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5 giugno 2014 4 05 /06 /giugno /2014 11:01
CHRISTIANE F. La mia seconda vita

Christiane Vera Felscherinow. il giorno del suo diciottesimo compleanno ebbe accesso ad un conto corrente in cui c’erano più o meno quattrocentomila marchi. Erano i diritti d’autore per le pubblicazioni della sua storia: Noi i ragazzi dello zoo di Berlino. Un successo internazionale che ancora oggi campeggia nell’universo culturale della nostra generazione.


Negli anni del dopo eroina era stata affidata alla nonna bavarese, un tipo duro, e, conclusi gli studi, ha fatto per un po’ apprendista in una libreria del Kaltenkirchen. A 19 anni quando, dopo i reportages di Stern nel 1978 esplode il successo del libro, il film tratto dal libro viene promosso in America, lei viene coinvolta dal regista e si reca a Los Angeles col produttore. Conosce e diventa amica di Nina Hagen.
(Il film era interpretato dalla giovanissima e bellissima Natja Brunckhorst, ed era troppo giovane, a giudizio dei genitori, per andare in America per questo toccò a Christiane che inizia così un viaggio nello star system).

Tornata ad Amburgo ha varie esperienze ed amicizie e fa anche concerti rock. Sono i primi anni ottanta lei gira tra Europa e USA, conosce anche David Bowie che alla fine le appare per quel che è: “… il prodotto del proprio marketing, scrive melodie per le masse… ed è un genio della finanza con perfetta conoscenza del proprio business.” Viaggia anche sull’aereo dei Rolling Stones ed assiste ad un loro concerto da dietro le quinte. Ma non la ricorda come una grande esperienza. Solo rapporti e conversazioni superficiali che lei definisce con una parola: smalltalk. Nei suoi giri rock tra Europa e USA ritorna in contatto con l’eroina e conosce l’ecstasy. Per tre anni frequenta una famiglia svizzera, la famiglia di ANNA che le fa conoscere vari grandi nomi del cinema e della scrittura, da Dὕrremat a Fellini, Patricia Highsmith e altri. Ma lei si fa. Va e viene da Zurigo a Berlino ed è sempre instabile nei rapporti. Prova l’ipnosi per uscire dalla droga, ma è troppo costoso e chiude con gli amici svizzeri.

Nell’85 finisce in carcere per via dell’eroina. Finisce nello stesso ufficio antidroga nel quale era stata a 13 anni, ma questa volta non c’è il padre che viene a prenderla, ma c’è Anna, la potente talent scout letteraria svizzera che, coi soldi, la tira fuori dal carcere per metterla in terapia. Ma Christiane quella terapia non la fa proprio e torna in carcere a Berlino nel Gennaio del 1986 per scontare tutta la sua condanna di un anno. Il carcere ovviamente è duro e nel libro non mancano descrizioni efficaci, ma fortunayamente non c’è solo quello: “in carcere, spesso mi sono sentita più libera di quando ero in libertà” (pg. 105). Sceglie di lavorare per la falegnameria del carcere e si innamora di una donna, una guardiana. Riceve e risponde a 425 lettere. Ammiratori. Lei risponde, dice infatti di essere “più brava a scrivere che a parlare” e così passano i dieci mesi del carcere femminile di Plötzensee. E quando esce, disintossicata, si mette con Gode Bennedix dal quale abortirà un figlio. (Costui oggi è un artista affermato, recentemente ha recitato nel film “Anonymous”, di Emmerich)


Poi ci sono gli anni in Grecia, “i più felici della mia vita” scrive Christiane a pagina 125. Ed è sicuramente vero, se lo dice lei, ma per un lettore come me che non ha mai visto l’eroina e non conosce la dipendenza quegli anni non sembrano affatto felici, anzi possono sembrare spaventosi. Il punto è che Christiane sa raccontare come pochi l’amaro della vita e ti coinvolge in un mondo credibile, per quanto spaventoso, un mondo che fa paura ma che si può affrontare.
Poi c’è la sua storia con Panagiotis, hippy greco eroinomane. Costui è la ragione per la quale quegli anni sono stati i più felici. Penso che abbia giocato un ruolo anche il sole imperdibile delle isole greche, ma sicuramente questo è l’uomo che le ha dato più di ogni altro l’amore, e come lei stessa racconta, l’eros che lei brama. Il suo secondo aborto, questa volta, è spontaneo.


E’ il 1993 quando rientra definitivamente a Berlino e lì arriva quello che lei definisce “il capitolo più buio della mia vita”. (pg. 135) Che però si conclude con la nascita di Phillip, così si chiama nel libro il suo bambino. Il padre è un ragazzo del giro, più giovane di lei e la madre, finalmente si riscopre. Nel 2000 si trasferisce a Spandau in una casa comune gestita dai servizi sociali. Terapia sostitutiva, sedici donne e venti bambini. Cambia casa, si sistema, insomma:” grazie a mio figlio mi ero disabituata ad essere un uccello notturno”. Tuttavia essere la ragazza dello zoo di Berlino non è per niente un fatto che aiuta e Christiane infatti si trova meglio nel Brandeburgo, una regione nella quale ai tempi della DDR il libro non era stato venduto e perciò da quelle parti lei non era famosa. E questo fatto di essere famosa a causa del libro e del film si rivelerà ancor più pesante con la successiva crisi quando, dopo aver tentato d stabilirsi in Olanda per evitare che le venisse sottratto i figlio, dovrà gettare la spugna e rientrare in Germania dove “toccai il fondo”.
Christiane F. ha perduto suo figlio per sempre. Christiane F. e ricaduta nell’inferno della droga sono alcuni titoli dei servizi giornalistici di quel periodo, (alcuni si possono vedere tutt’oggi su You Tube) Si tratta insomma di un periodo nel quale la sua vicenda era tornata sotto il tiro dei media. E il suo caso venne rilanciato. Qui lei paga l’enorme successo di una fama, a volte strumentale, generata da libro e film. In tale frangente constata che anche sua madre e altre persone vendono informazioni sulla sua vita alla stampa assetata di aneddoti. Christiane ha un modo di ragionare che non dà mai la colpa agli altri delle sue sfighe, ma qui si percepisce la notevole problematicità dei rapporti con la madre.


Nel 2008 perde la patria potestà sul figlio e la sofferenza per questa separazione pervade tutte le pagine successive del libro. In questa ultima parte della narrazione si avverte il suo sentimento autentico di maternità, ma si prende anche atto del suo fallimento.
Insomma: da star del buco a pazza di turno. (pg. 200)


Per me questo è un buon libro. Ho trovate molto intelligenti le considerazioni della Vukovic all’inizio a alla fine. Ma non c’è solo questo e la sua lettura arricchisce anche chi non ha intenti di ricerca, ma vuole solo conoscere una biografia per imparare una lezione di vita.











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