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18 aprile 2019 4 18 /04 /aprile /2019 18:34

 

 

 

 

Lettura de “STORIE DELL’ITALIA REPUBBLICANA. Istituzioni, protagonisti, testimonianze a cura di Giorgio Giovannetti, scritto da Mario Pacelli.

 

Costui è un alto funzionario dello Stato che ha svolto durante la propria vita lavorativa molto lavoro per la Camera dei deputati. In particolare ha operato in qualità di segretario della Commissione Lavori Pubblici, ma soprattutto quelle di inchiesta sulla Mafia, le Stragi, la P2, il Terrorismo e il caso Moro. Come se non bastasse ha poi svolto il ruolo di responsabile della segreteria della Giunta per le Autorizzazioni a Procedere.

Insomma è uno che consce bene la storia del potere in Italia e la conosce non per come è stata raccontata, ma per come si è svolta nelle stanze che contano.

La lettura è coinvolgente e non pesa. I capitoli sono densi e veloci e non vi ho trovato supercazzole o inutili diluizioni se non forse nel capitolo centrale. Non mancano, anzi costituiscono la ricchezza del libro, aneddoti significativi esternati senza voler far scalpore. Vi si descrive in termini generali, senza quindi particolari approfondimenti, il ruolo della massoneria e dei servizi segreti sul parlamento. Si raccontano appunto, aneddoti noti e meno noti. Il periodo considerato abbraccia l’intera epoca delle istituzioni parlamentari dall’Unità d’Italia ad oggi, ma il fuoco principale è quello da lui vissuto. Guerra fredda, Centrismo, Centrosinistra, Compromesso Storico, pentapartito e seconda repubblica.

 

In tema di servizi segreti egli dice che quelli italiani sono in realtà tra i migliori del mondo per capacità di analisi e infiltrazione. Ma lo sono soprattutto per quanto attiene al Mediterraneo ovvero, aggiungo io, il fianco sud della NATO. Ciò era chiaramente incompatibile con la struttura militare segreta conservata dal PCI fino alla fine degli anni cinquanta. Su questo Pacelli chiama a conferma ciò che hanno scritto Gianni Cervetti e Valerio Riva. Il primo è stato dirigente del PCI con incarichi legati ai rapporti e ai finanziamenti URSS, il secondo è stato i direttore editoriale della Feltrinelli. A lui dobbiamo, come ricorda wikipedia, il Dottor Zivago e Garcia Marquez.

Sono però i servizi civili, ovvero quelli del ministero degli Interni, ad aver conservato la struttura e la rete dell’OVRA, la ex polizia fascista. Ed è in questa rete che si è innervata ed è cresciuta la CIA in Italia. I servizi militari italiani infatti durante la guerra e la resistenza, rimanendo però sempre anticomunisti, avevano mantenuto fedeltà al Re. Su questo punto, quello che riguarda L’ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D’Amato, l’osservazione che mi colpisce è che secondo Pacelli l’infiltrazione americana ha avuto in realtà un ruolo di garanzia antifascista. Ovvero si è conservata l’OVRA per controllare bene il PCI in funzione antisovietica, ma i suoi rigurgiti nostalgici sono stati tenuti buoni grazie alla CIA. Lo schema di ragionamento è sorprendente, ma spiegherebbe ad esempio il fallimento del golpe Borghese. E spiegherebbe anche come mai nella narrazione antigolpista del PCI, quella degli anni settanta per capirci, non venga fatta distinzione tra americani e fascisti.

Tornando ai servizi militari trovo scritto che fu Fulvio Martini, allora giovane ufficiale della marina, ad avere ruolo decisivo nella crisi di Cuba. Egli infatti comprese che le navi Russe che attraversavano il Bosforo convogliavano missili e testate nucleari. Vennero informati gli americani e prese il via la vicenda che portò Kennedy e Crusciov al dialogo di pace. Un dialogo che mise al sicuro per sempre la leadership castrista dall’intervento americano.

Da ammiraglio Fulvio Martini diventerà direttore del SISMI e alla fine scriverà le proprie memorie nel suo libro: “nome in codice Ulisse” (Rizzoli 1999). In tale libro si possono trovare aneddoti significativi delle sistematiche interferenze Mossad e CIA sullo scenario italiano.

 

 

Ma l’aspetto che impreziosisce il libro di Pacelli è la considerazione relativa all’uso che i partiti politici avrebbero fatto dei servizi. I partiti politici italiani infatti avrebbero sfruttato questa efficienza a partire dal caso Montesi che fu uno scandalo gestito in modo da far fuori il dirigente democristiano Attilio Piccioni in favore di Fanfani.

I politici, scrive Pacelli, si controllavano a vicenda utilizzando i servizi o parti di essi. La pratica è radicata e diffusa al punto da indurre Oscar Luigi Scalfaro, nel 1987, a dire che la vera colpa delle deviazioni dei servizi era delle meschinerie personali dei politici.

Il 25 Gennaio 1967 il senatore Girolamo Messeri pur essendo diplomatico di carriera presentò una interrogazione al ministro della difesa dai toni più duri di tutte. Egli si riferiva al SID parlando di “ignobili sicofanti pronti a raccattare dal liquame di tutti gli angiporti notizie false.”

Nel 1973 ci fu una inchiesta della procura di Roma che rivelò l’esistenza di radiospie e microfoni dappertutto. Erano di Tom Ponzi e Walter Beneforti, ex commissario di polizia e collaboratore dell’Ufficio Affari Riservati, quello appunto di D’Amato. Partì una inchiesta che si concluse solo nel 1981 con un plenum di assoluzioni. Ma il punto da cogliere è che in tutti quegli anni non se ne parlò quasi per niente nel Paese perché, lascia intendere Pacelli, i partiti in parlamento erano accomunati dall’interesse alla tacita archiviazione. Sono gli anni della Solidarietà Nazionale e del Compromesso Storico.

In tutti quegli anni “essere intercettati era un fatto comune” (pg 93) e la faccenda delle intercettazioni di Ponzi non era per niente segreta ai vari parlamentari susseguitisi alla Camera e al Senato: il furgone che riceveva i segnali di intercettazione era collocato al centro di Roma, nella piazzetta del Rosario.

 

IL CASO FERE. Si tratta di Saverio Fere massone e pastore protestante. Egli determinò la scissione che diede luogo alla creazione dell’altra massoneria, quella di Piazza del Gesù, ovvero la concorrente di quella di Palazzo Giustiniani. I membri del Gran Consiglio fascista erano in maggioranza affiliati, iscritti, a Piazza del Gesù. Gli altri, dice Pacelli, erano liberal democratici filo GB o Francia.

 

La P2. E’ stata sciolta dal Governo Spadolini e il suo scandalo coincide con la fine della DC. Ad ispirare la legge di scioglimento fu il giurista di alto profilo Paolo Ungari. (Gran Maestro di elevato grado).

 

Il banchiere Cesare Merzagora fu presidente del Senato italiano per un lunghissimo periodo. Dal 1953 al 1967. Al centro di questo arco temporale sta l’esperienza politica più importante delle sua intera biografia politica. Fu Presidente della Repubblica nell’ultimo semestre del 1964. Il presidente in carica Mario Segni infatti fu colpito da trombosi e Merzagora nella sua qualità di Presidente del Senato lo sostituì. Da questa posizione egli si illuse di riconquistare la carica che con Gronchi non era riuscito a vincere, ma le cose andarono diversamente. Venne eletto Saragat. Egli era stato il candidato alla Presidenza della Repubblica alternativo a Gronchi ed era Massone ateo dichiarato. Ciò nonostante era sostenuto da una DC, partito cattolico al cui interno però germogliava una certa idea di centro sinistra. Venne eletto Gronchi che esprimeva questa seconda impostazione. Il leader era Fanfani mentre i suoi oppositori sostenevano appunto Merzagora. Costui perse la battaglia, rimase presidente del Senato, ma continuò anche ad essere punto di riferimento per forze esterne al parlamento.

