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2 gennaio 2014 4 02 /01 /gennaio /2014 14:10
LA CACCIA, di Carla Del Ponte

Per continuare lo studio della vicenda Jugoslava ho preso in biblioteca LA CACCIA, di Carla del Ponte. Il testo è stato scritto con la collaborazione del suo consulente analista Chuck Sudetic.

La lettura in trasparenza mi conferma che il tribunale per la ex Jugoslavia, organismo giuridico dell’ONU, non poteva essere una istituzione neutrale. Il punto critico è dato dal rapporto con la NATO. Nelle pagine 73 - 75 lo spiega bene la stessa Carla del Ponte. Si trattava di un organismo con più di seicento addetti con poteri di inchiesta teoricamente indipendenti, ma in realtà dipendenti dalla logistica NATO, che forniva la security per le missioni sul campo. La prova di questi limiti è data dal fatto che quando la Del Ponte ha avviato una ricerca sulle responsabilità e le violazioni Nato durante i bombardamenti l’impresa si è rivelata impossibile. La Del Ponte, nelle fasi cruciali del processo Milosevic, ha utilizzato la testimonianza del generale Wesley Clark sui bombardamenti. Penso che i contro-interrogatori di Milosevic fossero molto temuti dalla NATO se non altro perché avrebbero potuto far emergere dettagli tattici e di intelligence tali da rovesciare alcune accuse. Slobodan Milosevic, personaggio tutt’altro che sprovveduto, in quella fase non aveva più niente da perdere e la sua morte per arresto cardiaco in carcere arrivò con suggestiva puntualità.

Il Tribunale venne costituito con un atto del Consiglio di Sicurezza ONU: la risoluzione 827 del 1993. Ma non è mai stato deliberato in sede di Assemblea delle Nazioni Unite e questo ha fornito alla leadeship serba e serbo-bosniaca l’argomento per sostenerne l’illegalità. L’autrice con questo libro si toglie vari sassolini dalle scarpe e parla chiaramente di enormi difficoltà burocratiche per portare a termine il lavoro di formulazione dei capi d’accusa. Non tutti i documenti venivano inseriti nel data base dello scanner risultando così non consultabili con una metodologia fondata sulla ricerca per parola. Non tutto lo staff era collaborativo. Il personale a suo tempo, nei rimi anni era di provenienze variegate, in particolare australiane e americane. Carla critica il modello che sta alla base dell’organizzazione del Tribunale. Esso deriva dal modello australiano che assegna ampia autonomia alla funzione inquirente sul cui operato, per tutta la fase inquirente, manca la funzione di controlla parte del procuratore e vice, i quali non vengono informati dei dettagli. Inoltre Carla Del Ponte critica il tipo di formazione dell’apparato investigativo. Bravo per i crimini di base ma impreparato e inetto per le questioni politico diplomatiche. Oltre a non conoscere il serbo croato e l’albanese, in taluni casi addirittura incapace di scrivere relazioni attendibili nelle lingue ufficiali del Tribunale, francese ed Inglese. La squadra non funzionava e Milosevic sapeva il fatto suo. Non si trovavano testimoni all’interno della sua ex cerchia. Aveva ancora ascendente sulla polizia e sull’esercito. Kostunica, in patria, continuava l’ostruzionismo. La raccolta di prove era ostacolata. I luoghi dove erano avvenuti i crimini erano all’epoca riconducibili alla responsabilità di Milosevic solo in termini de jure, ma di fatto, senza prove schiaccianti era facile considerarle come episodi avvenuti al di fuori dal controllo serbo per ragioni anche geografiche. Pertanto ricondurre i crimini accertati alla responsabilità provata degli alti livelli era molto arduo. Milosevic ottenne il diritto di difendersi da solo ma non preparò una difesa giuridica. Egli puntò tutto sulla difesa politica sfruttando le udienze per infiammare la sua base nazionalista. Strategia efficace. L’andamento del processo in realtà fu una mezza delusione anche perché si portavano da arte accusatoria testimoni non all’altezza di Milosevic (non c’erano diplomatici, negoziatori, capi di Stato ecc.) ed inoltre nella fase del dopo 11 Settembre l’attenzione mediatica sul processo scemò.

Il 31 Agosto 2004 riprende l’autodifesa di Milosevic. Non è una difesa giuridica, ma una serie di comizi per i suoi fedelissimi a Belgrado. Egli interpreta quanto è accaduto nel territorio jugoslavo dal 1991 come un processo di distruzione violenta di uno stato europeo a causa del fatto che Serbia era l’unico stato alleato del mondo democratico negli ultimi due secoli. Per Slobodan Milosevic Germania, Vaticano, USA e ONU hanno cospirato per distruggere la Jugoslavia. Sostiene che nel 1991 era possibile un genocidio del popolo serbo. Mentre dal canto suo Carla Del Ponte sostiene invece che proprio in quel periodo egli si era incontrato segretamente almeno due volte con Tudjiman per spartirsi la Bosnia- ERZEGOVINA.

Ma la parte più aggressiva della sua tesi politica sul vero ruolo del tribunale se presa sul serio farebbe venire i brividi. Egli dice (pg 134): “lo scopo di questo processo è quello di produrre false giustificazioni per i crimini di guerra commessi dalla NATO in Jugoslavia…”

Altro elemento importante è che lui considera il conflitto con la Bosnia come una vertenza (internazionale) tra cristianesimo e Islam.

Egli vince anche un appello contro la determinazione della Corte di affibbiargli un collegio difensivo d’ufficio. Però concentra tutta la sua analisi difensiva sul conflitto col Kossowo e non affronta invece i due principali punti relativi alle sue responsabilità sui crimini in Bosnia e Croazia.

A Pg 233 si può trovare un efficace riassunto delle affermazioni accusatorie contro Milosevic.

Ma la “caccia” ovvero l’ossessione di Carla Del Ponte che guida il libro, riguarda altri criminali guerra. In particolare Karadzic e Mladic, ma anche altri personaggi interessanti. Come ad esempio i Croati.

[continua …]

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