diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
La storia si svolge tra il 1976 e 1977 a Berlino ovest e narra due anni di vita di Christriane Vera Felsherinow, eroinomane e prostituita adolescente. Ho letto l'edizione che ho trovato in biblioteca. La storia non concede spazi alla fantasia perché è dura e coinvolgente. Pertanto non mi permetto divagazioni o letture anomale se non altro per rispetto alla sofferenza della protagonista.
Tutto Inizia nel quartiere Gropiusstadt nella periferia sud ove arriva la metropolitana (Rudow fermata u7, dopo c’è l’aeroporto di Shönefeld, se non ho capito male). E' un quartiere dormitorio di 45 mila abitanti e la dodicenne Cristiane F. lo descrive come un luogo non proprio ameno dove i palazzi altissimi di undici piani sono presidiati da portinai poco educati e il territorio circostante si caratterizza per un enorme numero di divieti, compreso il divieto di gioco. Non va dimenticato che la descrizione riguarda la situazione di ormai quarant’anni fa. Di questo ambiente periferico, fatto di divieti e barriere fisiche, la lucida descrizione dell'adolescente coglie soprattutto l'aspetto autoritario e desolante cui si sovrappongono le frustrazioni familiari e la violenza paterna generando il disagio psichico.
Insomma un luogo e una famiglia precari tanto che Christiane si spinge a frequentare il Sound (una specie di centro giovanile pre-discoteca) ove incontra prima l'Hascisc, l'efedrina e il valium, poi LSD e infine, non senza un travagliato iter di attrazione-rifiuto, l'eroina, che lei chiamerà semplicemente ERO per tutto il libro.
Il padre è un "disoccupato con la Porsche" (efficace definizione di Andreoli) che rifiuta lo status in cui si trova e costringe la famiglia a negare e mentire sulle proprie condizioni sociali. Christiane ha anche una sorellina e il suo disagio trova causa sia dentro la famiglia, nelle botte del padre e nella debolezza della madre, sia all'esterno nella desolazione di un quartiere senza servizi e probabilmente senza storia e coesione tra gli abitanti. Gli abitanti di questo nuovo quartiere anni sessanta collocato nella parte sud dell'enclave berlinese occidentale, provengono in prevalenza, da sud come la famiglia paterna.
Il testo accenna ad una famiglia padronale che una volta aveva una attività mineraria e che ha subìto l'umiliazione dell'esproprio. Gli abitanti di Gropiustadt sono di nuovo insediamento, immigrati tedeschi degli anni sessanta che, come i nostri del sud che andavano a lavorare nel Nord, era attratta da un quadro illusorio di opportunità economiche offerte in questo caso da una Berlino Ovest in crescita economica e urbanistica, in cui il problema principale era il confronto e il superamento del sistema comunista. In ogni caso di politica non si parla assolutamente mai nel libro.
Christiane è nata nell'anno in cui nasce anche il muro di Berlino, ma il problema dell'esistenza di una Berlino est e del muro non appare, mentre gli americani fanno capolino solo un paio di volte in contesti correlati alla droga (mi pare anche una parata militare). Più avanti nella storia faranno capolino piccoli accenni a frequentazioni sinistrorse della protagonista, ma senta specificazioni. E ci sarà anche un accenno ai contatti in carcere tra l'amica e più sfortunata Stella e la terrorista della RAF Monika Berberich nel carcere di Berlino. La politica non c'entra quindi, questa è solo una gran storia vera, dura e toccante, in cui tutto ruota attorno alla Berlino degli anni settanta con la sua infrastruttura fondamentale: la metropolitana.
La Berlino di Christiane (quella del primo libro) è soprattutto il Kurfürstendamm e l'onnipresente metropolitana con le sue stazioni e i cessi di quelle stazioni ovvero i luoghi del buco. Il cesso pubblico della metro infatti è luogo centrale di questa storia. Il luogo ove si cede alla dipendenza e si celebra il suo rito, il luogo dove si sballa e dove si muore. Il cesso è il luogo dell'eroina e la metro è il luogo dell'eroinomane, la sua libertà e il suo rifugio.
Lo squallore di questo posto è antitetico rispetto alla quasi fiabesca descrizione del posto ove finisce la storia e anche il libro, tra i boschi e paesaggi naturali dello Shleswig-Holstein. Tuttavia le pagine finali del libro descrivono una metafora che tradisce ancora la dipendenza psicologica della protagonista dal "buco".
La storia infatti finisce con Christiane che pur diplomata fa la precaria e frequenta un gruppo di amicizie che prende droghe leggere. I suoi (che sono separati e fallimentari in quasi tutte le loro iniziative tranne questa) l'hanno mandata li perché è un posto dove non c'è l'eroina, ma lei sa che l'eroina c'è e arriva anche lì vicino, però è un anno che non si buca più e anche se non si sente ancora pienamente sicura perché per star tranquilli ci vorrebbero almeno due anni senza buchi, è fiduciosa.
