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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

LA STAGIONE DI PEO, di Francesco Busato.

LA STAGIONE DI PEO,  di Francesco Busato.

“Avanti popolo con fede franca, bandiera bianca trionferà!”

E' il motto che campeggia su “Il Popolo”, settimanale vicentino della azione sociale cristiana di Domenica 2 Maggio 1920, il giorno dopo la festa del lavoro.

Il giorno prima a Brendola, nella piazza che coincide ancor oggi con il sagrato, erano avvenuti gravissimi scontri tra la Lega Bianca fondata dall’arciprete Francesco Cecchin e i socialisti esponenti della Lega Rossa. Nei locali adiacenti la canonica in tali circostanze era stato accoppato Giuseppe Busato, detto PEO, con un colpo di pistola di grosso calibro.

Tempi duri per i toppo buoni di allora. Peo era disarmato, padre di famiglia ed esponente moderato. Oltretutto era credente e i suoi figli erano stati, forse in quella chiesa, battezzati. Ma i rossi dell’epoca erano bollati come gran “nemici della fede che contendevano ai cristiani cattolici la realizzazione della giustizia sociale” e pertanto a loro, come ebbe a scrivere il vescovo Ferdinando Ridolfi in quei giorni, bisognava reagire “opponendo petto forte all’apostasia invadente”.

Mah! Sta di fatto che il petto forte ad essere squarciato in quell’occasione fu quello di Peo. E lo fu con un colpo di pistola detenuta e usata illegalmente da esponenti della Lega Bianca i quali prendevano ordini direttamente in canonica. Tra loro anche Oreste Maran, segretario della locale sezione del neonato Partito Popolare. Costui poche ore prima aveva sparato per strada durante le colluttazioni coi socialisti, ferendone uno.

Ad uccidere Peo fu quasi certamente Marcello Peserico, un altro dei quattro estremisti che finirono sotto processo per l’omicidio. Costui era un contadino del quale venne accertato il possesso e l’uso illegale dell’arma assassina, che peraltro non venne mai trovata. Ma alla fine del processo sia il Peserico che il Maran vennero condannati solo per detenzione illegale di arma da fuoco e minaccia a mano armata.

Questa storia dimenticata, ma grave, degna delle cronache dei nostri anni di piombo, ci viene oggi narrata con approccio affettuoso verso la vittima, da Francesco Busato, professore valdagnese di storia e filosofia oggi in pensione. E’ una storia chiara, corroborata da documenti e ricerche presso l’Archivio di Stato di Vicenza, ma forse non gradevole per il “mainstream” cattolico vicentino. Basta fare un giro in rete per esempio, per trovare degli scritti (peraltro citati in bibliografia) sulla storia di Brendola che trattano la vicenda in modo completamente diverso. In essi la figura dell’arciprete Cecchin viene fortemente valorizzata e la colpevolizzazione dei socialisti, compresa la vittima, viene sostenuta soprattutto con l’argomentazione che la sentenza, nel processo contro i suoi accoliti, fu assolutoria.

Nella sua meticolosa analisi degli atti processuali l’autore però mette in evidenza il lavoro dell’avvocato Stratta, di parte accusatoria. Emerge una tendenza precostituita, da parte dello schieramento “bianco” a lavorare, anche con falsa testimonianza, per una tesi di legittima difesa secondo la quale un manipolo di 30 socialisti avrebbe attaccato la chiesa determinando il necessario ricorso alle armi. Ma l’avvocato Stratta, utilizzando anche sopraluoghi della corte, smontò le false versioni ottenendo anche ritrattazioni in aula, ma fallì la richiesta di arresto per falsa testimonianza. Contro tale decisione della Corte egli ricorse in Cassazione, ma venne respinto.

Il libro, che è un’opera narrativa, prende quindi il volo nella parte in cui si affida alla ARRINGA DELL’AVVOCATO DINO MONZA il compito di svelare il complotto assassino ordito dai clericali dopo aver spiato per anni e condannato a morte il Busato. Per costoro dietro l’apparente precarietà della vita paesana dal medesimo condotta si sarebbe in realtà celata la mente della cospirazione rivoluzionaria neobolscevica che avrebbe fatto di Brendola l’epicentro insurrezionale. A tale scopo le fughe a Valdagno nella contrada Busati avrebbero costituito solo un alibi di copertura per un pensatore strategico formatosi alla luce di Ceare Battisti, socialista rivoluzionario, e con le preziose informazioni fornite da don Trapani, ex prete traditore della Chiesa.

Chissà ove riposa tutt’oggi la verità; ma ora c’è questo libro con il quale l’autore offre a noi posteri dalla pancia piena il ricordo di un periodo di scontri tra leghe rosse e leghe bianche per un ideale di giustizia sociale che poi fu sommerso nel ventennio fascista, durante il quale vennero messe fuori gioco entrambe le parti. E al tempo stesso con questo libro si onora l’impegno per un “non immemore e non placato” ricordo di un uomo che fu “socialista ideale di gagliarda vita operosa” stroncato da “assassino piombo di prete fazioso”.

E tutto questo “NEL Dì PRIMO DI MAGGIO SACRO ALLE PROLETARIE RIVENDICAZIONI”.

GOOD READING BODIES!

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M
Sto leggendo questo libro in relazione ad una ricerca sulla storia di Brendola, dove sono nata. Sono sconvolta da quello che sto leggendo, anche se non mi sorprende che il Parroco dell'epoca, Don Francesco Cecchin, sia stato tanto militante da indurre perfino i suoi "clericali" ad assassinare Giuseppe Busato (Peo). Questo prete ha combinato anche altri guai, come quello di far erigere a spese dei poveri brendolani un'enorme chiesa, mai completata, che ora qualcuno (me compresa) ritiene un obbrobrio, mentre altri pensano che sia bellissima. In ogni caso è inagibile, pericolante e totalmente inutile. Mi piacerebbe scambiare qualche idea con l'Autore, Francesco Busato sulla sua ricerca della vicenda del suo antenato Giuseppe e mi piacerebbe se l'opera potesse essere trasformata in dramma teatrale.
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