diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Il titolo si riferisce al luogo dove il pomeriggio del 19 Marzo 1980 un commando di Prima Linea uccise a Milano davanti alla porta dell’aula universitaria in cui insegnava, il giudice Guido Galli. Si tratta di una vittima del terrorismo la cui storia, con riferimento soprattutto alle qualità umane e professionali, viene ricordata in questo libro edito da Sironi e scritto da Renzo Agasso.
La prefazione di Umberto Ambrosoli, figlio di Luigi vittima della mafia, indica sin dall’inizio della lettura il taglio del libro: si vuole tener viva la memoria di un uomo che può costituire ancor oggi esempio di onestà, dignità e competenza professionale. La conclusione del libro, a pagina 204, ci ricorda invece un problema civile che abbiamo oggi e cioè il fatto che sia la vittima che il carnefice sono ancor oggi (nella memoria dei familiari delle vittime) convinti di aver agito per la libertà e la giustizia. Inoltre, aggiungo io, c’è rischio che gli assassini di quegli anni siano più presenti e più gratificati delle loro vittime. Pertanto la primaria finalità del testo, e anche la sua importanza, stanno più che altro nella parte commemorativa, ovvero nei ricordi dei colleghi e dei familiari; mentre la parte di breve ricostruzione storica degli avvenimenti serve a fornire un contesto e informazioni essenziali.
Alessandra Galli, giudice mianese, è la figlia di Guido. Ha deciso quel giorno di diventare magistrato nonostante avesse appena compiuti vent’anni e frequentasse un corso di grafica pubblicitaria. Parla anche di una sorta di rete con gli altri figli dei caduti, come Tobagi e Alessandrini coi quali condivide i medesimi sentimenti. Ma non capisce perché quando si fanno i film che parlano degli assassini di suo padre il giudizio implicito è sempre ambiguo e mai netto. Alessandra ricorda l’entusiasmo di papà per il collega ed allievo Armando Spataro.
Anche le testimonianze dei colleghi, pur con toni e accenti diversificati, sono interessanti. Tutti i colleghi, non solo quelli noti alle cronache giudiziarie come Pomarici, Caselli e Spataro, ma anche per tanti altri l’abbraccio a Guido non è formale. E nel loro ricordo viene richiamata soprattutto nel loro ricordo la competenza teorica ecc. Per fare un esempio Galli fu il primo magistrato a rinviare a giudizio sulla base del concetto di concorso morale, ancor oggi discusso, un concetto per il quale “Capi ed organizzatori sono corresponsabili dei fatti commessi e rivendicati dalla banda cui aderiscono”.
Insomma la parte commemorativa non è retorica e rappresenta il cuore, anche in senso simbolico, di questo libro. Tuttavia i dati narrati sulla storia di Prima Linea (PL) mi stimolano alcune considerazioni un po’ fuori tema.
000
1 - A guidare il commando che uccise Galli fu Sergio Segio, un ex killer che oggi, scontata la pena, appare ogni tanto in televisione e fa da consulente per l’analisi dei fatti terroristici moderni. Inoltre costituisce personaggio per film ove gli ex terroristi appaiono generosi e coraggiosi lottatori per un mondo più giusto. Io penso che Segio e compagnia facciano bene a contribuire a queste analisi portando la loro esperienza, ma dovrebbero farlo senza cedere alla lusinga mediatica, stando da una parte in riservata modestia.
2 - PL nasce nel ’76. E’ un po’ una conseguenza della crisi della nuova sinistra, quella sessantottina che aveva assunto l’identità riconducibile a due organizzazioni politiche molto note: Lotta Continua (LC) e Democrazia Proletaria (DP). Questi due partiti si erano presentati alle elezioni politiche ed avevano raggiunto solo l’1,5 % dei voti. Ciò venne letto come la prova che l’asse PCI-DC (il Compromesso Storico) chiude ogni spazio di rappresentatività istituzionale alla contestazione. Prevalse perciò la linea antiistituzionale. Attacco armato. E’ il movimento del ’77.
L’acronimo “PL” richiama un concetto organizzativo che matura nell’esperienza di chi organizza cortei. La prima linea infatti deve essere composta da persone più motivate, in grado di esporsi con preparazione e consapevolezza tattica. Deve essere parte del servizio d’ordine e disponibile a fronteggiare la polizia. Fin dal sessantanove i servizi d’ordine dei gruppi extra parlamentari si erano organizzati per affrontare gli scontri e, in taluni casi, anche creando strutture riservate armate.
PL però, volendo sfarfalleggiare con la mente, evoca anche palindromie. Se lo leggiamo da destra verso sinistra abbiamo infatti LP che può significare (nell’ottica di quegli anni) Lotta Proletaria ovvero un sincretismo tra Lotta Continua e Democrazia Proletaria. L’organizzazione denominata PL sarebbe quindi una organizzazione politico - militare risultante dalla fusione di due gruppi politici che si fondono e si armano per una nuova fase della lotta rivoluzionaria. Non si tratta di una avanguardia autonoma staccata dal movimento, ma della punta di un movimento per il quale la violenza politica è ormai una opzione naturale. L’idea guida è che le masse saranno protagoniste della lotta armata, non le avanguardie.
