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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Benedetti Populisti, di Francesco Boezi

 

La serie degli opuscoli di una cinquantina di pagine continua. Sallusti, noto come direttore de Il Giornale, sta arricchendo il panorama comunicativo con queste pubblicazioni che non sono noiosi saggi scientifici, ma che colgono con una certa precisione le nuove tendenze della politica. Questa è la volta del populismo. A farlo è un promettente blogger che dalla foto sembra anche molto giovane, Francesco Boezi.

La lettura, per quanto veloce, mi è risultata buona. Non vi sono banalità ma fatti ed interpretazioni stimolanti. Il tema viene trattato con attenzione e le conclusioni attendibili. Ovviamente bisogna leggere senza paraocchi ideologici e accettare l’idea che il mondo politico sta cambiando alla grande. I ferri vecchi dei decenni scorsi bisogna lasciarli perdere perché se ci mettiamo a cercare la destra o la sinistra in queste analisi non arriviamo da nessuna parte. Inoltre qui se vogliamo assolutamente e caparbiamente farlo dobbiamo prepararci ad incontrare qualche traccia più ascrivibile al bagaglio conservatore che progressista. Ma è proprio questo che mi ha arricchito la curiosità: lo stesso strudel con o senza cannella rimane buono, ma se c’è la cannella, poca, attrae di più.

Nella mia lettura la premessa porge subito i termini del problema. Il capitalismo è al collasso a causa del processo di concentrazione della ricchezza. Poche persone che si nascondono dietro “impersonali multinazionali” detengono la ricchezza mondiale in denaro e la impiegano in speculazione finanziaria e delocalizzazione produttiva. Tale processo ha generato e sta aggravando una crisi dei rapporti tra sistemi politici e sistemi economici subordinando di fatto la politica. La proliferazione del populismo si spiega sulla base della nuova contraddizione globale: “un minuscolo gruppo elitario domina i processi globali mentre un enorme insieme ne subisce solo gli effetti”. E’ la dicotomia élite/popolo.

A tale situazione non è però applicabile il modello secondo il quale prima o poi dovrebbe innescarsi una riscossa dei poveri contro i ricchi. E’ la classe media che usando la democrazia partecipativa (elezioni) sta guidando la riscossa dal basso. Stanno emergendo leadership che non accettano la sottomissione “alle pressioni della finanza, cui invece sono assoggettati i governi democraticamente eletti”.

 

Boezi fa riferimento ai dati Oxfam (Oxford Comitee for Famine Relief; http://policy-practice.oxfam.org.uk/) elaborati nel 2015 e pubblicati nel rapporto di inizio anno 2016. Questi dati sono stati recentemente rilanciati in occasione del World Economic Forum tenutosi a Davos. In tale rapporto spiccano le statistiche sulla distribuzione della ricchezza mondiale, dove si vede che la ricchezza totale è detenuta per il 50% dall’1% della popolazione mondiale e che questo un percento è poi riconducibile ad una ottantina di persone che detengono una ricchezza pari a quella dell’insieme della fascia povera, ovvero 3,5 miliardi.

In questa situazione il populismo non è una favoletta giornalistica, dice Boezi, ma un preciso fenomeno politico in atto in varie parti del mondo. Un fenomeno che un certo conformismo continua a ricondurre a derive autoritarie. Qualunque posizione esca dall’egemonia culturale del neoliberismo viene boollata come populista.

Partendo da questi presupposti Boezi arriva ad estremizzare il populismo in un elogio vero e proprio definendolo un movimento che sta: “assumendo le fattezze del riscatto dal basso della democrazia, del popolo che cerca la rivoluzione copernicana per mezzo dell’unica arma rimastagli: la matita indelebile dei seggi elettorali scagliata contro le decisioni calate dall’alto.” (pg 12)

Non essendo questo un saggio, ma come lo definisce l’autore stesso un pamphlet, non vengono citate le fonti. Vi si accenna comunque ad alcuni autori come Taguieff, Yves Mény e Yves Sure, Albertazi e Mc Donnell e Marco Tarchi. C’è comunque una citazione del giornalista politico francese Jack Dion che può risultare efficace: “Quando i partiti che si succedono al potere si trasformano in strumenti di difesa dell’ordine stabilito (rappresentato dall’establishment), il popolo diventa un nemico, esso simboleggia un pericolo potenziale.” (Pg 15)

 

Nel suo percorso Boezi passa per la vittoria di Trump, l’ascesa della Le Pen e la battaglia contro l’ideologia gender combattuta in Italia.

 

Trump. E’ il miliardario dato inizialmente a meno dell’1% alle primarie repubblicane che invece ha vinto. Contro di lui si è accanito il media mainstream e lui lo ha sbaragliato. Egli non si è mai infilato nella dicotomia destra-sinistra, ma ha basato tutta la sua comunicazione sulla lotta al gruppo numericamente minoritario di persone che da qualche decennio governa i processi decisionali degli States e di gran parte del pianeta. Così facendo ha dimostrato che esiste una alternativa alla oligarchia trionfante, ha convinto la middle class, compresi gli operai delle grandi industrie e li ha portati con sé nel più grande vaffanculo della storia democratica.

