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14 gennaio 2014 2 14 /01 /gennaio /2014 17:38
La montagna di mezzanotte, di Blas De Robles

Il signor Bastien Lhermine, ermellino, viene scaricato dal nuovo direttore della scuola per la quale lavora come custode e costretto alla pensione. E’ il Liceo Saint-Luc, scuola dei gesuiti, a Lione. Uomo semplice, ma dal passato misterioso, vive in condominio in Rue d’Auvergne e qui organizza una festa, merenda di Natale, invitando tutti i bambini del palazzo. Alcune mamme non si fidano di quell’uomo, ma Rose Severe invece si fida, anzi ne è attratta e accetta che il figlio Paul lo frequenti. Si scopre così che costui conosce il sanscrito e il tibetano. Ma soprattutto che è dotato di grande carisma ed eserciterà una forte influenza su Paul.

Nei primi capitoli il romanzo saltella tra strategie narrative un po’ confuse, ma assume via via il carattere di una lunga lettera che una madre, Rose, scrive al figlio, Paul, per commentare e, direi, correggere il libro autobiografico che costui sta scrivendo. Sono infatti passati più di vent’anni circa da quando Rose e Paul hanno conosciuto Bastien e il suo passato segreto può oggi costituire una minaccia per la formazione del giovane. Una minaccia legata ai pericoli di ogni cultura occultistica ed esoterica. Bastien infatti era stato un componente delle brigate tibetane, un iniziato ai misteri esoterici, un monaco tibetano al servizio del nazismo e del suo delirio ariano.

Un punto chiave della vicenda è il viaggio a Lhasa. Appena tre mesi dopo aver conosciuto Bastien infatti, quando Paul era ancora bambino, era stata Rose ad infatuarsi di lui, o meglio della sua sapienza e con lui era partita per l’oriente.

Tutta la parte centrale del libro narra quel viaggio, compresa l’infatuazione amorosa di Rose per Tom, un altro personaggio importante per la storia.

Ora, una quindicina d’anni dopo quel viaggio alla fine del quale Bastien aveva trovato la sua morte in aereo, Rose ha terminato le proprie ricerche giungendo alla conclusione, per lei stessa un po’ deludente, che non c’è verità in quel sapere esoterico, e che l’implicazione del Tibet nell’occultismo occidentale è solo il frutto letterario delle contraddizioni interne alla cultura occidentale. E siccome si trova di fronte al libro scritto dal figlio, lo contro-inizia al percorso critico che lo libererà dalla pericolosa suggestione.

La terza parte del romanzo quindi immerge il lettore nella letteratura esoterica e nelle ricostruzioni storiografiche del nazismo magico di Himmler e di Rudolf Hesse.

Il viaggio in Tibet di Bastien è la ricerca della Montagna di Mezzanotte, luogo mistico elucubrato a partire dal testo di ISAIA 14, 12-15, Il quale, nella versione che si ricava traducendo in italiano il testo tedesco che Lutero tradusse dal latino, recita:

Salirò in cielo, al di sopra delle stelle di Dio erigerò il mio trono. Siederò sul monte della Assemblea, ai confini della Mezzanotte. Salirò sulle nubi più alte sarò simile all’Altissimo.”

Il nazismo si era imbevuto di questa ricerca, dalle spedizioni di Ernst Shȁfer finanziate da Himmler alla fine degli anni trenta, alle elaborazioni neocatare di Otto Rahn ove si approda ad una “montagna dell’Adunata nella più lontana Mezzanotte” vetta polare del simbolismo nordico da contrapporre alle montagne del mondo ebraico (Sion e Sinai).

Ecco questa è stata la mia letttura di un percorso narrativo nel quale appare sullo sfondo il tema della responsabilità che ha oggi la nostra generazione nel delicato ricambio generazionale in atto. La moderna ricerca di spiritualità non può essere lasciata fare alla nuova generazione con gli strumenti della nostra, vecchia, generazione, figlia di chi ha conosciuto le guerre ma credulona ed impreparata a riconoscere i rischi connessi alle avventure culturali che portarono a nazismo. Le Brigate Tibetane non son mai esistite, esistono invece libri pericolosi come Il Mattino dei Maghi, uscito negli anni sessanta, dalla scrittura di due irresponsabili autori (Pauwells e Bergier) “sotto la cui penna, la società Thule diventa il centro magico del Terzo Reich, un Ordine oscuro in grado di mutare la natura stessa del reale attraverso i legami segreti dei suoi iniziati con il Tibet!”.

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E’ una lettura che può risultare piacevole, anche se non è stato questo il mio caso. L’autore, Jean-Marie Blas De Roblès, viene presentato in terza di copertina come una personalità di origine franco algerina poliedrica e poliglotta che ha vissuto il mondo. Per me è stato curioso notare la notevole somiglianza della sua foto con il nostro giornalista Gad Lerner, al punto che non riesco a non immaginarmelo ebreo come, appunto, quest’ultimo. In ogni caso mi appare chiara una motivazione quasi didattica alla scrittura di questo romanzo, laddove l’autore mostra notevole erudizione ed anche avversione per i temi del complotto e della sua letteratura.

Siamo alle solite: la ragione è il bene, il complotto è il male. Come se il complotto appartenesse alla sfera dell’irrazionale, come se la Ragione, quella di Kant, non fosse in crisi. Come se la verità non fosse altro che una pura convenzione accademica nel tempo cangiante. Ciò che era vero ieri è falso oggi e viceversa.

Perciò Basten era un bugiardo … “ma preferisco sapere che era un bugiardo piuttosto che uno sbirro dei nazisti.” In pratica è un bugiardo, sì, ma buono. Anzi addirittura è stato lui a tracciare il percorso di demistificazione seguito da Rose. Una madre della quale riporto le ultime parole della lettera/testamento intellettuale al figlio: “… tu non devi riportare il racconto di Bastien senza ristabilire la verità. Sarebbe un atto criminale, Paul, dico sul serio! Concludi il tuo romanzo lasciando il minimo dubbio sull’esistenza di queste brigate e contribuirai al declino della razionalità che oscura gli inizi del nostro secolo, un vasto groviglio di cervelli da cui trae nutrimento la più remota mezzanotte degli uomini. Se esiste qualcosa di peggiore della religione, è il mito; la letteratura non è certo in grado di cambiare il mondo, ma ricordati che ha ancora i mezzi per tenere insieme ciò che lo disgrega.”

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La Montagne de minuit è uscito in Italia nella primavera del 2011, con la traduzione di Marcella Maffi, dopo che Sperling e Kupfer ha comprato i diritti per le Edizioni Frassinelli.

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