diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Che Benedetta Tobagi fosse, oltre che fotogenica, anche brava lo si sapeva già. E ciò almeno fin dal suo libro precedente:” Come mi batte forte il tuo cuore”. Che Manlio Milani fosse tenace ed informato anche. E questo almeno fin dal 1993 quando in una trasmissione televisiva accusò il generale dei carabinieri Delfino di aver depistato le indagini. Ora la bravura di Tobagi e la competenza di Milani si uniscono dando vita a questo libro che permette finalmente di monitorare quasi tutto lo scibile sulla strage di Piazza della Loggia. E non è una partnership professionale, il libro lo ha scritto la Tobagi, ma morale. I due infatti, che appartengono a due generazioni molto lontane, sono uniti dai casi della vita e da una similare esperienza di elaborazione del lutto: entrambi cercano la verità sulla morte, l’uno della moglie, l’altra del padre, dovute a fatti di terrorismo. Una verità che costituisce un diritto morale e civile non solo per loro, ma per tutti noi.
La strage di Brescia è avvenuta il 28 Maggio 1974, cinque anni dopo quella di Piazza Fontana a Milano. Ma sono due stragi con parecchi punti in comune e diversa storia giudiziaria. Ora più che mai esse sono legate dalla possibilità di arrivare al riconoscimento giuridico di una analisi storica ormai nota e confermata.
Se l’iter giudiziario relativo alla strage di Piazza Fontana è infatti già chiuso per sempre senza condanne per i colpevoli, ciò non vale per piazza della Loggia. Su di essa infatti si è appena espressa la corte di Cassazione annullando la sentenza, assolutoria, per due importanti personaggi coinvolti anche nella prima. E ciò permette in linea di massima di ottenere la verità e la comprensione di entrambe. Speriamo.
Il complesso iter giudiziario, che viene ricordato anche nel libro, ha avuto un punto di caduta un paio d’anni fa con una sentenza beffarda che assolveva gli imputati e condannava i parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali. In tale occasione un articolo del (16 Aprile 2012, La Stampa) Manlio Milani stato chiaro; dicendo: “è ridicolo che le vittime paghino le spese allo Stato quando lo Stato dovrebbe stare sul banco degli imputati”. E qui sta il punto critico. Le difficoltà processuali enormi che hanno caratterizzato queste due stragi risiedono nel fatto che lo Stato, per ragioni legate all’anticomunismo dell’epoca, c’era dentro fino al collo.
Ora questo libro della Tobagi è ottimo e non nasconde niente, almeno a quanto mi consta perché non sono un esperto, ma è appesantito da una serie di accortezze tese a non attaccare troppo lo Stato. Tobagi dedica anche un capitolo a smontare la tesi, cara alla estrema destra, secondo la quale “le stragi le hanno fatte i servizi segreti”. Io capisco l’intento di negare ogni alibi ai dirigenti di Ordine Nuovo, ma al tempo stesso ritengo dominante il ruolo dello Stato nelle trame nere e ritengo da semplice cittadino che sia necessario dirlo fuori dai denti, con una campagna di trasparenza patrocinata dalla presidenza della Repubblica per capirci, perché lo Stato italiano e la sua scarsa credibilità agli occhi dei cittadini è uno dei più grossi problemi che abbiamo tutt’oggi, in pieno clima antipolitico.
Tornando al libro ho trovato molto interessante il capitolo “Fascisti” che esamina molto bene il punto di vista dei militanti di estrema destra sullo stragismo degli anni settanta. Vi ho trovato ad esempio chiarezza sulle motivazioni che hanno spinto Vincenzo Vinciguerra alla strage di Peteano. Si trattò di una strage punitiva nei confronti dei Carabinieri, veri autori, secondo Vinciguerra, dello stragismo e veri manipolatori dell’estrema destra. Lo stesso vale per le motivazioni di Tuti e Concutelli.
Il capitolo “Fabbriche” del libro di TOBAGI è affascinante per la leggerezza con la quale l’autrice affronta temi pesanti come quello relativo al tessuto produttivo industriale della città di Brescia. Dalle famiglie storiche ai tondinari. E diventa poi emozionante nella parte dedicata ai funerali.
Dalla descrizione di Brescia e la sua potenza industriale all’inizio degli anni settanta, Tobagi passa alla paura dei padroni nei confronti delle lotte operaie. Altro punto che ho apprezzato. “La piazza fa paura, non solo e non tanto le molotov, i disordini e gli scontri degli extraparlamentari di sinistra. Dall’autunno caldo alle grandi ondate di mobilitazione successiva, prende piede la sensazione che sia la piazza a guidare la politica.” Ma a muovere quegli operai verso la piazza non è solo la condizione di lavoro o la condizione sociale degli immigrati dal sud, c’è anche il sistema politico con la sua inadeguatezza. Le riforme capaci di risolvere i problemi operai dell’epoca non venivano prodotte dal sistema politico italiano perché esso era “bloccato”. La sinistra italiana era egemonizzata dal PCI, ovvero una forza politica incompatibile con i patti fondativi dell’assetto internazionale post bellico. Perciò il principio della alternanza bipolare tipo laburisti-conservatori non poteva dispiegarsi e le istanze innovatrici proprie del nuovo modo di vita si bloccavano in parlamento. “Una alternativa di sinistra al governo è impossibile.” La tecnica del ricatto occulto in forma d’intentona imbriglia il parlamento incanalando di consegenza le spinte riformatrici verso la piazza: scioperi, manifestazioni e referendum. E nel 1974 si tiene infatti il più importante, quello sul divorzio. La DC, all’epoca dominante, viene sconfitta solo fuori dal parlamento e messa sotto accusa nelle piazze. Ma paradossalmente in quegli anni ciò non genera disgregazione antipolitica, ma al contrario genera partecipazione. La mobilitazione sindacale di piazza, incanalata nelle organizzazioni di massa diviene l’alternativa al sistema bloccato. Ma viene interpretata e temuta dai golpisti come situazione prerivoluzionaria.Gli industriali tondinari vedono in questo processo l’anticamera di una dittatura che “si sta preparando senza spargimento di sangue” (pg 198) e quindi una minaccia ai propri interessi. E’ questo padronato ottuso e spaventato che apre la porta ai neofascisti dentro i quali si annidano i golpisti atlantici. Si crea il contesto della strage. Brescia è a soli 27 chilometri da Salò. La cosa era già visibile ai tempi della strage di Piazza Fontana quando, nell’ottobre del 1969 esplodevano bombette incendiarie davanti alle sedi del PCI e dell’Associazione Industriali bresciane. E la reazione padronale agli scioperi era pesante. “Alla Comini di Nave… dal 1971” il cui titolare fu condannato per attività antisindacale, ricorda Tobagi, “si segnalano casi di picchiatori fascisti assoldati per dissuadere gli operai”. La Cisnal, finanziata da quei padroni, recluta operai dal sud. Ma il movimento sindacale è forte. L’unità e la credibilità sindacale galoppa. Se ne vede un esempio quando Tobagi passa a descrivere i funerali delle vittime della strage.
