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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Il Marzemino del Catajo

La leggenda metropolitana che gira dalle parte di Padova dice che il nome indica il Catai, quello di Marco Polo. Invece si tratta di un molto più semplice, e oggi dialettale, ca’ (del) tajo, toponimo che risale ancora all’epoca degli scavi di canale realizzati dai signori veneziani nell’entroterra. Insomma è la casa che si trova nel punto dove venne realizzato il taglio del canale. Ma non c’è niente di banale. Al contrario definirlo “casa” è assolutamente fuorviante perché si tratta di un complesso architettonico molto ampio e diversificato che “sta a metà tra il castello militare e la villa principesca”.

 

 

Siamo nel tratto della ex statale numero sedici che fiancheggia il canale di Battaglia. Venendo da Padova il castello si trova, sulla destra, al primo civico di Battaglia Terme. Si passano il piccolo e stretto ponte seguito dalla strada dell’argine e si imbocca il gran cancello d’entrata. Ciò può essere fatto solo in occasione delle visite programmate altrimenti il cancello è chiuso e non si sa dove mettere l’auto. Poi si entra nello sterrato che affianca le mura e conduce in ampie aree sterrate adibite a parcheggio dalle quali si può notare, tornando a piedi, l’ampio parco.

 

Per non perdere la visione d’insieme, caratterizzata dai colli Euganei col loro profilo d’intenso verde persistente, è opportuno arrivare prima che il sole tramonti. Ma se, come nel nostro caso, si ha la fortuna di partecipare ad una festeggiante degustazione vinicola, ben venga anche l’imbrunire.

 

Il complesso di edifici supera i 350 ambienti e mescola scorci signorili con geometrie tipiche dell’architettura militare. Le merlature che campeggiano sui tetti, ad esempio, sono sprovviste di camini di ronda, dal ché si deduce che siano solo abbellimenti mentre il bugnato dei pilastri dà una costante impressione di fortezza. Un solidissimo avancorpo sormontato da una terrazza, che si raggiunge salendo una scalinata senza gradini perché adatta ai cavalli, accoglie solennemente il visitatore e lo introduce nei saloni d’onore. Essi vennero affrescati, dice la guida, nel 1571 allo scopo di magnificare la potenza della famiglia. Si tratta infatti di una dinastia di gloriosi capitani di ventura i quali, colmarono con cotanto sfarzo il proprio deficit di lignaggio nobiliare. Per tale opera venne chiamato Giovanbattista Zelotti con la sua bottega. L’allievo del Veronese così impegnato nella rappresentazione dei fasti della casa degli Obizzi. E ciò spiega la inusuale assenza di temi allegorici o epici. Un’altra ala però risale al 19° secolo.

 

L’ultimo discendente degli storici proprietari, morì nel 1803 dopodiché il castello passò al trono d’Austria per oltre cento anni. L’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, secondo quanto dice una vecchia guida del Touring Club, passò gli ultimi mesi della sua vita in questa dimora prima di incontrare la morte a Sarajevo nel giugno del 1914. La proprietà passò quindi al demanio del Regno d’Italia e infine, nel 1929, ai Dalla Francesca che sono ancora gli attuali proprietari.

 

 

E’ qui, nella terrazza illuminata dalle fiaccole, che abbiamo incontrato il marzemino nero, “venetissimo” vino di Cinto Euganeo, lasciandoci scaldare l’apparato digerente dal suo eccellente aroma speziato, con frutti di bosco e punte di liquirizia.

Amazing !” dicevano le due turiste col calice in mano. E al sentirle, il venetissimo degustatore che si trovava vicino a noi commentava: “gheto sentìo? Anca par lore el ze un vino amabile”.

 

Il Marzemino del Catajo
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