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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Il Rivoluzionario, di Valerio Varesi

Il Rivoluzionario, di Valerio Varesi

L’autore è della mia stessa generazione. Cioè i figli di quelli come Oscar, il partigiano protagonista di questo romanzo. E’ nato nel ’59, dicono le note di copertina, e si capisce che conosce bene la storia del PCI emiliano, quello forte, quello centrale nella storia politica del nostro dopoguerra. E’ già autore d molti libri e con questo ha creato una figura di militante comunista emblematica e al tempo stessa realistica.

Di questo Varesi non sapevo niente fino a quando un vecchio amico, un compagno ovviamente, col quale condivido certi ricordi di un passato giovanilmente rivoluzionario, me lo ha segnalato.

Rivoluzione

La parola magica che dà origine al titolo appare fin da pagina 7. “Vuoi fare la rivoluzione con la roncola?” dice un personaggio. Si deve infatti “impacchettare”, cioè nascondere oltreconfine, un partigiano comunista il quale avendo ucciso un poliziotto fascista in tempo di pace, va protetto dalle indagini Militar Police. Siamo nelle settimane successive alla liberazione e la battuta sulla roncola serve ad argomentare la dipartita del partigiano, ma senza l’arma. La pistola deve rimanere nelle mani del Partito.

L’ideale rivoluzionario e la sua evoluzione all’interno del dibattito comunista italiano è il tema di fondo di questo romanzo. Si parte dal 21 Aprile Quando Bologna viene liberata dalle truppe del generale polacco Anders e si arriva sino al 1981, quando l’emersione della P2 con i suoi elenchi conferma il potere dei fascisti dentro le istituzioni democratiche italiane.

Lungo questo percorso storico la parola “rivoluzione” accompagna le passioni e le discussioni di Oscar e sua moglie Italina anno dopo anno in tutte le tappe politiche della nostra storia. Questi due protagonisti del romanzo infatti testimoniano al moderno lettore la motivazione profonda che ha caratterizzato l’identità comunista della generazione che ci ha preceduto e la speranza che ciò che loro non hanno avuto abbastanza tempo per realizzare venga un giorno visto dal loro figlio Dalmazio. Dalmazio ha la mia età e, come me, ha partecipato alle lotte studentesche e operaie del ‘68 e ’77. Egli porta nel nome il segno del sogno comunista essendo stato, Dalmazio, concepito in Croazia, terra del comunismo realizzato prima della rottura tra Tito e Stalin. Ebbene per entrambe le generazioni la parola rivoluzione richiama “una promessa ripetuta come un rosario, unico orizzonte di speranza dove sarebbe sorto il sole dell’avvenire”.

Il problema è che quell’ideale rivoluzionario ha concluso il proprio ciclo vitale da un pezzo. Oggi, per carità, di rivoluzioni più o meno primaverili, più o meno arabe, ce ne sono ancora ma sono tutt’altra cosa da ciò che ha animato le speranze giovanili delle due generazioni qui narrate. Quella rivoluzione non c’è più. E’ morta ed ha cominciato a morire molto presto essendo stata progressivamente metabolizzata proprio dentro il Partito (il PCI), ovvero quel topos ideologico nel quale le speranze rivoluzionarie venivano riposte, protette e nascoste come l’arma partigiana alternativa alla roncola.

Ma lo stimolo a questa lettura non sta nel malinconico spegnimento dell’idea di rivoluzione, questa è una vicenda già nota e metabolizzata da tempo, sta nella descrizione del viaggio che essa fa all’interno di un Partito che forse non è ancora del tutto rivelato.

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Se all’inizio si trattava solo di un allontanamento della prospettiva rivoluzionaria e nella realtà emiliana ciò era accettato e anzi compensato, dallo sviluppo delle cooperative viste come esperienza concreta di sperimentazione dell’uguaglianza nel lavoro senza sfruttamento, poi arriva la repressione delle lotte operaie. La prima citata nel libro riguarda i 960 licenziati della Ducati. Gli operai fermi davanti alla catena d montaggio, la polizia che entra, li trascina fuori e li picchia con Cattiveria. Ma la repressione di quei primi anni cinquanta non è solo poliziesca. Cominciano ad apparire operazioni mediatiche come la vittoria al festival di Sanremo di Adionilla Negrini (Nilla Pizzi) lavoratrice della Ducati appunto che canta “grazie dei fior”. Oppure la vicenda dello scrittore Renzo Renzi, il quale aveva descritto le malefatte dell’esercito fascista in Grecia nel libro: “L’armata s’agapò” e venne arrestato assieme a Guido Aristarco e mandato a Gaeta per vilipendio delle Forze Armate. Insomma i fascisti, quelli combattuti e in molti casi salvati dai partigiani comunisti e poi graziati da Togliatti quand’era ministro della Giustizia, nei primi anni cinquanta erano dentro le istituzioni, in esse nascosti e mascherati, e si vendicavano. Mi rendo conto che questa sembra la descrizione di un libro aggressivo che denuncia drammatiche ingiustizie, ma occorre invece dire che il tono della narrazione è sempre pacato e realistico, senza drammatizzazione alcuna.

