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1 dicembre 2014 1 01 /12 /dicembre /2014 18:16

Il 1 Dicembre 1934 a Leningrado, presso l’edificio dell’ex collegio femminile dal quale Lenin e Trotskij diressero le ultime fasi della rivoluzione d’Ottobre, viene ucciso Kirov Sergej Mironović. Costui era molto vicino a Stalin e considerato da vari osservatori come suo delfino.

Leonid Nikolaev fu il suo assassino, trovato con la pistola fumante sulla scena del delitto. Era il marito di Larissa Nikolaeva, la segretaria particolare di Kirov. Il fatto venne liquidato come delitto passionale motivato dalla gelosia, ma rimangono succosissimi dubbi soprattutto sul lato politico della storia.

A raccontarceli bene, in poche pagine e senza fronzoli, è lo storico/giornalista Arrigo Petacco nel suo libro LA STORIA CI HA MENTITO (Mondadori 2014). Egli sostiene che Stalin sfruttò l’episodio con sospetta velocità per accelerare la svolta autoritaria che diede avvio alle purghe. Stalin infatti fu avvertito subito per telefono della morte di Kirov e partì immediatamente da Mosca per partecipare agli interrogatori. Ma in quegli istanti, pochi minuti tra la telefonata e la partenza, scrisse di suo pugno il testo di una delle leggi più liberticide del secolo scorso: “1 - Si ordina a tutti i tribunali di accelerare i processi contro i cittadini sospettati di essere nemici dello Stato. 2 – Si ordina che gli imputati siano privati di ogni diritto di difesa, appello e grazia. 3 - Si ordina che le sentenze siano eseguite immediatamente. ”

Sembra impossibile a leggerlo ora. Anche la peggior propaganda anticomunista oggi come oggi stenterebbe a credere in un simile testo. Ma Petacco la riporta in questi esatti termini forte della credibilità della sua fonte, niente meno che il segretario del PCUS Chruscev al XX Congresso.

Da quel momento si poteva fare il processo al mattino e l’esecuzione nel pomeriggio sulla base di un semplice sospetto. E così infatti avvenne in molti casi, culminati nel 1936 – ‘38. In proposito un vecchio lettore di tanta, troppa, letteratura comunista come me non può non citare Zinoviev e Kamenev processati e condannati a morte poco più di un anno dopo. Ma anche Radek e Piatakof che ebbero la stessa sorte nei mesi in cui usciva il formidabile libro di Trotskij La rivoluzione tradita.

Oggi non c’è dubbio che era vero quello che scrisse subito Trotzkji dall’eslio: “Stalin ha fatto uccidere il suo amico più caro per addebitare il delitto alla opposizione interna e ottenere man libera nel liquidarla completamente.” Ma all’epoca, si sa, egli non fu creduto neanche dagli anticomunisti, ai quali andava bene che durante la guerra di Spagna venissero fatti fuori i trozkisti e gli anarco-rivoluzionari dagli stessi comunisti stalinisti. Ma alla fine a tagliare la testa al toro in favore della verità (ammesso che sia questa perché non si sa mai…) fu proprio un comunista vent’anni dopo, quando appunto al XX Congresso sotto la guida di Chruscev il capo della polizia sovietica Sciegliepin dichiarò: “L’assassinio di Kirov fu usato da Stalin, Molotov e Kaganovic come pretesto per eliminare i compagni che erano loro antipatici.” E oggi rimane anche nei vecchi comunisti la convinzione che quel decreto fosse in realtà già pronto al momento della notizia.

Larissa era molto bella ed era l’amante, si dice appassionata, di Kirov il quale, si dice, ricambiava al punto che aveva fatto trasferire il marito, funzionario di partito, a Murmansk a dirigere un campo di concentramento. Costui, il Nikolaev, si era visto negare il permesso di rientrare a Leningrado varie volte e, incazzato, era rientrato in violazione degli ordini sorprendendo i due amanti. Il fatto che quel rientro illegale non fosse stato bloccato dalla polizia è molto insolito, vista l’efficienza, e costituisce un forte indizio di complicità del potere. Come pure il fatto che egli sia entrato di notte senza alcuna difficoltà nel sorvegliatissimo edificio del Comitato Centrale. Infine le ricerche svolte ai tempi del XX Congresso dimostrarono che Borisov, l’ufficiale della polizia segreta cui era stata affidata la protezione di Kirov perì in un incidente d’auto mentre veniva portato a Mosca.

Anche Svetlana, la figlia di Stalin, rivelò circostanze sul caso riguardante la morte dello “zio Sergej”. Disse che fu Berja, non suo padre, ad ordire il finto assassinio passionale al fine di eliminare colui che lo teneva in pugno perché conosceva i termini della sua (di Berja) segreta partecipazione al movimento musulmano Musavat durante la guerra civile contro l’Armata Rossa. Situazioni molto complicate. Sta di fatto che dopo l’eliminazione dell’ostacolo che stava tra lui e Stalin la carriera di Berja fu fulminea. E sta di fatto che il gruppo stalinista sfruttò “oggettivamente”, come si diceva una volta nelle analisi leniniste, l’evento, al fine di consolidare il potere proprio e liquidare il vecchio bolscevismo.

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