La situazione esplose nel Luglio ’60 con forti manifestazioni di piazza le quali ebbero come apici Genova e Reggio Emilia.

Sono tutti fatti noti, ma Pacelli aggiunge la considerazione che Merzagora fosse espressione di un piano riconducibile a forze del capitalismo europeo che con Cefis, Carli, Cuccia, Sindona e il generale De Lorenzo volevano togliere potere al sistema partitocratico che già si profilava. Forze riconducibili ad una loggia segreta nell’ambito della massoneria di Piazza del Gesù (forse Giustizia e Libertà).

 

In sintesi in queste 150 pagine si può trovare una piccola e preziosa miniera di indizi sulle eterne manipolazioni del potere, cattive pratiche e poteri occulti che hanno intossicato - e certamente intossicano tutt’ora – il sistema istituzionale della nostra Repubblica.

Una lettura affascinante e semplice; un esempio di equilibrio.

Quindi un libro da non accantonare: Mario Pacelli, STORIE DELL’ITALIA REPUBBLICANA, Istituzioni, protagonisti, testimonianze. A cura di Giorgio Giovannetti

 

                                                                ***

 

Egli segnala anche, nello scorrere del testo, dei libri, romanzi e/o saggi, che evocano, fatti politici non palesati nelle varie epoche. Me ne sono segnati alcuni cercando anche in taluni casi dei riscontri.

Essi sono:

                Il CUORE NERO DEI SERVIZI, di Piero Messina (BUR, Rizzoli 2012)

              GOVERNO OMBRA, di Maurizio Molinari (Rizzoli 2012)

                LA GABBIA, romanzo di Gluglielmo Negri (1992), Premio Viareggio.

                ROMANZO DELLA CONFINDUSTRIA, di Donato Speroni (Sugarco 1975)

                MONTE MARIO, romanzo di Carlo Cassola (1973)

 

 

 

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7 aprile 2019 7 07 /04 /aprile /2019 00:51

 

 

L’assalto al cielo.

Edito da Gallucci alla fine dell’anno scorso, è uscito dalla penna di Ermanno Detti questo breve romanzo centrato sugli ideali del 68.

L’oggetto principale della narrazione è la memoria di una ragazza, Francesca, che nel corso di quell'anno di lotte studentesche perse conoscenza sotto i colpi della polizia a Valle Giulia. La sua progressiva ripresa di coscienza scorre lungo una narrazione che ricompone la memoria dei famigliari per più di una generazione. Non mancano le incomprensioni famigliari e la femminilità dell protagonista. L’ambiente maremmano si alterna con ricordi studenteschi romani e si dipana fino ai primi anni settanta.

 

L’andamento è tipico. Si parte dalla manifestazione per la morte di Che Guevara nel novembre 1967, l’attivismo scolastico e gli scontri col preside. Francesca conosce il leaderino Oscar che le insegna cose come questa:” l’occupazione non è solo la conquista di un locale, ma di uno spazio del potere”. Poi verrà Valle Giulia, la botta, la guarigione e l’università. Una formazione tipica che segnerà la protagonista anche nel ricordo dei famigliari più giovani. Di striscio infatti si intuisce che Francesca da grande sceglierà la cooperazione internazionale lasciandoci infine anche la vita. 

 

Nel dipanarsi del racconto, organizzato in vari flash backs, vi si sciorina un altrettanto convenzionale elenco di idee ed obiettivi di riforma che hanno abbracciato tutta la storia di quella generazione, fino al ripensamento dei sogni rivoluzionari, qui affidato alle parole di Oscar:” Vedi, noi studenti siamo sati troppo … impulsivi. Con gli operai non si scherza, si sta stilando una piattaforma comune, obiettivi precisi, come l’abbassamento del voto dai 21 ai 18 anni, la pensione sociale per i poveri, una legge che preveda la possibilità di divorziare, un nuovo diritto di famiglia per l’abolizione del delitto d’onore, uno statuto per i diritti dei lavoratori, la chiusura dei manicomi e tante altre novità.”

 

L’autore in pratica descrive un’evoluzione del pensiero sessantottino tesa a darne credibilità e riconduce alla nuova coscienza di Francesca – quale personaggio emblematico – tutta la piattaforma rifomista degli anni settanta.

 

 Una lettura per bene, semplice, adatta alle scuole.

 

 

 

 

 

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14 febbraio 2019 4 14 /02 /febbraio /2019 22:33

 

 

Il libro di Aldo Giannuli COME I SERVIZI SEGRETI STANNO CAMBIANDO IL MONDO, edito da Ponte alle Grazie e uscito negli ultimi mesi del 2018, costituisce una lettura interessante per chi voglia rimanere libero da condizionamenti e pregiudizi mediatici. Colui infatti il quale non faccia per mestiere l’analista di fonti aperte oggi è più che mai ingannato e strumentalizzato nonché impossibilitato a comprendere i fatti di cronaca e politica. E a chi, come me, legge la stampa e guarda i tg quotidianamente da più di cinquant’anni un libro come questo offre un modello di sistematizzazione delle informazioni che risulta senz’altro gratificante ed efficace.

Occorre però aprirsi a concetti e terminologie non scontati ed innovativi: concetti come “guerra catalitica”, “reverse engineering”,” termiti fiscali” ecc., i quali si aggiungono al già noto menù di strutture e tecniche della guerra coperta quali: landgrabbing, target killing, soft power o espressioni raffinate come tertius gaudens.

C’è poi una rassegna di fatto delle vicende politiche, economiche e finanziare anche recenti trattate con criteri interpretativi non giornalisticamente convenzionali; e ciò, devo dire, a volte apre la mente e gratifica lo spirito.

 

Nel mondo convenzionale eventi di particolare rarità e importanza come la lista Falciani o i Panama papers sono stati trattati come acqua corrente e accantonati rapidamente dall’informazione di regime mentre risultano in tutta la loro importanza strategica nella ricostruzione di Giannuli. Allo stesso modo le agenzie di rating, trattate dal mainstream come vere e proprie istituzioni della finanza globale vengono dall’autore presentate per ciò che effettivamente sono ovvero pura mistificazione oracolare. Insomma il libro richiede la disponibilità ad un approccio non facile per chi si abbevera da sempre, orgiasticamente, al Sole 24 Ore.

L’ho letto con un passo tranquillo, apprezzandone il gradevole disincanto e annotando le più sottili osservazioni.

 

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5 febbraio 2018 1 05 /02 /febbraio /2018 21:48

 

 

 

 

 

Nella prospettiva delle imminenti elezioni politiche nei mesi scorsi si sono intensificate le esplorazioni sull’identità e la consistenza del Movimento 5 Stelle, la forza politica che domina i sondaggi.

Si tratta come è noto del soggetto parlamentare più temuto dal quadro istituzionale e dal ceto politico preesistente perché, nato e consolidato al di fuori del mainstream mediatico, si è addirittura mostrato resistente ad esso e ai suoi attacchi delegittimanti.

