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12 febbraio 2020 3 12 /02 /febbraio /2020 17:58

 

 

Leggo oggi Savana Padana, romanzo edito da TEA (Tascabili Editori Associati) nel 2012.

 

Il cuore geografico del Veneto è la Bassa Padovana. “Savana” è un termine che significa vasta prateria con alte erbe e rari alberi (savannah treeless plain) da qui l’espressione savana padana. Ma significa anche assenza di acqua, cosa questa che non corrisponde  alla realtà geografica e neanche, peraltro, alla vicenda narrata.

Siamo quindi in una ambientazione narrativa che delimita una zona ambientalmente atipica ma geograficamente centrale in una più vasta regione. Qui fa molto caldo, un concetto questo che vien più volte richiamato nei capitoli iniziali, si beve alcool assai e girano soldi e coca.

E’ il primo romanzo di Matteo Righetto. Costui è oggi un operatore affermato nel campo della narrativa resosi noto all'inizio con questo breve romanzo di 130 pagine scritto con piglio ironico e graffiante. In esso la savana padana, un’area veneta centrata nel paesello di San Vito, é terra di scorrerie violente poste in essere da banditi autoctoni ed etnie immigrate. Cinesi, rom e bande alla Maniero interagiscono localmente determinando anche dei rischiosi cortocircuiti criminali che a loro volta alimentano la storica xenofobia veneta già messa alla prova dall'immigrazione di stato.

La cronaca purtroppo ci dice che non siamo molto lontani dalla realtà. Anzi, forse il clima velenoso ivi narrato è solo troppo concentrato in un solo episodio. Forse il clima è un po’ troppo parossistico e i personaggi troppo caricaturali, ma questa è anche la cifra righettiana che si inserisce in un filone ormai fluente e fertile. Un filone dove troviamo Carlotto per il noir e gli altri autori di taglio splatter come ad esempio Matteo Strukul e, se vogliamo allargarci Matteo B. Bianchi e Sandrone Dazieri. E contribuisce a consolidare un’immagine narrativa del Veneto che è indelebilmente segnata dalla caricatura che ne ha fatto il film La lingua del santo di Mazzacurati (con Antonio Albanese che scorazza in bicicletta per i colli euganei) nell’anno 2000.

In ogni caso otto anni dopo l’uscita il piacere di leggerlo è ancora intatto, e alcuni fatti di cronaca lo rendono più allusivo. Come gli sviluppi del caso dell’allevatore Valerio Sperotto di Velo d’Astico, in cui recenti analisi del DNA su resti di unghia hanno dimostrato che il cadavere della moglie era stato eliminato grazie alla voracità dei suoi maiali. Inoltre dal 2017 questo breve romanzo è diventato un’opera teatrale di successo, prodotta dal Teatro Stabile del Veneto con la direzione di Scandaletti.

 

Mi risulta comunque poco consolante osservare che nella realtà di questi otto anni il tema dell’immigrazione, centrale nel libro, è certamente attuale ed ha assunto una triste centralità nella politica ma non si è saldato coi fenomeni di criminalità violenta e non abbiamo scontri così clamorosi tra etnie. E se la vertenza autonomista, che è già partita, dovesse assumere toni polemici più aspri di quanto non sia stato finora, opere come questa non contribuirebbero a farne comprendere i termini reali e potrebbero essere usate propagandisticamente per alimentare il discredito dei veneti.

 

 

 

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