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18 dicembre 2013 3 18 /12 /dicembre /2013 23:59
VOGLIAMO TUTTO, di Nanni Balestrini

Ho concluso la lettura di VOGLIAMO TUTTO in Oscar Mondadori ed ho restituito il volume alla Biblioteca Civica di Valdagno. La rilettura non è assolutamente attuale anzi è tediante. Può essere utile per ripercorrere la cronaca della aggressività operaia alla FIAT nel periodo immediatamente precedente all’autunno caldo.

Alcune riflessioni.

1 - Di questo testo le edizioni ormai non si contano più. E’ stato stra-studiato a destra e sinistra per capire cosa stava succedendo all’inizio degli anni settanta. Però molto spesso l’approccio di quelle letture era ideologico e prevenuto. Il suo messaggio oggi mi appare più semplice: I comportamenti antagonisti dell’operaio massa, certamente innescati dal taylorismo, sono tutti legati all’immigrazione dal Sud. Era la mancanza di legami sociali con il nuovo contesto urbano in cui si lavorava a determinare il comportamento deviante che poi il movimento sindacale seppe incanalare, e sfruttare, nella grande stagione di vertenzialità contrattualistica.

L’operaio massa fornì al sindacalismo degli anni settanta quella dose di antagonismo rivoluzionario che aprì un grande margine riformistico. Il movimento sindacale italiano lo seppe sfruttare bene, ponendo le basi per una propria legittimazione che durò un paio di decenni. Ma è tutto lì.

2 –Di questa edizione, uscita lo scorso Settembre, la cosa più interessante è data dalla copertina del libro, che non è quella originale. Anch’essa se vogliamo ha un messaggio. Si tratta del pugno chiuso che stringe la chiave inglese. Si può notare che il pugno rappresentato è quello della mano sinistra e che la chiave inglese ha le punte in alto a sinistra. L’attrezzo in questione non è l’iconica Hazel 36 degli anni settanta, quella che ha ucciso Sergio Ramelli per capirci, bensì un modello più leggero, che può menare ma difficilmente può uccidere. Insomma una versione moderata della lotta operaia più violenta.

E ciò vale nonostante l’inchiostro nero su campo rosso, colori della bandiera anarco-sindacalista.

La riflessione che ciò mi stimola è la seguente:

Il povero Sergio Ramelli era iscritto al Fronte della Gioventù, cosa che comunque la si guardi non merita certo la pena di morte. Egli venne colpito alla testa a Milano il 13 Marzo del 1975 e impiegò 47 giorni a morire. Questo fatto lega ancor oggi ignominiosamente l’icona della chiave inglese, strumento di lavoro metalmeccanico, all’idiozia della lotta armata in quel contesto.

A quell’epoca i manipolatori di Stato e gli esaltati della lotta armata stavano pianificando un upgrading della tensione pubblica e ci riuscirono due anni dopo armando Autonomia Operaia, e le sue ramificazioni clandestine, di P38. Questo libro era già uscito da cinque anni ed è realistico suppore che abbia influito su quel contesto violento. In ogni caso Nanni Balestrini ha fatto bene a scriverlo e gli editori hanno fatto bene a pubblicarlo perché ha ancora oggi un valore di documento.

Ma le lotte operaie, quelle che hanno prodotto i diritti in fabbrica e gli ammortizzatori sociali, sono state una cosa seria e giusta. Insomma, tutta un’altra storia.

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