Definito col termine di “populismo” il Movimento 5 Stelle è assolutamente legittimo, non violento, garantista e legalista con una forte animosità contro gli endemici fenomeni di corruzione che caratterizzano la vita politica italiana, nonché portatore di istanze innovative circa le regole della politica.

All’inizio della legislatura, nonostante i suoi nove milioni di voti, esso è stato ignorato dall’establishment. E’ stato visto come un infortunio elettorale che ha portato in parlamento una massa di dilettanti incompetenti e rompiscatole di cui sarebbe stato facile liberarsi mostrando al paese la loro inconsistenza. Alle elezioni europee, svoltesi sotto l’abbaglio renziano, sinistra e destra si erano illuse che quella fosse la linea giusta. Ma alle successive elezioni amministrative (parziali) illustri candidati come Piero Fassino e Giachetti sono risultati sonoramente battuti da giovani figure del Movimento 5 Stelle come Raggi e Appendino. Allora si è passati all’attacco diretto ma dopo due anni di persistente e pesante bombardamento contro la sindaca di Roma Raggi il recente test municipale si è risolto a suo favore, rivelando pertanto tale linea inefficace e forse addirittura controproducente. E non solo a Roma pervhè alle elezioni regionali siciliane il candidato pentastellare non ce l’ha fatta, ma il Movimento 5 Stelle è diventato la prima forza politica.

 

Appare chiaro quindi che si tratta di un fenomeno non passeggero, che va preso sul serio e affrontato cambiando approccio.

In questo senso mi aspettavo, dopo una positiva presentazione televisiva di Corrado Augias, che il libro di Alessandro Dal Lago “POPULISMO DIGITALE” rappresentasse questa nuova tendenza. Perciò l’ho acquistato e letto con attenzione.

 

Il testo è il risultato di alcuni approfondimenti e monitoraggi che lo studioso, sociologo della cultura, ha portato avanti nell’ultimo anno consultando una ricca bibliografia e seguendo i comportamenti di questa nuova forza politica soprattutto nella dimensione digitale. Ne esce una interessante comparazione con gli altri populismi, storici e contemporanei, e una individuazione dei pericoli potenziali ad esso connessi. Quest’ultima parte però si lascia andare al recupero di vecchi schematismi propagandistici fino a definire il Movimento come un “fascismo travestito da democrazia diretta” e ciò determina una imerdinable caduta di stile. Il paragone col regime anticostituzionale sarebbe a malapena tollerabile se non ci fosse un reale pericolo fascista, ma i fatti recenti sono di tutt’altro segno ed è sempre meglio non scherzare con le etichette.

 

Prevale quindi nel libro la tentazione all’ossequio verso l’establishment sull’obiettività scientifica.

                                                                        

 

 ***

Il nuovo è nella Rete, con i suoi pericoli. E’ chiaro che sia la rete che il populismo portano con sé dei rischi. Ma ai populismo in Italia è già insediato e governa da un quarto di secolo con Berlusconi e Bossi ed è stato costruito essenzialmente col sistema televisivo, ovvero i vecchi media.  La vera novità è l’integrazione di questi con l’internet dello stadio 2.0 ovvero il social networking. E se finora la partecipazione in rete ha fornito nuove opzioni politiche non è detto che sarà sempre così perché il potere si sta trasferendo dagli stati nazionali ai nuovi padroni globali i quali operano al di fuori del controllo democratico. E questo è l’allarme che condivido tra quelli lanciati da Da Lago.

Il buon Antonio Gramsci, mentre si trovava in cattività con Pertini, annotava nei suoi quaderni molte riflessioni acute e ancora attuali circa la politica e la cultura nazionali.

E la frase che è stata scelta come incipit da Dal Lago, ne è un esempio felice:

La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

Con questa citazione Dal Lago colloca il fenomeno politico che sta studiando in un quadro transitorio, critico e morboso. E infatti introduce il libro evidenziando il fenomeno della imprevedibilità dei comportamenti elettorali come caratteristica della attuale fase di transizione dall’opinione pubblica all’opinione digitale. Nella prima i media generalisti pilotano il consenso, nel secondo caso no. Anzi con Internet i cittadini possono agire direttamente sul sistema politico e lo fanno. E qui l’inattendibilità dei sondaggi, vedi Brexit e Referendum, sembra dargli ragione. Ecco quindi che la rete ha un ruolo rivoluzionario e consente “l’auto-organizzazione di movimenti impermeabili ai condizionamenti dell’establishment politico e informativo”. Una nuova libertà democratica.

Ma questa libertà è illusoria, scrive Dal Lago, perché mette i cittadini in una sorta di acquario, un ambiente artificiale nel quale nuotiamo illudendoci di essere liberi mentre in realtà ci muoviamo al servizio di interessi che ci restano sconosciuti. Esistono infatti i padroni de web, Zuckemberg ecc. che ne controllano i destini e di fatto ci offrono una illusione di indipendenza che produce soggezione inconsapevole. (pg 16)

 

Trovo l’osservazione degna di attenzione. Ma è comunque grazie a queste nuove libertà che giovani protagonisti come Di Maio ( e non Grillo e Casaleggio) possono portarsi sulla soglia di chi guida una delle dieci principali economie del mondo senza bisogno di un partito. E lo scopo della democrazia è appunto quello di permettere un ricambio dei leaders attraverso legittime spinte dal basso.

Anche l’avvento di Trump è stato un fenomeno di ricambio prodottosi al di fuori dei piani dell’establishment e oggi, nonostante l’isterismo degli attacchi sferrati dagli apparati interni (FBI), ad un anno dall’insediamento vi sono netti segnali di consolidamento del suo consenso anche nei mercati finanziari.

 

Aldilà di quali politiche faranno Trump e, ipoteticamente, Di Maio, la democrazia sembra pertanto, anche nell’era di internet, in grado di assicurare l’alternanza. Altro che fascismo.

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10 gennaio 2018 3 10 /01 /gennaio /2018 01:49

 

 

 

 

Il libro Le mani rosse sulle forze armate è un pamphlet uscito ne gennaio del 1966 con firma di tal Flavio Messalla. Si trattava però di uno pseudonimo dietro al quale si celava il lavoro di Pino Rauti, Guido Giannettini ed Edgardo Beltrametti. I primi due sono nomi molto noti della destra eversiva con coinvolgimenti nelle trame nere e in particolare Giannettini funzionario dei servizi segreti, mentre il terzo fu relatore e curatore degli atti del convegno sulla guerra rivoluzionaria tenutosi a Parco dei Principi nel 1965. Un convegno di estrema destra avente come tema centrale una chiamata al ruolo anticomunista delle forze armate.

Il volume fu auspicato dal generale Aloia, rivale dell’allora capo dei servizi segreti militari generale De Lorenzo. E contribuì alla campagna per la destituzione di quest’ultimo che avvenne nell’Aprile del 1967.

Esso sostiene una tesi politico militare secondo la quale l’impostazione neutralista del generale in capo De Lorenzo si traduce in un mancato contrasto che mette a rischio le nostre forze armate difronte alla pressione comunista. Si presuppone infatti che i comunisti lavorino per preparare l’invasione sovietica.

