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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Letture di un'estate senza pace.

Deserto-di-pietre--Paul-Klee-1933.jpgQuando sono lotte sono botte si diceva ai miei tempi, ma oggi ancor più di ieri ci sono quelli che quelle lotte le riempiono di armi. Ed è questo l’aspetto che non va. Gli speculatori di un sistema che rischia il crollo ogni santo giorno ci stanno ancora provando dappertutto. E sono più falsi e bugiardi che mai. Quelli come me che sono nella terza parte della vita ne hanno già viste tante, ma il bello deve ancora venire. E sarà ancora adrenalina. Non quella del sabato sera, quella che fa molto più male. Io auguro pace a tutti, perché la pace è veramente una gran cosa, ma so che essa si basa sul fatto che tutti debbono avere almeno un po’ di soddisfazione. E so che se il piatto non è equo prima o dopo piange e alla fine salta. E allora sono dolori. Io sono sempre stato dalla parte di chi lo fa saltare in nome della giustizia e della parità. E so anche che quando il piatto salta devono essere quelli che stanno sotto a farlo saltare, altrimenti non ci sarà un nuovo equilibrio stabile, ma continuerà l’insoddisfazione di chi subisce. Per questo sono contro le bombe che stanno mollando su Gheddafi, dittatore, perché quelli che in Libia stanno cercando di far saltare il piatto in realtà stanno sopra, e temo che quando sarà finita, sperando che finisca presto, quello che resterà cercheranno di chiamarlo PACE, e ci faranno due gran palle, ma sarà solo deserto e insoddisfazione.  Ho appena sentito una eccezionale versione You Tube di “Bella Ciao”, quella del Video pubblicato da Awatef -aka- habiba el aschi, che si può trovare su facebook. Bene, lo suggerisco a quelli che sanno che senza lotta non c’è pace e che l’adrenalina, quella che prende l’anima di primo mattino nei giorni della lotta, fa male, molto male, ma è il prezzo della vita da uomini. Gli uomini liberi e uguali.

 

 Arrivano i NAM di Pietro Colaprico

NAM  è l’acronimo scherzoso che sta per Nonni Armati per Milano. Si tratta di una metafora caricaturale per gli ex sessantottini dei nuclei armati, pestatori degli anni settanta che si metterebbero oggi a farsi giustizia da sé per le strade di una Milano ingovernabile, in mano alle bande della criminalità extracomunitaria. E’ una parodia della moderna società della paura. Un testo leggero, intelligente, ironico e piacevole che mostra la competenza di questo inviato di Repubblica su tecniche e motivazioni ideologiche dei gruppi armati anni settanta. L’ho letto in corriera andando a San Candido col coro. E’ il n° 7 della collana INEDITI D’AUTORE  del Corriere della sera.letture-estive-1.jpg

 

KOSHER MAFIA,  di Luca Di Fulvio

New York, anni venti. Era dura per gli operai immigrati della comunità ebraica. In  questo racconto piuttosto serio, di novantatrè pagine Di Fulvio ricostruisce una realtà durissima, con un mercato del lavoro fortemente competitivo e le lotte sindacali organizzate all’insegna della violenza. Il tutto con un contesto ricostruito in modo realistico e, almeno mi è parso, seriamente documentato. Ottima lettura, un’esperienza che non lascia indifferenti sul piano emotivo e al tempo stesso incoraggia quelli che come me, che nella vita hanno fatto i sindacalisti, a non perdere la fede. Ma non è un racconto sulle lotte sindacali, sarebbe riduttivo, è molto di più. C’è l’identità ebraica, con la religione, la cultura e la critica “laicista” ad entrambe queste cose; direi che tutta la narrazione è addirittura ossessionata dal tema dell’ebraicità. Qui tutto è ebraico, il capitale, il lavoro, i gangsters fino alle caramelle al limone e toffee e lo zuccotto yarmulke. E fin qui siamo dentro le coordinate narrative che vengono annunciate già dal titolo, ma poi c’è l’immigrazione, come dramma, il cambio e il conflitto generazionale, la violenza, il sesso a pagamento ecc. ma quello che più conta per chi ama leggere, è il fatto inequivocabile che in queste pagine viene documentata l’ottima indole narrativa dell’autore. Lo terrò d’occhio… Questo Luca Di Fulvio è efficace, duro e tutto sommato costituisce una gran sorpresa.

 

L’amore quando c’era, di Chiara Gamberale

E’ il n° 8 della collana INEDITI D’AUTORE del Corriere della sera.

La Gamberale ha due anni più di mia figlia e mi ha lasciata l’impressione di essere una psicologa esperta di relazioni amorose con taglio adolescenziale. Collabora con la RAI e con Radio 24. Qui c’è un bel raccontino di sessanta pagine un po’ diluite, ma interessanti perché riproducono una relazione/revival tra due ex attraverso le loro comunicazioni via mail e SMS. La comunicazione via Mail assume una specificità originale perché ci si accorge che per comprendere bene il contenuto del messaggio occorre decodificare bene ogni volta la parte relativa ad indirizzo, data, oggetto e soprattutto emittente ricevente.  Si potrebbe definire, in modo roboante, un romanzetto epistolare moderno.

 

La targa, di Andrea a Camilleri

Piacevole come sempre questo racconto è un po’ una sveltina ambientata durante il fascismo. Mostra le contraddizioni delle periferie fasciste e, come  sempre, i vizi e le debolezze dei siciliani di Vigata e Montelusa. Non manca il solito, magistrale, fondo di ironia  e la vicenda ha anche una accattivante contestualizzazione.

 

La prospettiva CelesteMASSIMO CARLOTTO, Il Fuggiasco.

Ero in debito di lettura con questo autore, maestro di noire dal passato complicato, e ho finalmente letto il suo primo libro. Ho avuto conferma che ciò che più intriga nella sua narrativa è la latenza della sua biografia, il suo curriculum si direbbe in altro contesto, perché rende maledettamente credibile ciò che scrive. Se Giorgio Pellegrini, personaggio di“Arrivederci amore ciao” uscito dieci anni fa e di “Alla fine di un giorno noioso”, (del quale ho scritto il mese scorso) dice: “Ogni tanto frugavo tra i dischi e pescavo quelli che avevano fatto la storia della mia generazione e che ascoltavo quando ero una giovane testa di cazzo e volevo fare la rivoluzione.” è ben difficile che un lettore il quale abbia già letto “Il Fuggiasco”, non pensi a Carlotto stesso e al suo passato. Io l’ho letta pensando subito ad un bulimico Carlotto nascosto a Città del Messico o a Parigi o in Spagna con una delle sue tante identità false da “latitante per caso”, quale egli è stato negli anni ottanta, mentre ascolta dischi italiani durante una brutta crisi d’ansia. 

 

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