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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

SCHLUSSGESANG, canto dell’uscita.

Schlussgesang.JPGVerso la fine dell’anno canterò questo bel pezzo di Schubert. Significa “Canto per l’uscita” e, con tutto il rispetto, lo dedico a Mario Monti.

Io mi considero tendenzialmente razionalista, ma solo tendenzialmente perché in realtà sono vittima di una curiosità peregrina che mi porta spesso a sconfinare in campi molto diversi da quelli ascrivibili alla sfera della Ragione. E non sarei onesto se attribuissi questa mia caratteristica ad un eroico spirito di ricerca ed indipendenza culturale. Forse, molto più banalmente, sono un opulento e confuso consumista.

*

Come ho già scritto un anno fa, pare proprio che il 21.12.12 non ci sia la fine del mondo. Nibiru (il Pianeta X) non è ancora apparso nell’orizzonte cosmico, i Maya con i loro interpreti New Age si erano sbagliati e Marco nel suo discorso sulla fine dei tempi (13,5 – 37) intendeva riferirsi a “il fine ultimo” e non a “la fine ultima” dell’uomo e dell’universo. Insomma l’escatologia non centra niente con i giochi sulle date, lo ha solennemente chiarito anche il sommo, nonché potente, teologo tedesco Ratzinger.

Tuttavia certe volte alcune coincidenze riescono proprio simpatiche. E’ il caso, ad esempio, del concerto di fine anno che mi approssimo ad affrontar cantando col Coro valdagnese della Associazione Progetto Musica.

In quella serata, quando il mondo dovrebbe finire suppongo verso la mezzanotte, avrò il piacere di cantare la Deutsche Messe, di Franz Schubert ed in particolare verso tale ora dovremmo essere giunti al brano denominato Schlussgesang che significa proprio canto dell’uscita. Uscita dal mondo? No, una semplice uscita dalla chiesa. Una specie di ”ite! … Missa est…” In un tedesco nazional-poetico.

Qui l’autore del testo (Johann Philipp Neumann) intende l’uscita dalla messa, ma anziché Andate in Pace, che risulterebbe molto più tranquillizzante, ci fa intonare:  “Herr! Du hast mein fleh’n verkommen … ecc. ecc.

Anche qui l’uso del tedesco quindi, come a Milano, si potrebbe polemizzare sulla scelta. Ed in effetti le polemiche per il Lohengrin mi hanno messo una pulce nell’orecchio… I nostri ultimi governi, giunti al loro canto dell’uscita, hanno tagliato brutalmente sulla cultura lasciando spazi colpevolmente vuoti, spazi che, forse, qualche lobby tedescofila sta sinuosamente colmando.

Ma se questa è la spiegazione che la mia mente - patologicamente dietrologa - si è data sul perché sono finito a cantare in tedesco anche i saluti di Natale della mia mesta e moderata cittadina pedemontana, non mi spiega perché anche il cattolico Schubert avesse composto su testo in lingua tedesca in un’epoca in cui queste cose si cantavano solo in latino. E allora sono andato a vedere un po’ di storia.

 

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Giuseppe-II.JPGGiuseppe II. Leggo che questa Deutsche Messe era già nota ed eseguita prima di essere compiutamente pubblicata nel 1870, ovvero oltre cinquant’anni dopo la morte di Franz, e che era stato soprattutto il fratello Ferdinand a farla conoscere nei decenni precedenti attraverso rielaborazioni semplificate per organo e coro. Il punto interessante, e anche un po’ intrigante, è che si tratta di un’opera che può essere più facilmente ricondotta alla religiosità protestante che a quella cattolica. E ciò viene indicato da vari fattori.

Innanzitutto l’uso della lingua nazionale anziché il latino, fatto questo che costituisce già una prima chiara indicazione in proposito. Ciò è dovuto al fatto che gli autori seguivano la politica dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo il quale tendeva ad emanciparsi, anche sul piano religioso, dal Vaticano. E’ il Giuseppinismo, un movimento di riforma religiosa di stampo illuminista, interno al cristianesimo cattolico, un movimento al quale dobbiamo, tra l’altro, idee moderne come l’istituzione del matrimonio civile.

La simpatia di Franz per questo movimento si può rintracciare anche nelle sue precedenti messe, quelle in latino. In esse il messaggio riformatore è meno chiaro ed espresso solo in forma allusiva, laddove nel Credo viene omessa la frase: “credo in unam sanctam catholicam et apostholicam ecclesiam” mentre viene lasciato tutto il resto dello statement cattolico. L’omissione è sistematica e non casuale, ma non è efficace perché colpisce solo chi conosce il significato del testo ed è quindi un messaggio intuibile solo da chi ne conosce la parte mancante cioè il Clero. In pratica in termini moderni Schubert sbaglia il target e genera solo ritorsione avversa.

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Ma, a mio avviso, il messaggio segreto di Schubert è invece vincente in questa messa, la D872 appunto, cantata in tedesco. Un’opera che ancor oggi commuove e prende sempre più piede di qua e di là delle Alpi, soprattutto per il Zum Sanctus, un brano in Mi bemolle maggiore, lento, facile e popolaresco, con  forte spiritualità ed impatto emotivo.

 

 

 

 

Auguro sinceramente al mio Paese, alle sue donne e ai suoi uomini che lavorano o che, haimè, vorrebbero farlo ma non possono, un futuro intenso come la coralità luterana.

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