 

Io posseggo l‘edizione realizzata da Savelli nel 1975 la quale raccoglie un saggio analitico prodotto da una apposita commissione di studio creata da Lotta Continua in collaborazione con militari di leva. In esso nelle prime cinquanta pagine vengono esaminati i materiali e gli atti collegati al convegno e al libro. Il primo testo fuori circolazione era stato ritirato dal mercato su iniziativa dell’Ammiraglio Eugenio Henke, ma la commissione di Lotta Continua, disponendone di una copia sopravvissuta, rese possibile la pubblicazione fotostatica delle 75 pagine originali nella seconda parte del libro.

 

 

 

Citazione:

In una guerra futura due componenti di rilievo dovranno essere tenute in considerazione: quella atomica e quella sovversiva. Quest’ultima, a differenza della prima che è basata essenzialmente sula tecnologia, ha come soggetto principalissimo l’uomo, con tutti i suoi problemi d’ordine morale e materiale, le sue ideologie, le sue passioni, i suoi eccessi di fanatismo, di odio, di cupidigia; esso deve, quindi, essere oggetto di una accurata preparazione materiale e morale.”

 

 

 

 

 

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15 ottobre 2017 7 15 /10 /ottobre /2017 20:31

 

 

 

 

L’anno scorso in Novembre LA NAVE DI TESEO, ovvero la casa editrice indipendente voluta anche da ECO in opposizione al cartello “mondazzoli” e diretta da Elisabetta Sgarbi, sorella del superloquace Vittorio, ha pubblicato A ESPIA, un romanzo col quale il supergrafomane Paulo Coelho celebra la memoria di Mata Hari nel centenario della morte.

L’opera vuole essere un romanzo e non una biografia per cui risulta piuttosto libera anche se di fatto veicola un attinente racconto della vita di una donna mitizzata per la sua supposta bellezza.

 

E’ opportuno premettere che lo spionaggio è sempre esistito. Ciò che sta cambiando oggi è semmai l’atteggiamento morale nei confronti di esso. Oggi un prezzolato delatore, un mentitore professionale, o un criminale di guerra tende ad essere eroicizzato, mentre le vittime di quell’opportunismo amorale vengono presentate come semplici danni collaterali.

 

Forse per questo uno scrittore di grido come Coelho romanzeggia di nuovo la biografia di una prostituta che vendeva informazioni captate alternativamente tra i letti di Parigi e Berlino seducendo ufficiali e ministri della Grande Guerra.

 

IL suo approccio è, tra l’altro, innocentista. Per lui Mata Hari era una grande attrice di spettacolo che vendeva l’amore per passione, come Bocca di Rosa direi, e tra una cosa e l’altra le capitò anche di scambiare informazioni. Più che altro per salvarsi la vita dalle spietatezze dei servizi d’informazione militari che la ricattavano.

 

La trovo una visione falsamente ingenua. Una visione che, in tempi di emancipazione femminile, può sedurre qualche decina di migliaia di lettrici o lettori disposti a spendere qualche decina di euro per un libro da vacanza.

Per me la verità è un’altra. E ho la fortuna di leggerla in un libro degli anni trenta, ormai senza copertina che appartenne a mio suocero e si trova oggi fortunosamente ancora in casa mia. Ovviamente nulla mi dice che la verità sia proprio quella, ma mi seduce.

 Si tratta di LE GRANDI SPIE , di H.R. Berndorff, che si può trovare anche in vendita sulla Rete in edizioni più eleganti di quella che posseggo io.

 Il libro si occupa di una quindicina di casi spionistici WW1 e, al centro, si occupa di Mata Hari, danzatrice, cortigiana e spia.

Il testo concede molto al mito della sua bellezza ma almeno non indulge in tentazioni innocentiste. La descrive con scarso realismo, basandosi ovviamente sulle fonti dell’epoca e ne produce una biografia scevra di apprezzamenti femministici. È solo una giovane donna meticcia olandese che fugge da un marito ostile lasciando la figlia per recarsi a Parigi ove ha l’avventura di vivere un particolare successo prima come prostituta di una casa di tolleranza di buon livello, poi come subrette spogliarellista in spettacoli orientaleggianti. Spettacoli che la portano in giro per quell’Europa che sta preparando, forse inconsapevolmente, WW1. Successi, uomini e disavventure la porteranno poi a riunirsi con la figlia e a morire fucilata con accuse si alto tradimento.

 

 

Vediamo quindi la ricostruzione di Berndorff.

Il 30 Marzo del 1895 la giovanissima Margareta Zelle, figlia di un giavanese sposato con una benestante olandese altolocata, sposa a L’Aja il capitano Mac-Leod (personaggio violento incline alle orge) con un matrimonio combinato. Se ne vanno ai tropici (Sumatra e Java) dove la giovane sposa impara la cultura e le mode espressive orientali. Ciò le si rivelerà più tardi essere un vero e proprio vantaggio strategico quando farà la ballerina spogliarellista nelle capitali europee. Quando, nei primi anni del nuovo secolo, nasce la figlia Jean Louise il capitano si è già giocata la carriera, il matrimonio è già in pezzi e i due son già rientrati in Olanda. Lei lascia tutto e se ne fugge a Parigi ove trova lavoro (forse dopo un breve periodo fatto in strada) in un casino. All’epoca la prostituzione, che era legale, era subordinata ad un sistema di visite mediche che, regolarmente documentate dal dr. Bizard, costituiscono la principale fonte documentale per quel periodo della vita di Margareta. Muore il marito, nel frattempo rientrato in ISCOZIA e inseguito dai debiti, e la figlia le si ricongiunge dopo che Margarete, grazie ad un amante facoltoso, ha acquistato casa a Nevilly (pare una specie di castello appartenuto anche alla Pompadour). Lei sfonda sulla scena dello spettacolo come “danzatrice indiana”. Nasce Mata Hari (nome d’arte approssimativamente orientale che evoca il concetto di “occhi del giorno”). Mata Hari frequenta Champs Elisées, Folies Bergères e anche La Scala di Milano. Compete con personaggi come La Bella Otero, Ida Rubinstein e niente popò di meno che Isadora Duncan. E quando l’amante si rivela un industriale fallito lei i soldi ha già imparato a farseli da sola. E’ una diva europea quando cade, o meglio cattura, nel suo letto il marchese Pierre de Montesac, alto, biondo (e forse) con gli occhi azzurri ma in ogni caso riccamente inserito negli alti livelli della Guardia parigina. E questo incontro, che la condurrà anche sulla scena berlinese, rappresenta il primo passo nella carriera di Mata Hari come spia internazionale.

Infatti mentre gli atti del processo non chiariscono chi sia realmente questo personaggio aristocratico, la verità emergerà nel 1927 quando Netley Lucas, autentico Arsenio Lupin, scriverà le proprie memorie per ammorbidire il carcere. Costui infatti, con un passato famigliare ricco e controverso, era un poliglotta avvezzo ai furti d’albergo, furti nei quali non sparivano solo oggetti di valore, ma anche preziose informazioni. Fu anche pilota e frequentatore assiduo di competizioni aviatorie. Vi sono tracce di lui con la falsa identità di “comandante russo Marzaw”. Insomma una mitica spia del periodo crepuscolare. Con lui Mata Hari lascia Parigi, svende in fretta il mitico castello e si trasferisce ad Amsterdam. Siamo nel 1914. In quell’anno l’Intelligence Service (Inghilterra) trasmette all’alleato francese una lista informale di sospette spie filo tedesche e in tale elenco figura già Mata Hari. Ma i Francesi, che in un primo tempo la fanno pedinare, non riscontrano. Torna a Parigi acclamata dalle folle nella primavere del 1916. Decide e ottiene di fare l’infermiera nell’ospedale di Vittel ove sta sorgendo il più importante campo di aviazione dell’esercito francese. Ammaliati ufficiali ed aviatori dipendono dal suo fascino per vari mesi, fino a quando il capitano La Doux (si, quello dell’Affaire Dreifuss) la fa prelevare al mattino presto da due agenti nella sua camera d’albergo. Minacciata di espulsione, riesce invece ad ottenere l’incarico di spiare in favore dei francesi. Da questo momento Mata Hari è un agente doppio in mano alla Francia.