L’energia di questa spinta ha superato e battuto clamorosamente una delle macchine elettorali più potenti che si potessero immaginare, quella di Hillary Clinton. Ecco, qui c’è uno dei passaggi migliori del pamphlet di Boezi, quando descrive la potenza della macchina clintoniana. (pg 20) La campagna di Hillary, scrive Boezi, è stata condotta con una meticolosa operazione di storytelling che egli definisce: “un’operazione di ingegneria narrativa”. In America l’80% dei media è controllato da sei potenti gruppi i quali TUTTI hanno finanziato la Clinton. Costei quindi rappresentava Wall Street e la finanza speculativa nonché la quasi totalità della stampa e le aziende HI-TECH. Ha avuto a sua disposizione le celebrità di Hollywood da utilizzare come testimonial e il sostegno attivo della power élite di New York. Questa coalizione di fatto ha rovesciato addosso a Trump le peggiori accuse descrivendolo come un mostro sessuomane e xenofobo. Ma lui ha vinto lavorando sulla pancia dell’america midle class. Boezi non lo dice, ma l’ho sentito spiegare da Paolo Mieli: è vero che egli ha preso due milioni e mezzo di voti in meno, ma questi sono concentrati in California e nello Stato di New York, se tiriamo via questi due stati sul rimanente Trump ne ha presi tre milioni di più. Ed è tutta questa America che lo ha votato facendolo vincere tappa dopo tappa.

Infine ha azzeccato il tema della politica estera proponendo una linea non interventista. Obama, premio Nobel sulla fiducia, ha sbagliato in Siria, Afghanistan, Irak, Libia, Pakistan, Somalia e Yemen. La Clinton stessa, ex segretaria di Stato della prima legislatura Obama, lo criticava e proponeva una accelerazione degli scontri. Donald Trump ha proposto di risppacificarsi con Putin. L’elettorato lo ha premiato. Certo, conclude Boezi, bisognerà che il mondo vigili, ma le premesse sembrano meno terribili di quanto abbiano provato a raccontarci.

Fin qui è la parte che ho trovato interessante e innovativa. Ora vediamo quella che mi lascia piuttosto scettico.

 

Le Pen. Le primarie di centrodestra in Francia hanno visto prevalere Fillon che si configura quindi come un candidato più adatto di Sarkò a competere con Marine Le Pen, iscritta dal mainstream nell’albo populista. Fillon propone quote per immigrati, riapertura a Putin/Assad e rilancio del conservatorismo cattolico. La Le Pen, data per favorita alle presidenziali, risponde cavalcando istanze popolari di sinistra come l’antirigorismo di bilancio. Punta a prendere i voti dei socialisti al secondo turno. Insomma si vuol fare del popolo francese una Koinè visto che la destrizzazione del voto operaio oggi e possibile ed anzi è già avvenuta in Italia con Berlusconi. Ni droite ni gouche, un altro esempio dell’anacronismo dello schema destra/sinistra.

Sua figlia, Marion Le Pen, si è candidata nel 2015 alle regionali prendendo il 41% dei voti. Lei gioca la carta del ricambio generazionale, è una sorta di start up della nuova politica. Insomma anche in Francia si sta sconvolgendo la politica.

 

La famiglia come battaglia antropologica.

Più complesso è quest’ultimo capitolo. Il Defence of Marriage Act è stato dichiarato incostituzionale dalla corte americana ancora nel 2013. Boezi ci ricorda che Goldman Sachs e J.P.Morgan hanno salutato l’evento con comunicati favorevoli. Evidentemente il dubbio che le grandi multinazionali abbiano interessi in gioco nella campagna per la promozone di leggi aperte ai gay è legittimo. Boezi attribuisce alle multinazionali il disegno di voler distruggere la Famiglia tradizionale e mi dà l’impressione di voler imbarcare l’area Family Day per sfruttare l’onda populista in sua difesa. Rendere l’uomo sempre più solo ed incapace di relazioni attraverso la distruzione ella famiglia significa trasformarlo in un consumatore e suddito perfetto. L’uomo del futuro consumerà compulsivamente per colmare la propria solitudine. Ecco quindi che l’establishment mostra di voler influenzare il quadro valoriale di riferimento. Qui Boezi mostra di strizzar l’occhio all’integralismo cattolico e alle esperienze tipo Tea Party per contrastare tale tendenza. Una visione con la quale sono assolutamente distonico.

 

In conclusione cito direttamente Boezi:

Oggi ci viene raccontato che il tentativo di cambiare la storia viene messo in atto da un’orda di irresponsabili, ma il dubbio che gli irresponsabili siano stati color che hanno indirizzato la storia nel punto tragico in cui siamo è venuto a molti”. li chiamano populisti.

 

 

 

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