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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

CONCERTO MARIANO

 

La direttrice del Santuario ci accoglie accompagnata dal giovane Servo di Maria e ci conduce nella cappella interna, modernamente arredata, ove lumeggia il candelabro del Santissimo. Volgendo a Lui le spalle, non certo per irriverenza, ma per calcolo acustico, il Coro inizia gli esercizi di respirazione e riscaldamento vocale. Sollecitazioni dei diaframmi, e impegnativi svuotamenti del volume toracico ridisegnano in pochi secondi le linee dei corpi, in particolare quelli femminili che, superbamente agghindati, si proiettano nel denso strato di armonici del Mi bemolle.

“Bocca chiusa, dov’è il suono?” Dice il maestro con voce sferzante.

Il suono è lì, tra la punta della lingua, la dentatura vibrante e le labbra. Sì, le labbra mute e frementi che caricano via via il suono di una densità carnosa che attutisce un po’ la vocalità, ma al tempo stesso lo arricchisce degli armonici più bassi. E la sala diventa profonda. Con le voci maschili siamo quindi immersi nel suono vocale, il nostro e quello degli altri. Ecco, è lì in quel momento, in quel contesto, che il Coro rinasce ogni volta. Il concerto che seguirà nasce lì perché quello è il momento della fusione, quando le voci diventano unità e il turbillon della perfetta armonia avvolge i nostri corpi. Li circonda, li penetra e riceve da esso, il corpo con tutte le sue membra, il feed back totale. Ecco, siamo un sol corpo. E qui dal Mi bemolle possiamo levarci dolcemente verso la quinta che, raggiunta, ci donerà la tensione verso il ritorno alla tonica.

“Attenti a non calare, pensate di salire! “ Dice il maestro con voce suadente.

L’esplorazione dell’intervallo di quinta prosegue ripetuto in vari gradi della scala diatonca e forma la nostra percezione tonale. Da quel momento possiamo iniziare il canto. Dal suono al canto. Inizia il viaggio dell’anima.

*

Il Santuario è illuminato, strapieno e rumoreggiante di seggiole e colpi di tosse. Il Coro prende posizione nel transetto, tra le pietre ove il sole del tramonto filtra gli ultimi raggi d’occidente. E illumina l’Oriente nel suo mistero.

“ Deus in adiutorium meo intende”

… L’invocazione del dominus pervade immediatamente la navata e di pietra in pietra l’eco di quelle parole potenti, la formula di Gregorio Magno, impongono il silenzio totale.

“ Domine, ad adiuvandum me festi – ina…” …

Di colpo la monodia avvolge i silenti nella fede, e chi tra il pubblico fede non ha, predispone comunque il proprio animo all’ascolto. Fede e ascolto ora si associano e accolgono il canto. Trepidazione. Il cantore avverte il flusso tellurico salire per le gambe, sino al brivido dell’inguine e il primo suono prende forma nel respiro, il respiro del Coro.

“ In Te, Domine speravi”.

Le quattro voci del canone dischiudono questa atmosfera sospesa annunciando il viatico del Signore perché è In Te, o mio Signore, che ho riposto ogni speranza. Ora fa che io non sia mai confuso in eterno affinché io possa essere libero nella Tua giustizia.

Non importa che sia il Salmo trentunesimo, composto a Norimberga da Hassler per i suoi Canti di Chiesa, importa che qui il cantore si libera e scioglie la voce da ogni indugio ponendosi nella sacra polifonia della Riforma, dove le voci una dopo l’altra, una nell’altra, lanciano l’anima nella vertigine del tutto; e il tutto è maggiore della somma delle parti.

Non c’è la fede? Forse no, non c’è ancor la fede in Dio, ma c’è il canto. E c’è il Coro che della fede nel canto fa ragion di propria vita.

 

                                                                           *

 

Grazie o coro per la gioia che mi dai. Amo tutti i tuoi armonici e li bacerei ad uno ad uno, per sempre. Soffro ogni distacco e sogno ogni tuo abbraccio. Soffro la pena della vita ma preparo l’eterno. Così sia.

 

 

 

 

 

 

 

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