diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Letto in spiaggia non è esattamente la cosa migliore. Si tratta de:” LA FABBRICA DEL PANICO” di Stefano Valenti. L’impressione ricavata da questa lettura è di bravura dello scrittore perché il tema non è molto letterario, ma anche angoscia e amarezza. Ma alla fine resta un forza che lascia il solco.
Valenti da quanto capisco fa il traduttore di mestiere e quindi ha una certa dimestichezza con la scrittura, ma predomina nella sua narrazione ciò che lo motiva. Il padre è morto a causa di un mesotelioma e la sua sofferenza, condivisa con tanti altri casi tra i suoi compagni e compagne di lavoro, informa ed accompagna tutta la storia del libro.
La condizione operaia in fabbrica, quella delle grandi fabbriche degli anni settanta e ottanta, sono quindi l’oggetto di questo libro di un centinaio di pagine, ma denso come il grasso da officina.
Il testo è classificato come narrativa dal marketing Feltrinelli, ma si tratta di una narrativa contigua al linguaggio della saggistica dove l’idea di inchiesta e la verve della denuncia sono continuamente immanenti.
E’ un racconto, beninteso, e non un’inchiesta, ma ispirato dai documenti, le testimonianze e la vicenda giudiziaria della Breda fucine, cuore politico degli operai di Sesto San Giovanni a Milano fino a vent’anni fa. Tutte storie di ordinaria umanità industriale. “Laura lavorava in piedi, al reparto verniciatura … e quando terminava il turno, dice al giudice, prima di riuscire a cambiarsi doveva restare a lungo ferma immobile, seduta o sdraiata sul pavimento dello spogliatoio.” Laura mostra la radiografa e indica le due vertebre schiacciate. Oggi ha un tumore alla vescica ed è incontinente mentre allora quand’era in fabbrica, per orinare doveva chiedere il permesso ed aspettare la sostituzione, anche per ore, fino alla pausa. Una pausa di quindici minuti metà dei quali passati in fila davanti ai bagni… Ecco queste sono le storie di questo libro. Queste sono le storie di tanti, tanti operai dei decenni scorsi. Storie da non dimenticare perché prodotte da culture ed errori da non ripetere, ma storie difficili da raccontare perché non sono affatto trendy.
Gli operai lottavano perché la fabbrica avesse un futuro, ma in quel futuro c’erano anche le cause della loro morte. All’inizio non lo sapevano, poi stentavano a crederci, anche perché era scomodo e senza alternative, e alla fine è arrivata la deindustrializzazione che ha chiuso le fabbriche e lasciati gli operai condannati a morte, uno dopo l’altro, lentamente senza nessun colpevole.
Quegli operai però hanno lasciato una speranza: i loro figli. Figli che sanno com’era la realtà di quei tempi e che, molto meglio di loro la sanno raccontare. Come questa, di Stefano.
AI COMPAGNI CON CUI HO LAVORATO PER QUASI UNA VITA:
QUESTA NOTTE VI HO SOGNATO TUTTI
SPLENDIDAMENTE VIVI
RITORNAMMO A RIVEDERE
TUTTI GLI ORRORI DI QUEL REPARTO RIDENDO
NON SONO RIUSCITI AD AMMAZZARCI
SIAMO ANCORA TUTTI VIVI
NUOVI COME FOSSIMO RISUSCITATI
NON PIU’ CONTAMINATI DALLA SPORCA MORTE. *
*Luigi Di Ruscio, Poesie operaie, Ediesse, Roma 2007
Grazie Stefano.