Qui Cristiane esprime un senso di appartenenza al nuovo gruppo e una certa presa di distanza dalla metropoli berlinese, fino ad accennare ad una visione alternativa. Riprende l'uso pieno del NOI (Wir kinder vom Banhof Zoo) ma con un altro gruppo di appartenenza. Il lessico che in tutto il resto si organizza attorno alla prima persona singolare qui cambia:” NOI tutti odiamo la città... per quelli del NOSTRO gruppo è proprio il colmo farsi il trip della libertà sotto lo sbarluccichio della reclame del Kurfürstendamm... SIAMO nel trip della natura totale..." anche se in realtà è solo lei che ha preso le distanze dal Berlino, perché gli altri sono originari del posto.
A pg 345 prende corpo quindi la metafora finale e tutto questo racconto teso e coinvolgente finisce in una bianca cava di calce: "un buco pazzesco in mezzo al paesaggio".
Buco, bucomane, buco finale. La parola buco è la chiave ricorrente di tutto il libro. All'inizio è quasi accettabile, un passo avanti vero l'autonomia e la libertà, ma poi diventa ossessivo, sanguinolento, doloroso, sporco e pericoloso. Mortale. Proprio questo buco finale, quello delle ultime due pagine, che prende corpo in metafora con la descrizione della cava di calce, è tutta un'altra cosa. E' lungo. Largo e profondo, è una sorta di SERRA, dove "lì sotto fa molto caldo". Ma soprattutto è un buco bianco che al contrario del buco nero della morte (tunnel) è una sorta di buco bianco della speranza.
Un aspetto particolare del libro è il suo linguaggio. L'io narrante è la stessa Christiane per cui è ipotizzabile un testo registrato su nastro e successivamente redatto dal giornalista che ne ha curato la stesura. Data l'età adolescenziale del soggetto narrante risulta a volte persino intrigante leggere come descrive gli aspetti di sesso, con distacco e cinismo, con chiarezza, semplicità ed efficacia senza mai eccedere nel turpiloquio. Mentre in alcune espressioni riferite alla madre o al padre fanno spesso capolino dei sentimenti ora di disprezzo ora di amore, mentre quando parla degli amici e soprattutto del suo ragazzo Detlef il testo parla d'amore e il legame che ne risulta è indiscutibilmente forte anche nei momenti di conflitto, quando parla del sesso coi clienti Christiane è un'adulta distaccata, che controlla la situazione e non ha incertezze. Si defisse lei stessa una battona, ma sa indicare efficacemente la differenza tra la sua prostituzione e quella delle professioniste. Lei si prostituisce per il buco che deve farsi al massimo tra qualche ora e nelle decine di atti di prostituzione che descrive non c'è mai neanche una piccola morbosità. Non c'è disprezzo né ironia verso gli omosessuali, tranne per colui che da cliente diventa amante di Detlef e col quale Cristiane stessa finisce per dover condividere il letto e le confidenze del rivale innamorato. Christiane e Detlef si prostituiscono quasi ogni giorno perché hanno entrambi bisogno dei soldi per la dose, ma spesso uno si prostituisce per l'altro. Però nell'ultima parte della storia la dipendenza e la schiavizzazione alla droga è talmente schiacciante che Christiane non ha più nessuna dignità e anche i principi che l'hanno sorretta per tutto il primo anno di prostituzione (tutto ma non scopare col cliente, fermarsi ai quaranta marchi perché bastano per la dose ecc.) vanno perduti e profanati. Inoltre la narrazione è molto scaltra e ci conduce alla complicità: c'è un momento in cui anche il lettore vede la morte come una via d'uscita. Gli inserti di testo in cui a narrare è la madre o la poliziotta o altri non hanno la stessa efficacia perché non hanno l'amore dentro. Solo incerti momenti la madre convince, ma non coinvolge. Lei si, Christiane convince e coinvolge sempre perché dietro il suo scudo cinico si intravede il bisogno d'amore. E' difficile pensare che un legame fondato sulla dipendenza fisica dall'eroina, sulla condivisione della siringa, dove l'attrazione e il desiderio non traspaiono mai e il sentimento dominante, quando c'è, è la solidarietà tra drogati sia una storia d'amore, ma l'autrice ci comunica proprio questo. Forse vuole che sia così per poter salvare almeno qualcosa, un briciolo di ricordo buono in una storia cattiva, di agghiacciante meschinità dove ogni dignità viene sistematicamente frustrata e risucchiata nel buco dell'ero.
RCS aveva acquistati i diritti per l’Italia ancora nel 1981 ma la prima edizione prese corpo nell’84. Io ho letto quella del Giugno 2005, la trentesima. Il testo è tradotto da Roberta Tatafiore. E’ un documento sulla droga tra i giovani, con un saggio (postfazione) di Vittorino Andreoli. Ed BUR – saggi. La copertina mostra una trentenne in bianco e nero col sorriso triste, ma affascinante e vissuta.
E’ il ritratto di una donna intelligente che soffre e combatte ancora.