E’ il 31 Maggio 1974, la credibilità dello Stato è a zero. Sette giorni prima i brigatisti hanno liberato il giudice Sossi, dopo il rapimento durato oltre un mese, senza aver ottenuto in cambio la liberazione dei prigionieri; due settimane prima la DC, che esprime il Presidente della Repubblica Leone e il Presidente del Consiglio Rumor, ha appena subìto la storica sconfitta referendaria sul divorzio. La città di Brescia che normalmente conta poco più di duecentomila abitanti, viene invasa da 600.000 persone. La sicurezza è affidata ai servizi d’ordine di Cgil Cisl UIL e funzionerà benissimo. Anche la sicurezza delle autorità sul palco è assicurata da uno spesso cordone di picchetti operai. E tutta la piazza fischia, fischia forte impedendo di parlare al presidente Leone. Qui Tobagi mostra le foto scattate quel giorno alle autorità. Leone e Rumor sono fortemente imbarazzati. La piazza grida slogan come:” MSI fuorilegge. Morte alla DC che lo protegge!”. Giornali e telegiornali tennero tutto all’oscuro.
Interessante infine l’apparato delle NOTE E FONTI che occupano le ultime venti pagine.
La strage di Piazza della Loggia ha avuto cinque fasi istruttorie e dieci fasi di giudizio. Nella quinta, che parte il 24 maggio 1993 ed è una indagine preliminare, si acquisiscono i contenuti probatori forniti da Carlo Digilio (che morirà il 12 Dicembre 2005) e punta ai vertici di Ordine Nuovo del Triveneto: Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi. Il 3 Aprile 2007 la Procura di Brescia chiede il rinvio a giudizio per concorso in strage. Esso verrà disposto dal GUP il 15 Maggio 2008. Zorzi, Rauti, Tramonte, Delfino, Maggi e Maifredi. Il procedimento si conclude il 16 Novembre 2010 con l’assoluzione in primo grado e il 14 Aprile 2012 in secondo grado. Sisifo attende il 20.2.14, quando arriva la sentenza di annullamento delle assoluzioni, ma non per Delfo Zorzi, il quale pertanto è definitivamente fuori dalla storia.
A pagina 444 c’è un sintetico riassunto dell’esito delle principali vicende giudiziarie delle stragi. La quarta indagine, del giudice Zorzi si conclude con la sentenza ordinanza del 23 Maggio 1993. Essa contiene soprattutto i materiali della “fonte Tritone” ovvero una ottantina di note informative protocollate. Si tratta di Tramonte che si trovante in Toscana tra i bombaroli come infiltrato e riferiva (“era gestito”) dal centro di controspionaggio di Padova.
(pg 445) Sulla strage dell’Italicus, del 4 Agosto 1974, l’approdo investigativo più importante è quello (extragiudiziale) della commissione parlamentare di inchiesta (P2, 1984) laddove si afferma:
“Si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità penali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare che: la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la logia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi extraparlamentari della destra toscana; che la loggia P2 è dunque gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può anzi ritenersene responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.”
Per me, semplice cittadino e lettore coevo di quei fatti tragici, questo giudizio è ancora valido.
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Il libro è uscito in vista della sentenza di Cassazione relativa all’ultima fase istruttoria. La sentenza è arrivata il 20 Febbraio 2014. In essa si annulla la precedente assoluzione per Carlo Maria Maggi, dirigente di Ordine Nuovo e per Maurizio Tramonte, uomo dei servizi segreti. Per me questo esito ribadisce il legame operativo tra lo Stato e i suoi eversori di estrema destra nel quinquennio ’69 – 74. Non importa quanto tempo sia passato. Ormai sulla scena politica si sta affacciando la terza generazione, e, secondo la narrazione convenzionale, si sono già alternate due “repubbliche”; ebbene anche questo non ha importanza: chi accetta oggi come ieri di vestire i panni di questo Stato si assuma la responsabilità di chiudere questa vicenda con verità e giustizia perché se vuole mantenere uno straccio di credibilità lo Stato italiano alla fine dovrà risarcire le vittime e chiedere scusa ai cittadini. Una utile occasione potrebbe essere il prossimo 9 Maggio, giornata della memoria per le vittime del terrorismo.