La più importante spiata in favore dei francesi si trova da lei stessa svelata agli atti del processo. In tale circostanza infatti Mata Hari cercava di salvarsi dimostrando di aver aiutato, anziché tradito, la Francia rivelando un’informazione, carpita con l’amor venale, relativa alla vera posizione di due sottomarini tedeschi che vennero effettivamente affondati dai francesi davanti alle coste marocchine. Per questo caso l’avvocato difensore riuscì anche a produrre documentazione relativa alla “grossa somma” di denaro pagata dai francesi a Mata Hari al fine di ottenerla in poche ore.

Ma non le fu bastevole. Caduta nel tranello delle “cinque lettere” architettato da La Douxe, Mata Hari fu alla fine identificata per essere l’agente H21 dello spionaggio tedesco e finì il processo a porte chiuse che si tenne il 24 e 25 Luglio presso il Tribunale di Guerra e le prigioni femminili di Sainte Lazare, con la condanna a morte.   

Questa fu puntualmente eseguita il mattino del 15 Ottobre 1917. Una circostanza che il particolare trasporto letterario di Berndorff così commenta: “Uno solo dei colpi sparati dai soldati la raggiunse e le trapassò il cuore.

Come dire che la bellezza di quella donna era tale da togliere il coraggio ai soldati di oltraggiarne il corpo. L’allusione è coerente con lo stile narrativo di una biografia che ispirò negli anni trenta gli sceneggiatori del film di George Fitzmaurice MATA HARI con Greta Garbo. In tale film, osserva Morando Morandini, Greta Garbo, seppur inadatta alla parte dà prova del suo fascino. Ma, precisa, “nella sequenza del ballo, un po’ lasciva ”- siamo nel 1932 -  “fu usata in parte una controfigura”.

 

 

 

Di tutta questa epopea mistificatrice fanno giustizia le vere foto. Venute alla luce nei decenni successivi, dalle quali si ricava la vera immagine di Margarete. Un donna semicreola dai capelli scuri che seduceva più con le movenze che con le forme di un corpo relativamente modesto.

 

 

  

 

Qualcuno insinua che ci fosse morfina nel suo ultimo tè.

 

 

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7 luglio 2017 5 07 /07 /luglio /2017 10:33

 

Giuliano da Empoli, nato a Parigi nel 1973, oggi è consigliere di Matteo Renzi, nonché commentatore giornalistico di fama. E’ stato amministratore delegato della Marsilio, casa editrice che gli ha pubblicato lo scorso mese di Maggio un pamphlet sul Movimento Cinque Stelle. (LA RABBIA E L’ALGORITMO. IL GRILLISMO PRESO SUL SERIO. Marsilio 2017)

 

                                                    **

 

Il “grillismo” in esso viene visto come fenomeno politico da comprendere più che sputtanare. E, soprattutto il primo capitolo, costituisce una analisi approfondita di quella che lui presenta come fenomenologia politica moderna in fase di piena diffusione nelle democrazie occidentali. Essa è legata a due fattori motivazionali: la Rabbia e l’Algoritmo. Vediamo cosa sono.

In premessa voglio dire che il libretto mi è piaciuto mi è piaciuto anche se nella seconda parte si allinea al mainstream.

 

In questa analisi la forza di M5S appare come il risultato della fusione tra le due componenti, quella analogica (rabbia) e quella digitale (algoritmo). Beppe Grillo è il gestore del fattore analogico, i Casaleggio di quello digitale.

 

La Rabbia, intesa come categoria della politica, è stata studiata da Peter Sloterdijk, filosofo tedesco contemporaneo di Karlsruhe. Costui la descrive come un sentimento insopprimibile che attraversa tutte le società ed è alimentato dagli esclusi. Una volta era la Chiesa a raccogliere e rappresentare questo sentiment, poi, dall’ottocento lo hanno fatto i partiti di sinistra. Questi ultimi si sono costituti come “vere e proprie banche della collera” ovvero gestori di energie che anziché venire spese subito venivano investite per costruire un progetto più ampio. Odio e risentimento presenti nella società venivano controllati e ricondotti ad un piano generale di cambiamento rivoluzionario. In questo modo “Il perdente si trasformava in militante e la sua rabbia trovava uno sbocco politico.” (pg11)

 

Oggi la Chiesa cattolica non è più portatrice di un messaggio escatologico che catturi gli esclusi dando loro un sogno da coltivare, ma di un semplice messaggio di regolazione etico-sociale. E dal canto loro i partiti di sinistra, con l’accettazione della democrazia liberale e del mercato, hanno svalutato la rabbia disorganizzandola. La collera del terzo millennio genera pertanto solo individualismi cinici oppure movimenti no global e banlieue. Nessun progetto generale di trasformazione.

Beppe Grillo è un comico con una sapienza televisiva consolidata. Egli la usa magistralmente per conferire verve e passionalità al movimento. La sua carriera televisiva è il frutto del felice sodalizio con Antonio Ricci, l’ideatore di Drive In e Striscia la Notizia. Si tratta di programmi che anche se non sembrava andavano ben oltre l’intrattenimento mettendo l’informazione ufficiale in una gogna mediatica. In essi il potere viene quotidianamente ridicolizzato dalle risate preregistrate e dalle “inchieste” del gabibbo. Inoltre c’è l’avvento del reality: lo spettatore non è più tale ma “entra in scena” da protagonista. Ecco il punto: accoppiandosi con Casaleggio Beppe Grillo ha portato questo sentiment protagonistco dall’intrattenimento alla politica. L’elettore rabbioso diventa militante protagonista e televota contro. Per mesi e mesi si è cercato di attaccare la credibilità del Movimento Cinque Stelle denunciando la pratica delle espulsioni. Ma è esattamente quello che si fa col televoto dei reality. E infatti i sondaggi dimostravano che quel tipo di campagna antiglillina non modificava niente. Forse si limitava ad alienare qualche tentazione di simpatia dai militanti ortodossi della sinistra storica. Niente più. E intanto invece il nuovo atteggiamento collerico di chi gode la politica come un reality si consolida.

Una conferma è poi arrivata con la vicenda elettorale di Trump. Le folle che lo accoglievano ai comizi intonavano “Lock her up!” (sbattila in galera). Stavano televotando contro la Clinton.

 

                                                           ***

 

L’Algoritmo è un tema ancora più affascinante. Si tratta dell’apporto di Casaleggio alle dinamiche di rabbia, o meglio si tratta del suo server, il server della Casaleggio Associati. Casaleggio senior era una specie di san Francesco che invece di lupi parlava di Internet. Così almeno lo definisce Grillo. Il Movimento Cinque Stelle, scrive Da Empoli, in sé non ha cultura, il massimo che vi si può trovare è l’autobiografia di Alessandro Di Battista. Ma ha l’Algoritmo. Appunto.

