quotidiano dal nome programmatico di “Domani”, specializzato in dossieraggi, che dovrebbe delineare un nuovo ruolo dell’informazione quotidiana cartacea nell’era del primato televisivo.

 

Le discussioni di redazione esprimono molto efficacemente i principi di un modus operandi giornalistico che purtroppo abbiamo visto svilupparsi e consolidarsi nella realtà odierna. Il narratore è uno dei protagonisti di questa esperienza, una sorta di capo redattore che gode della fiducia, per quanto cinica, del direttore e ne conosce i veri obiettivi. Tra gli altri spicca la figura di Braggadocio, personaggio chiave che raffigura il complottista tipico, dai tratti quasi caricaturali. Costui viene ucciso nel momento in cui sta per dare inizio alla rivelazione del secolo e la sua morte, che avviene nella notte tra il 5 e il 6 Giugno 1992, dà anche avvio alla narrazione in flash back.

 

Il protagonista in realtà viene coinvolto nella vicenda soprattutto come scrittore di un libro che dovrà narrare la storia del giornale e della sua mancata uscita. Tale libro porterà il titolo di “Domani: ieri” come per dire che l’atto censorio che ne ha impedito l’uscita sarà la regola del futuro. Il narratore è un uomo normale, con le sue debolezze, i suoi limiti e i suoi sentimenti, che ci conduce, tra un complotto e l’altro, in una storia d’amore. Si, amore vero, senza cinismo, con i due amanti che si rivolgono tra di loro con l’appellativo “amore”, appunto.  E in questa chiave di affetto e fiducia reciproca si risolve l’epilogo superando le paranoie.

 

 

 

I COMPLOTTI qui citati sono principalmente riferiti al ruolo di Gladio e alla sua filosofia ispiratrice e vengono esposti senza mai ricorrere al termine “anticomunismo”. Non viene neanche usato pressoché mai termine Mafia, nonostante si accenni anche alla morte di Falcone. Potrebbe essere una scelta sofisticata, visti i recenti sviluppi delle inchieste sulle trattative Stato/Mafia.

 

 

 

Viene approfondito più che altro il filone trame nere, collegandolo con Gladio nell’ottica delle rivelazioni di Vinciguerra. Poi Gelli, Sindona, Marcincus ci portano alla morte di Papa Luciani spiegata nei termini in cui ne parla David Yallop nel suo “In God’s Name”. Non si accenna più di tanto alla massoneria. I servizi segreti sono quelli stranoti di De Lorenzo, Santovito e Miceli.

 

Il filo conduttore per la citazione dei vari complotti è dato dalla ricerca di Braggadocio sulla finta morte del Duce. Il corpo esposto a Piazzale Loreto non fu il suo, ma quello del sosia. Quello della Petacci invece fu quello vero perché lei rimase coinvolta nell’operazione di copertura. Il comandante Valerio fu ingannato ed anche qualora se ne fosse accorto avrebbe sostenuto la storia per rispettare e completare la sua consegna. I vari complotti del dopoguerra erano quindi finalizzati al rientro di Mussolini con culmine nel golpe Borghese. Quest’ultimo sarebbe fallito nonostante gli accurati preparativi, perché nella notte dell’Immacolata del 1970 Mussolini, da venticinque anni nascosto in Argentina, sarebbe morto. Questa è la vera trovata narrativa ed è anche esposta con maestria ironica tale da rendere piacevole anche la rilettura di cose note.

 

 

 

 

 

 

 

Il senso generale del romanzo si può cogliere, a mio avviso, in un moderato appello etico all’informazione. Il giornalismo, nel suo rapporto con la televisione, viene descritto in un contesto ironico ma veritiero come inquinato dall’opportunismo amorale, oltre ogni criterio professionale. Una sorta di bolgia di esperti in balle credibili. Il complottismo non è però visto come una conseguenza di questa decadenza morale quanto piuttosto come una sfida a trovare ciò che è stato nascosto o travisato nella storia. Quasi una reazione alla pochezza del lavoro giornalistico moderno.

 

 

 

E’ il romanzo più breve, poco più di duecento pagine, tra tutti i precedenti. Ha la solita forma del prologo e dell’epilogo contenenti il racconto in flash back. La lettura è ottima, scorre leggera come non mai nelle sue opere e si dipana tra i fatti noti alla nostra cronaca politica con vezzo, sintesi e immaginazione. Tanto da tenere sulle pagine senza mai annoiare anche chi conosce già i fatti e le loro varie interpretazioni.

 

 

 

 

 

Mi è piaciuto. Eco per me si conferma numero uno. A lui va il merito di aver portato al grande pubblico e sostenere di fatto il gusto per la tematica cospiratoria proponendola con una chiave narrativa inattaccabile, in grado di aggirare il pregiudizio anticomplottista.

 

Le recensioni dei vari quotidiani, a partire dal Sole24ORE, si sforzano anche in questo caso infatti di cogliere tra le righe messaggi di presa di distanza dal complottismo e lo stesso Eco in varie interviste si atteggia a prudente conformismo, ma il messaggio continua a venir proposto con chiarezza ed è lì, sopra il tavolo, dal Pendolo al Cimitero di Praga: la grande letteratura ama i complotti perché la piccola burocrazia giornalistica li nega.

 

 

 

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