Insomma: “Lavorare, fare il rappresentante sindacale, sparare e preparare la cena.” (pg 20)
Il risultato concreto però sono i 101 attentati, 18 morti, 23 feriti. E ognuno di questi fatti ha lasciato un segno che pesa ancora sulla storia milanese di TUTTA la sinistra.
3 - In una mia recente lettura, INTRIGO INTERNAZIONALE, nel capitolo “Le regie occulte” (pgg 77 – 92) Fasanella e Priore si avvicinano al tema PL. Si parte dal presupposto che le manifestazioni “spontanee” dei primi anni settanta erano in realtà studiate fin nei minimi dettagli dai servizi d’ordine. L’unica spontaneità era quella dei giovani che si lasciavano trascinare. A giudizio di Priore, che studiò per anni ogni manifestazione, in particolare quelle romane, ogni corteo ed ogni fatto di violenza politica, c’era più precisamente una “regia clandestina” in ognuno di quei fatti. I cortei “spontanei” percorrevano in realtà degli itinerari programmati in precedenza lungo i quali venivano, la notte prima, piazzate auto che fungevano da deposito mobile delle armi. Le molotov venivano accuratamente preparate e custodite con piani sistematici da responsabili clandestini la cui rete era compartimentata. Il modello organizzativo era soprattutto copyright di Negri, e quindi di Morucci, perché proveniva dalla strutture nate con lo scioglimento di Potere Operaio nel 1972. I dirigenti formatisi precedentemente in PO svolgevano un ruolo di mobilitazione nelle università all’interno dei movimenti studenteschi e facevano parte di un'unica rete di fatto che orientava ideologicamente e dirigeva strategicamente il movimento di massa. Questo era il ruolo di Piperno, Scalzone, Toni Negri e Lanfranco Pace. Alcuni di loro però, come Negri, erano anche a capo di una struttura militare segreta innervata all’interno di quei movimenti. Struttura della quale Morucci si occupava fornendo armi e addestramento. La struttura quindi era la seguente: massa di studenti/operai che manifesta, e nuclei di regia che operano all’interno dei servizi d’ordine delle organizzazioni extraparlamentari. I livelli più ristretti sono poi entrati nella clandestinità BR sino, dice sempre Priore, alla superclandestinità. (Superclan = super clandestinità) E’ a quest’ultimo livello che, operando con tecniche di mimetizzazione superiori a quelle di cui erano in possesso gli organi inquirenti, venivano decisi gli attentati non rivendicati e senza apparenti motivazioni. “La storia degli anni di piombo è costellata di attentati e omicidi rimasti senza autori”.
Il collegamento tra questa analisi e la storia di Guido Galli sta nel fatto che, assumendo quest’ottica, si può vedere PL come la propaggine militarizzata di un movimento di massa che nel settantasette è già largamente infiltrato e controllato dal “governo invisibile” (definizione del prof. Ventura) del terrorismo. E con questo approccio si potrebbe leggere l’omicidio Galli come una seconda parte del piano che aveva già portato alla eliminazione di Alessandrini. Costui aveva indagato sul ruolo del club Bilderberg e soprattutto lo aveva messo agli atti. Ora, dopo la sua morte, che potrebbe essere spiegata con l’esigenza di fermarlo, era toccato appunto il collega Galli riprendere il lavoro sulle carte di Alessandrini. E anch’egli venne fermato. A pagina 130 di AULA 309 Renzo Agasso lo scrive: LA MORTE DI Alessandrini non giova alla causa rivoluzionaria. Giova invece a quanti avrebbero avuto da temere le sue indagini in corso.
Sono sempre Sergio Segio, Michele Viscardi, questa volta con Marco Donat Cattin e Umberto Mazzola a fare il servizio. Un servizio ai poteri illegali italo-stranieri che lavoravano in segreto contro il libero sviluppo della dialettica politica italiana.
Sergio Segio all’epoca, come i suoi compagni Viscardi, Bignami ecc., era un killer motivato politicamente, viveva in clandestinità e credeva di fare la rivoluzione. Non si accorgeva (suppongo) di essere solo un ingranaggio di una organizzazione armata usata dal sistema, nella sua accezione perversa, all’interno di un vasto piano finalizzato a tenere fuori i comunisti dai luoghi di potere legittimamente conquistati. E’ la triste storia politica della mia generazione e oggi rimangono molte vittime verso le quali l’unica cosa che possiamo fare è onorare la memoria e imparare la lezione di vita che ci hanno lasciato.
Per questo sono certo di aver fatto, con Aula 309, storia del giudice Guido Galli ucciso da Prima Linea, una buona lettura.