Andando avanti poi via via appaiono le delusioni jugoslave e ungheresi. Il tema del ’56 ungherese in particolare viene ripreso ripetutamente nella narrazione più di molti altri. Altro momento importante è quello relativo alla repressione della lotta alle reggiane con i morti di Reggio Emilia. Nel libro viene introdotto anche Afro Tondelli come personaggio col proprio nome. Quel fatto è centrale perché da esso dipende la scelta di Oscar, che in una manifestazione viene anche ferito con arma da fuoco dalla polizia, di fare il rivoluzionario professionale e la sua formazione militare moscovita. Ponomariev sceglie Oscar perché sa sparare bene. E l’URSS appare, in quegli anni, un punto di riferimento irrinunciabile per i comunisti rivoluzionari italiani nonostante a quegli come Oscar Bologna appaia sempre più come una città in cui “anche i comunisti si portano dietro l’odore di sacrestia”.

Sono infatti a Bologna gli anni in cui il cardinal Lercaro attacca, e dentro la Chiesa predominano le posizioni conservatrici. Dossetti aveva fondato l’Istituto per le Scienze Religiose proprio per contrastare tali posizioni. Sono gli anni in cui nel giro dei comunisti bolognesi come Oscar si cominciano a sentire frasi come questa: “… nel partito c’è chi è ormi convinto che la rivoluzione è una stronzata e che bisogna piantarla con le rivolte… “.

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Oscar diventa quindi, con l’addestramento e la formazione del PCUS a Mosca, un rivoluzionario di quelli che sparano e forniscono armi in giro per il mondo in fermento. La più importante delle esperienze narrate nel libro riguarda il Mozambico, alla cui rivoluzione il romanzo dedica vari capitoli. Il protagonista ha un ruolo attivo, anzi decisivo nell’affiancare il Frelimo (fronte di liberazione mozambicano) diretto da Samora Machel. E quando la rivoluzione si compie l’autore non ci risparmia i retroscena opportunistici dei partiti comunisti che l’avevano sostenuta. Anche il PCI emiliano vuole infatti la sua parte nella costruzione del nuovo Mozambico per favorire le cooperative ecc. Insomma la rivoluzione viene tradita anche lì.

A pagina 294 appare il tema generazionale tra Oscar suo figlio Dalmazio. Sul terreno della PACE, contro i bombardamenti di Hanoi, tra il 67 e il 68 a Bologna si sperimenta il nuovo rapporto coi cattolici deciso a Roma. LERCARO a capodanno invocò la pace in Viet Nam e venne perciò punito dalla curia papalina con una repentina sostituzione. Il sostituto era Antnio Poma, molto più quieto. Rimaneva però l’ostilità antiamericana diffusa tra i cattolici da Lercaro. E qui Varesi è molto bravo a mio avviso a descrivere le differenze di vedute tra generazioni e come la guerra del Viet Nam in quegli anni spingesse i cattolici a sinistra.

La narrazione accenna alla nascita del soggetto studentesco quando nel 1967 contro il golpe dei colonnelli in Grecia 300 studenti a Bologna iniziarono uno sciopero della fame e ambienta il confronto tra questa novità e la vecchia cultura comunista partigiana in una cena a casa di Oscar in cui il figlio interviene. Il partito comunista infatti in una prima fase con gli studenti proprio non parlava. Le cose cambiano però quando arriva la primavera di Praga coi suoi carri armati: “proprio adesso che possiamo dare addosso agli americani!”. Gli studenti erano un pericolo anche a Praga, una minaccia per il comunismo. E qui Varesi coglie, anche se in modo appena accennato, quella che è una mia convinzione, ovvero che nella prima fase della contestazione studentesca sessantottina non c’era una dialettica che contrapponesse capitalismo contro comunismo.

A Bologna arriva Sartre a parlare agli studenti mentre partono le occupazioni. Nel Gennaio 1969 Jan Palach si brucia a Praga. Il 21 Luglio lo sbarco sulla luna viene visto come il segnale che gli USA hanno sorpassato l’Urss. Avvisaglie di sconfitta vissute male anche in Urss, come testimonia Irina la compagna russa di Oscar.

Fino a qui il grosso e la parte migliore del libro. Poi iniziamo ad avvicinarci al vissuto della mia generazione ovvero il periodo in cui di rivoluzione all’interno del PCI non si parla proprio più ed anzi la parola stessa comincia a puzzare di zolfo fino alla fine degli anni settanta quando sarà pura eresia. E mi piace osservare come nella storia di Varesi all’inizio degli anni settanta l’ideale rivoluzionario è già in forte declino, mentre per me stava nascendo.

Come dicevo all’inizio del post il significato generale che ho tratto da questo libro è chiaro ed inequivocabile: quella rivoluzione non c’è più. E’ morta e sepolta e anche le mie speranze degli anni settanta e primi ottanta non ci sono più. Negli anni di Oscar la strategia sovietica era quella di diffondere la rivoluzione per “affamare le multinazionali” e sottrarre le risorse energetiche, minerarie ecc. fino a far implodere il centro dell’impero e abbattere il capitalismo. Ebbene, è accaduto l’esatto contrario.

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In ogni caso questa è una buona lettura. Anzi molto buona, almeno per quelli come me. A me infatti resta una piccola lezione, quella racchiusa in queste frasi:

  • Chi segue alla lettera i principi prima o poi prende il fucile e spara”.

  • “Non si può affidare ad un leone un quarto di bufalo pensando che possa dividerlo con altri: anche se è sazio lo terrà per sé.” Questo è il principio del capitalismo. Rassegnarci è già una colpa.

Non saprei proprio che effetto possa fare ai giovani d’oggi, quelli nati qualche anno dopo la caduta del muro, in una fase di crisi dei valori in cui ogni sogno rivoluzionario è stato ampiamente sostituito dalla passione per la nuova tecnologia.

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