Si tratta di una macchina discreta e sofisticata della quale non abbiamo capito subito la potenza. E’una piattaforma digitale che ha un ruolo superiore a quello degli altri software simili usati da altri partiti ed organizzazioni. Questa è la “fonte primaria della identità e dell’appartenenza al Movimento.

Attenzione: non stiamo parlando di qualche particolare segreto tecnologico, ma di una idealistica premonizione circa l’avvento della democrazia digitale. Qui la Rete è Partecipazione. Stiamo parlando di un nuovo strumento che, nella visione ideale del Movimento, può generare una vera e propria rivoluzione democratica capace di scardinare il potere della “casta” (i protagonisti della politica) e consegnarlo all’uomo comune. Bello! Una vera e propria “vision” nuova e affascinante, capace anche di appagare i desideri di rivoluzione sessantottini... Ma attenzione, sembra dirci Giuliano da Empoli, questo è il modo in cui la base vive il Movimento, mentre per l’élite che la guida, ovvero la diarchia grillo-casaleggina, si tratta in definitiva di uno strumento per l’accumulazione il trattamento Big Data. Come i grossi social network (Facebook), i motori di ricerca (Google) o i grandi negozi online (Amazon) l’Algoritmo pentastellare sarebbe quindi solo un software per la cattura e la vendita dei dati. La novità, la vera innovazione da cinque stelle, è che questa pratica, già operativa da decenni in ambito commerciale, ora è uscita da quella sfera per entrare nella politica. E c’è riuscita alla grande.

 

 Il segnale sul valore strategico dei Big Data in politica è partito dalla campagna elettorale di Obama per le presidenziali del 2008. In tale occasione una rete capillare di sostenitori mobilitò il web generando una raccolta di informazioni che, accumulata, permise, nonostante il voto segreto, di conoscere con precisione quattro anni dopo il nome e il cognome di 69.456.897 (pg.19) cittadini americani che lo avevano votato nel 2008. Ciò è reso possibile non da interviste e sondaggi, ma grazie al lavoro automatico di alcuni algoritmi che analizzano automaticamente i gusti e i comportamenti in Rete.

Per chi, come me, ha militato per qualche decennio nelle organizzazioni storiche della sinistra, anche con ruolo dirigente, è dura ammettere l’obsolescenza e la quasi totale inutilità del vecchio modello. Ma grazie all’Algoritmo casaleggino oggi vi sono nove milioni di voti a dimostrarlo: oggi è possibile una comunicazione radicalmente innovativa, difronte alla quale le vecchie forme di consultazione sono come le carrozze a cavallo rispetto agli elicotteri. Oggi sono possibili le Dog Whistle Polics ovvero un modello di comunicazione mirata che non solo va ben oltre la semplice comunicazione dall’alto di messaggi generalisti o agit prop (storici modelli rispettivamente pro e/o contro i regimi) ma anche oltre la semplice circolazione virale del 2.0. Oggi è diventato possibile, scrive Giuliano da Empoli, “sollevare gli argomenti più controversi RIVOLGENDOLI SOLO A QUELLI CHE SON SENSIBILI AL MESSAGGIO”. Una tecnica che offre un vantaggio strategico colossale, quello di evitare le controindicazioni, ovvero evitare di “alienare il consenso di altri elettori che la pensano in modo diverso”.

Ecco in che senso, aggiungo io, che sinistra e destra sono superate. Lo sono in termini di comunicazione elettorale, non necessariamente in termini etico-programmatici.

Dog whistle politics significa letteralmente “politiche del fischietto per cane” nel senso che soltanto il cane sente quel segnale, il che tradotto significa che solo alcuni avvertono il richiamo, gli altri non sentono nulla. (pg 21)

Per il momento, osserva il Da Empoli, nella politica italiana c’è solo il Movimento Cinque Stelle ad avere i Big Data, mentre in America le forze politiche sono da anni in competizione per gestirli.

 

 

 

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14 giugno 2017 3 14 /06 /giugno /2017 13:37

 

LiMes di giugno. La quinta monografia di quest’anno è dedicata agli scenari di un divorzio atlantico possibile. Più precisamente è dedicata alla Germania, la sua cultura e il suo potenziale geopolitico, come perno di una svolta che Lucio Caracciolo nel suo articolo introduttivo definisce: ”processo di emancipazione dal vincolo americano e progressiva normazione della normalità”.

La Germania attuale è il risultato di una fuoriuscita vincente dalla subordinazione cui l’avevano sottoposta i vincitori di WW2. L’America in particolare “vinta la seconda guerra mondiale, inventò la sua Europa per controllare la Germania ed impedirne l’aggregazione all’impero sovietico” scrive Cracciolo. Questo piano rispondeva ad una strategia di “doppio contenimento, antitedesco e antirusso” in una idea che richiama una sorta di Euramerica.

Il battesimo del marco, nel 1948, fu favorito unilateralmente dall’iniziativa americana. Esso fu poi seguito dal robusto schieramento militare che, a partire dal 1949, creò la Repubblica Federale di Germania in funzione anticomunista, uno Stato satellite cui venne contrapposta la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. In tal modo “la spartizione della potenza sconfitta era la garanzia reciproca tra vincitori… per cui nessuno poteva aggregarla interamente al proprio carro”. In un primo tempo il processo fu condiviso anche da britanni e francesi, ma il disegno egemonico era soprattutto americano. “Accordi segreti mai denunciati – scrive sempre Caracciolo – consentivano all’intelligence statunitense di intercettare a piacimento ogni genere di comunicazioni aperte o riservate dello Stato alleato” (pg 12). E la stessa intelligence della Repubblica Federale fu creatura totalmente USA.

 

Dopo gli anni di Guerra Fredda l’unificazione ha favorito la Germania al di sopra delle aspettative. La stessa creazione dell’Euro fu concepita da “francesi e italiani come riparazione che i tedeschi dovevano agli europei per essersi unificati” ma in realtà oggi funziona “da moltiplicatore della potenza commerciale tedesca nel mondo. “E ultimamente, anche con l’avvento di Trump, siamo giunti al tempo delle recriminazioni palesi.

Al G7 di Taormina il nuovo clima è stato in pratica solennizzato.

A tenere in vita l’Euro, scrive Caracciolo, resta la paura di catastrofi monetarie. Ma è pronto un Piano B. Merkel infatti pensa ad un euro del Nord (una moneta che nell’articolo viene definita ‘Neuro’, non so se ironicamente o seriamente) pronto a scattare in caso di emergenza. Si tratterebbe di passare ad una Unione Monetaria ristrutturata, germanocentrica, che coinvolga, tra i principali partners commerciali europei, un gruppo più ristretto di paesi. In pratica una eurozona consolidata, ma più piccola della attuale. Qui è interessante notare che nella cartina che la prospetta l’Italia appare spezzata in due: Italia del nord e resto del Paese. IL testo non ne parla, ma la mappa è chiarissima.

 

 

 

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29 aprile 2017 6 29 /04 /aprile /2017 13:47

 

Ilaria Capua è una virologa di fama internazionale, sta atterrando Florida dove inizierà a cinquant’anni una nuova vita e inizia il racconto di questo libro. Autobiografia che racconta e denuncia “una storia di scienza e di amara giustizia”.

 

Scrive bene, è intelligente e colta ed ha avuto una esperienza che è opportuno conoscere. Per questo il libro non è sembrato una scusa agiografica per una operazione di markenting, ma un’occasione per aggiornarsi su scienza e politica dei nostri giorni.

