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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

SALME da ZUCCHERO. Raccontino un po' dark di Francesco Boschetto

foto-di-Arnulf-Rainer.JPGA Valdagno una sera di ottobre 1928 Lidia e Albino, due ragazzini cresciuti troppo in fretta, salgono angosciati le scale di un’altra casa, quella della nonna. Con loro non ci sono i due fratellini più giovani Alfreduccio e Giannina rimasti a casa loro con la madre e il padre. L'anziana signora tutta d'un pezzo li riceve con sorrisi di circostanza e offre loro la cioccolata calda.

La ragazza, che aveva in proposito ricevute istruzioni precise dal padre, comincia ad esporre il motivo della visita: le cambiali della ditta paterna sono all'ultimo giro e se non vengono pagate sarà il disastro finale. Il fallimento.

La vecchia se la ride di questi problemi e mostra tutta la sua cattiveria sfoderando lo spirito di vendetta di cui è capace. Con parole dure accusa il figlio di ribellione e con perfidia espone la sua tesi: egli osò sposare una puttana e ciò costituisce  oggi la causa del fallimento.

" Per forza tuo padre non ce l'ha fatta. Ha sposato quella volgare donna che è tua madre e non ha potuto evitare lo sperpero del danaro che io gli avevo dato. E' colpa di tua madre! Quella puttana che mi ha rubato il mio Simone... E oggi con che coraggio ti manda qui da me a chiedere ancora denaro. Con quale coraggio tuo padre manda i due figli affamati anziché mostrare il muso alla donna che lo aveva avvertito!".

Albino, che non è certo il ragazzo più sveglio della famiglia, si butta sulle ginocchia della nonna nel pietoso tentativo di abbracciarle le gambe, ma lei lo respinge. E lo allontana con parole terribili:

Tu! … Tu sei il frutto di quel peccato! Guardati, alla tua età dovresti essere un uomo, dovresti aiutare tuo padre a condurre l’officina, invece sei un bamboccio sempre attaccato alle gonne di tua madre. Vai, torna da lei e dille che stavolta la pagherà cara la sua lussuria… E che da questa famiglia non avrà più un centesimo!”

Lidia ha l'animo troppo dolce e sensibile per accettare quelle parole. Da dieci giorni il padre è disperato e lei lo ha visto piangere. Ora, suo padre, l'eroe supremo piegato e ridotto a tal punto trova nella vecchia un nuovo nemico; un nemico morale che lo colpevolizza ancor più. No! Lidia non accetta questa verità e sente una fitta allo stomaco. Un senso di fastidio che associa ancor più al pensiero della propria madre, così maldestramente evocata nelle parole della nonna. Sua madre, quella donna che ogni notte le ruba il padre e che forse oggi, come non bastasse, lo sta portando alla catastrofe.

E se la nonna avesse ragione? Se fosse vero che quelle mani che oggi puntano il dito indice accusatore contro sua madre avevano un giorno indicato la retta via? Mio dio che disgrazia: il padre fuorviato da una ballerina stupida e infelice. Un padre ingannato che non ha saputo cogliere il segno di quelle mani. Quelle stesse mani che ora le stanno servendo la cioccolata con lo zucchero, zucchero... tanto zucchero. Troppo zucchero.

No! "Nonna non mi piace questa cioccolata... ha troppo zucchero."

 

*

 

Il giorno dopo il padre non aprì il cancello dell’officina. Si recò coi figli dal direttore della banca e, col cappello in mano, glieli indicò nel tentativo di impietosirlo. Ma fu tutto inule. Dovette chinarsi a firmare le carte. Quelle carte che, sapeva, gli avrebbero causato il pignoramento di ogni bene.

Disse ai figli di tornare a casa da soli. Disse a Lidia di portare a casa i fratelli, anche quello più vecchio, e lo disse solo a lei perché di lei, solo di lei si sarebbe fidato. Pur conscia della tragedia Lidia ne fu orgogliosa e lo fece con grande determinazione. La stessa determinazione con la quale la sera tardi si rifiutò di obbedire alla madre che le ordinava di andare all’osteria a cercare il padre per farlo rincasare.

Papà tornerà da solo!” disse “E tornerà con i soldi per la banca, vedrai!”.

Ma papà non tornò. Rimase assente per tutta la notte e anche il giorno successivo. E di lui non si sapeva niente, né in piazza né in casa. Finché il figlio più giovane Alfreduccio non entrò di corsa in cantina perché mandato dalla madre a prendere legna per il focolare. Spalancò la porta di corsa, Alfreduccio, come sempre faceva, ma questa volta si trovò le gambe penzolanti del padre davanti agli occhi.

In quel mattino di fine autunno del 1928 il piccolo Alfreduccio corse, corse, corse fino allo stremo nel tentativo di dimenticare la scena in cui il padre veniva tirato giù. Era nudo, il padre, dalla cintola in giù. E così lo ricordò per trent’anni: appeso per il collo, la testa storta e i pantaloni calati sulle scarpe infangate. Col vestito da festa per una tragedia.

La salma del suicida venne sepolta senza cerimonie, com’era costume al tempo, nel pezzo di terra sconsacrata ove ancora giacevano salme senza memoria di soldati giustiziati per diserzione nella prima guerra. Un luogo del cimitero lontano dalla tomba di famiglia. La salma della nonna invece, morta poche settimane dopo di crepacuore, come si diceva al tempo, venne sepolta con mesta cerimonia funebre, nella tomba di famiglia. E lì giacquero le salme entrambe fino a quel giorno del 1958 in cui i becchini abbatterono, per una nuova ristrutturazione, l’ala cimiteriale in cui esse stavano.

Quel giorno d’autunno di trent’anni dopo Alfreduccio e con Lidia, assistettero alla riesumazione e versarono una lacrima sopra ciò che restava del vestito paterno. Una lacrima di verità amara come la cioccolata di cacao senza zucchero.

La salma nella bara sentì quella lacrima, la sentì con tutta la sua verità e il suo gusto. E quando la bara fu riposta accanto a quella della madre, la salma parlò … e disse:

Mamma non mi piace questa cioccolata... ha troppo zucchero.

 

 

 

 

 (la foto in alto a destra è opera dell'artista austriaco Arnulf Rainer)

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