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5 aprile 2011 2 05 /04 /aprile /2011 08:14

lavoro-da-morire.jpgEinaudi nel 2009 ha pubblicato "LAVORO DA MORIRE", una raccolta di racconti sul tema del lavoro e la sua sicurezza. Alcuni mi sono piaciuti molto, altri un po' meno.

 

Tullio Avoledo, “IL PESCE GRANDE MANGIA IL PESCE PICCOLO” (2009)

Il breve racconto di quindici pagine è narrato da un padre cinquantenne del 4 giugno 2018. Il mondo è in piena crisi economica a causa dei cinesi che hanno vinto la battaglia economica e spiazzato le piccole imprese. La nuova generazione ha una crisi molto tosta da affrontare e la vita del futuro avrà decisamente meno benessere di quella dei padri. Il PIL non cresce da dieci anni i piccoli imprenditori sono figure scomparse e quasi leggendarie, al punto che si fanno interviste che ne ricostruiscono il passato. Mancano le lamette da barba perché nessuno le produce più e il narratore ne usa una, l’ultima, che non essendo più affilata fa rimpiangere l’epoca della opulenza e lascia pelacci ruvidi in giro per il mento. La metafora vuole indicare il livello di crisi economica che si è raggiunto, e forse allude al fatto che i cinesi di barba ne hanno poca e non sono esperti di lamette.

Il tema quindi riguarda il lavoro del piccolo imprenditore artigiano come specie eroica, ma estinta, e viene trattato senza ironie, con spirito malinconico e cinico, un po’ fantascientifico. Anzi fantatecnologico perché descrive complicati sistemi di rielaborazione dell’immagine il cui uso ormai ha fatto perdere il gusto dell’identità individuale, il gusto di mostrare la faccia.

L’accenno al tema della sicurezza sul lavoro sta nell’ultima pagina del racconto e mi fa sospettare che tutto sommato sia stato aggiunto senza far parte dell’ispirazione originaria. Un’ispirazione molto più centrata sull’impresa famigliare, in particolare sulla figura dell’artigiano piccolo imprenditore (tipo nord est e Lombardia) con l’assillo delle tasse, dell’INPs , ma anche con tanta voglia di fare e la consapevolezza del valore del welfare e dell’associazionismo. Valori che andranno perduti con la globalizzazione.

 

Un testo scorrevole, centrato in gran parte sull’intervista. Le pagine dell’ intervista contengono materiale che potrebbe essere assolutamente vero e attuale, ma che viene trasformato in materiale narrativo da un escamotage semplice, quasi infantile, ma tipicamente letterario: la post-datazione.

 

L’autore ha anche scritto e pubblicato almeno altre quattro opere, tra le quali L’ELENCO TELEFONICO DI ATLANTIDE (2003)

 

 

Cosa mangerei con questo racconto.

Asparagi. Di stagione, tritando molto il gambo e salvando le punte, che aggiungerò dopo, in un buon risotto preparato con la pentola a pressione. Il soffritto direttamente in pentola, lo preparerei con meno cipolla e starei leggero col burro. Anzi, considerando che alla fine sarà dominante il profumo terroso, metterei niente burro e solo olio d’oliva che così si rosola più lentamente. Poi, prima di aggiungere brodo fino a copertura e chiudere la pentola, un angolino di dado al glutammato invece del sale. Quattro minuti di sbuffo quindi lascio sfogare e apro la pentola per il controllo di sapidità. Se del caso aggiungo un po’ di sale fino, ma attenzione: niente formaggio grattugiato, altrimenti ci freghiamo proprio il profumo di punta d’asparago. E a questo punto, tiepido e leggermente rappreso, via! In tavola, con un calice di Pinot Nero vivace, dei colli piacentini.

 

Che musica ascolterei.

Non so se è appropriato, ma penso a Puccini. Un bel dì vedremo, levarsi un fil di fumo… e magari canticchiarla facendosi la barba. Ma a proposito… io le lamette non le uso più da oltre vent’anni. Allora, pensando a questo racconto, è proprio il caso di dire: “Alla faccia” !!

 

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