 

E' uscito il mese scorso (Marzo 2017). A spingermi alla lettura, dopo la presentazione del libro avvenuta a Valdagno, poi da Augias e da Minoli, è la curiosità di sapere se è stata vittima di infauste casualità, o se è caduta in una trappola globale.

 

Arriva a Orlando subito dopo la strage che ha portato per alcuni giorni il nome di quella città nei nostri telegiornali. C’è stata una sparatoria della polizia contro gente di colore. Ora Obama è in visita alla città: è l’America bellezza! Il senso di nuovo inizio è chiaro in questo primo capitolo che, come tutto il resto del libro, è stato scritto in collaborazione con Daniele Mont D’Arpizio, divulgatore.

Ci si introduce qui alla vita di Ilaria.

 

Contrariamente alle aspirazioni paterne Ilaria ha studiato veterinaria dopo un curriculum studentile di prim’ordine tra Roma e Perugia. Vuole fare ricerca e vuole farlo nel pubblico. Vince un concorso che la porta a Teramo e qui avvia un’esperienza di partnership col settore privato. O così o niente fondi. Le aziende hanno i dati e glieli forniscono, lei col suo laboratorio offre di fatto in cambio un servizio di controlli. Funziona, arrivano i fondi e lei comincia a produrre test diagnostici per le malattie dei volatili senza dover comprarli dagli inglesi. Impara all’estero ad estrarre il DNA virale. Congelamento, scongelamento, centrifuga, etanolo ecc. Estende il metodo all’adenovirus, all’herpesvirus e finalmente pubblica col suo gruppo. Arrivano i premi. Fa pagare stipendi e impara che ci si diverte anche in laboratorio. Tra provette e centrifughe scoppiano storie che poi finiscono, lei sposa Giovanni ma non funziona.

 

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie lancia un bando e lei arriva in Veneto, a Legnaro, 10 Km da Padova. Scoppia l’epidemia di influenza aviaria e l’area, che è sovrappopolata con tanti allevamenti avicoli, è sotto emergenza. Il virus si attacca alle scarpe, alle ruote e si estende con un effetto domino devastante. Abbattimenti e controlli in prima linea, tra gli allevatori veneti ai quali spiegare come si diffonde il virus. Ilaria trentenne, donna che parla ai contadini veneti di regole europee da rispettare e lo fa con accento romanesco, non può fermarsi a pensare, deve uccidere i virus. E con i colleghi veterinari che la aiutano, abbatte 17 milioni di polli in quattro mesi. Un bagno di sangue che però contiene l’epidemia. Ma a lei non piace il ruolo dell’angelo sterminatore. Perché non cercare di salvare tutti questi animali per esempio sviluppando i vaccini?

Ecco, questa è probabilmente la domanda chiave della sua vita.

 

Il punto centrale del problema è che una volta somministrato il vaccino l’animale immunizzato non è distinguibile dagli altri ammalati perché sviluppa gli stessi anticorpi. Ma in altri paesi, extraeuropei, i vaccini invece si usano.

A PG 32 il libro spiega il procedimento attraverso il quale si può realizzare la distinzione, messo a punto da Ilaria. Esso è stato adottato nel protocollo europeo per gli allevamenti avicoli. Si chiama DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals).

La vita di milioni di persone dipende da questa idea messa punto a Legnaro, 10 Km da Padova in una struttura pubblica a dimostrazione, osserva il libro, che non si è mai ai confini dell’impero. Con la ricerca e la determinazione il successo, l’OMS, la Commissione Europea sono a due passi.

 

                                          ***

 

Diventa leader, conosciuta in tutto il mondo. Il suo gruppo passa da otto a sessanta, con donne e stranieri. Arriva anche l’amore, quello giusto stavolta: Richard uno scozzese che non parla ancora bene l’italiano. Con lui arriva Mia, cui è dedicato il libro perché un giorno lei dovrà capire. E l’esperienza della maternità a trentott’anni è forte, rischiosa e dolorosa, ma è anche grande e dà equilibrio alla sua vita. Si trasferisce ad Asiago con la madre.

Ma nel 2005 scoppia l’ennesima influenza aviaria. Si diffonde rapidamente in tre continenti, ma l’Europa con i suoi protocolli è più sicura e l’Istituto diventa punto di riferimento globale. E perciò quando un laboratorio nigeriano riesce ad isolare il virus lo manda a lei, a Legnaro dove viene decodificata la sequenza genetica. E’ fatta. Ora da lì si può partire per sviluppare test diagnostici ecc. A questo punto però, haimé, spuntano i guai. l’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole la sequenza, nessun problema, ma la vuole per segretarla in un database di Los Alamos ad accesso ristretto. Loro, quelli di Legnaro, sarebbero del club, avrebbero accesso a quel database, entrerebbero nella élite del potere sanitario globale. Premi e riconoscimenti. Ma Ilaria, interrogata la propria coscienza e i propri colleghi, dice NO. La fuori c’è il mondo in pericolo e quell’impronta digitale che lei ha per le mani è decisiva per salvarlo. No, Ilaria crede nell’Open Access e sente di non dover “rispondere ad un board il cui unico interesse è far soldi” (pg 42) e non ci sta proprio: mette tutto in un database pubblico, accessibile a tutti i laboratori del mondo.

 

La sequenza viene scaricata e condivisa da migliaia di fonti e si sviluppa un dibattito sulla opportunità di condividere i dati in fase prepandemica con piena trasparenza e grazie a ciò nel 2009 il virus della influenza suina verrà tracciato a tempo di record.

 

Nel 2007 riceve il premio Scientific American 50 per aver “promosso la trasparenza e la condivisioni dei dati scientifico in tutto il mondo” ma l’esposizione e la notorietà non le danno vantaggio, si sa, suscitano invidie. Donna, mamma, burbera, aggressiva e distaccata - così viene definita – l’aria si fa di piombo all’Istituto.

Con la prima vaccinazione per l’avaria del 2000 il fatto di aver reso pubblica la sequenza del virus ha segnato un passo davvero importane per la scienza Open Access è ciò è stato riconosciuto ufficialmente nella motivazione del premio internazionale più importante nel campo della veterinaria, il Penn Vet World Leadership Award e il tour americano per la consegna è trionfale. La motivazione dice tra l’altro che la Capua ha cambiato in modo sostanziale “la pratica e l’immagine della professione veterinaria”.

 

In questi anni Ilaria Capua sa già di essere intercettata perché avvertita da un biglietto anonimo, ma non capisce perché. Quando riceve un avviso di garanzia si adopera per incontrare il giudice per le indagini preliminari che se ne occupa e lo incontra il 2 Luglio 2007. L’incontro è generico e non avrà più seguito fino alla vera e propria imputazione della primavera 2013. Quando, dopo un servizio-inchiesta del settimanale Espresso si ritroverà addosso accuse pesantissime collegate al traffico di virus.

A questo punto lei è già deputato alla Camera, eletta nelle liste di Mario Monti.

 

La vicenda che l’ha portata ad accettare tale candidatura è abbastanza complicata e nel libro viene descritta nei capitoli centrali, dove si narra della sua vincente selezione presso il Weybridge, Central veterinry Laboratory in Inghilterra. Il posto sarebbe di grande prestigio e avvicinerebbe la famiglia al ramo anglosassone di suo marito. Ma il ministro della Sanità del quarto governo Berlusconi Ferruccio Fazio viene a saperlo e mostra di non gradire che l’Italia perda un cervello di chiara fama. La invita al ministero e le offre di impegnare il Fondo annuale per gli istituti zooprofilattici in un progetto per un mega laboratorio in Veneto sotto la sua completa direzione. Una proposta molto lusinghiera che sembra concepita per rilanciare la ricerca di eccellenza in Italia. Lei accetta e rinuncia al prestigioso progetto anglosassone. Ma Fazio rimane in carica solo fino a quando cade Berlusconi e nel frattempo le cose si complicano. In pratica sfuma tutto dopo un frustrante gingillìo di progetti per la costruzione della Torre della scienza in Veneto, a Padova.

 

 

La sua vision, quella che lei chiama One Health, non è mai stata così vicina alla possibilità di essere realizzata. Ma forse Ilaria, abituata alla precisione scientifica, non ha chiaro cosa sia il muro di gomma della politica e parte in quarta sulla pista sbagliata. Gli altri istituti zooprofilattici non sono per niente entusiasti di queste nuove idee partite dal ministro, il suo stesso istituto ha impegni di investimento precedenti che vincolano la spesa e soprattutto non c’è chiarezza sul fatto che lo stanziamento previsto dal ministro sia aggiuntivo o meno. Alla fine di dieci milioni ne restano uno e mezzo. Inutile pensare di procedere da sola, perché” forse è vero che il singolo non conta niente, se il sistema non è disposto ad ascoltare.” Non è il momento, scrive, e forse neanche il paese giusto per andare controcorrente. Intanto però le aspettative per il nuovo laboratorio si sono sviluppate anche tra i suoi colleghi e i dipendenti dell’Istituto e diventa quindi rilevante il fatto che lì vicino, a Padova, c’è un progetto promosso dalla Fondazione Città della Speranza in fase di realizzazione avanzata: la costruzione della Torre della Ricerca.

 

La Fondazione dispone di risorse che derivano soprattutto da un crowdfounding di successo e le ha impegnate in un progetto molto ambizioso. Il progetto riguarda l’oncoematologia pediatrica ma ad Ilaria viene consigliato da gente esperta di provare a cercare punti di contatto per un lavoro fianco a fianco. Si può intravvedere infatti una sinergia in tema di virus e sistemi di gestione time sharing con la parte della torre che si occupa di HIV pediatrico. Ilaria quindi sogna questa possibilità e si lusinga un’altra volta. Tra i vertici dell’Istituto e quelli della Fondazione avvengono incontri lusinghieri con forti strette di mano, ma poi tutto procede al rallentatore. L’Istituto dovrebbe comprare il settimo e il nono piano della Torre, la Fondazione ha fretta anche perché l’alternativa è il mutuo milionario, ma è proprio l’Istituto che non tira per concludere. Il nuovo presidente della Regione Zaia si esprime a favore del progetto ma ci sono vincoli tecnici di pubblica amministrazione, ad esempio i finanziamenti possono essere utilizzati solo per manutenzioni su terreni in proprietà ecc. ecc.; altre ipotesi di ristrutturazione dei laboratori con suddivisioni del personale non piacciono a Ilaria. In pratica si blocca tutto, la Fondazione pone un ultimatum alla fine del 2012 e l’appuntamento vien mancato.

 

 

Secondo commentatori della politica veneta il progetto “Capua in Torre” è caduto perché dietro di esso si è celebrato lo scontro interno tra la Lega di Zaia e quella di Tosi. Ilaria si dichiara “scossa, allibita, delusa e stanca” ma a chi, come me, un po’ di politica l’ha vista da vicino, risulta un atteggiamento tutto sommato ingenuo. Gli altri partner dell’Istituto, quelli che siedono nel consiglio di amministrazione ovvero la Regione Friuli e la Provincia Autonoma di Trento e Bolzano non erano interessati al progetto padovano e certo non vedevano bene il ministro Fazio. Tutto qui.

 

 

 

Nel capitolo settimo Ilaria si diffonde in una difesa strenua dei vaccini. Per lei i vaccini hanno salvato l’umanità e cita la poliomielite, la difterite e la meningite. Auspicherebbe che fossero gli Stati a produrre i vaccini, ma ammette che le aziende farmaceutiche hanno preso la palla al balzo e si sono ad essi sostituite. E non sono enti noprofit. E’ però giusto che sia così perché, scrive Ilaria, il trattamento medico-chirurgico che il paziente è costretto ad affrontare quando prende la malattia è molto più costoso di quello che comportano i vaccini. (pg 104)

 

 

La seconda parte del libro è altrettanto interessante. Ilaria non usa il libro per togliere sassolini dalle scarpe, ma persevera nella sua fede nella scienza ignorando i rischi che nascono quando quest’ultima interagisce con la politica.

 

 

 

 

 

 

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16 marzo 2017 4 16 /03 /marzo /2017 11:05

 

 

 

I nuovi orientamenti delle opinioni pubbliche occidentali esprimono forte disagio popolare nei confronti della immigrazione e della delocalizzazione. Sono dinamiche conseguenti alla globalizzazione, ovvero un forte processo che riorganizza le relazioni commerciali mondiali, un processo che è soprattutto collegato agli accordi che hanno visto la Cina entrare nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001.

Finora questo processo è stato narrato all’insegna del buonismo (accoglienza e solidarietà) ma in questo modo sono stati nascosti i pericoli e le popolazioni hanno scoperto le fabbriche che chiudono e l’arrivo di gente diversa, e a volte ostile, senza esserne preparati. Anzi, scoprendo di essere stati ingannati dalla narrazione “polically correct”. Le responsabilità sono soprattutto della sinistra che, in nome della modernità e dell’innovazione, ha piegato la propria cultura a quello che di fatto si configura come un sostegno incondizionato alle multinazionali che promuovono e incalzano la globalizzazione stessa.

In Europa ciò si traduce in sentimenti di insicurezza e paura. Paura di perdere le protezioni del welfare, paura del terrorismo islamisitco e precarietà per i figli. Si cerca pertanto rifugio nelle soluzioni estreme e in comportamenti politici delle opinioni pubbliche sono effettivamente estremi. C’è una retrogressione verso l’isolamento. Al contrario di ciò che si proponeva la sinistra (“…ce lo chiede l’Europa…”) non vi è più alcuna devozione verso il sovranazionale, anzi, palese ostilità.

Federico Rampini usa l’espressione “tradimento dell’élite”, nei confronti di quel ceto globale fatto di manager, finanzieri e politici che inneggiano alla società multietnica senza indicare anche l’enorme minaccia che matura nel mondo islamico: l’attacco radicale ai nostri sistemi di valori.

E lo fa nel suo ultimo libro, uscito il Ottobre 2016 pochi giorni prima della vittoria trumpista negli Stati Uniti.

Egli riprende alcuni temi già affrontati precedentemente, come l’autocolpevolizzazione permanente, la tendenza a giustificare gli scontri della banlieu come mancata integrazione, incapacità di assorbire i flussi crescenti di immigrazione quando invece il nuovo attacco islamista ci viene portato da soggetti di seconda o terza generazione, integrati e benestanti. Soggetti che però sono ostili alla nostra decadenza morale.

Egli esamina negli ultimi capitoli anche i limiti e le responsabilità della informazione e il ruolo dei media e indica la necessità di uscire da questa empasse libernado l’economia dalla soggezione e dai ricatti multinazionali, rilanciando la partecipazione e il dibattito civile nell’obiettività.

Il libro intuisce la svolta critica di cui necessita lo scenario globale e la narrazione occidentale. Ed è senz’altro una lettura utile e veloce.

 

 

 

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