diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Uscito nel mese di maggio scorso, questo nuovo romanzo segna il passaggio di mano del Veneto dai berluscones ai padanos e racconta la vera
faccia dell’attuale politica: l’eccellenza del crimine creativo (pg 173). Alcuni personaggi: Sante Brianese è un politico veneto in gran carriera. Uomo di potere, distribuisce appalti agli
imprenditori sempre più affamati che lo sostengono e ricambiano in vari modi. Nicoletta Rizzardi è “una ragazzona alta, snella e con due poppe grandi e bianche come il latte” che adesso viaggia
sui quaranta e mette a frutto le sue competenze insegnando tutto ciò che sa “in fatto di vestiti, trucchi, profumi e buone maniere” alle prostitute di classe che gestisce. Mentre Michail
Aleksandrovič Šolokov è un immigrato russo accorto e senza scrupoli, anche lui nel giro della prostituzione. Si tratta di prostituzione organizzata all’insegna della riservatezza e della
discrezione da Giorgio Pellegrini, uomo di un certo stile, protagonista e narratore della storia. E’ un criminale ovviamente, come tutti i personaggi che appaiono nel romanzo. E’ un personaggio
già noto a chi segue Carlotto da almeno dieci anni, quando uscì il pluripremiato “Arrivederci amore, ciao” per cui il suo (di Pellegrini) passato di terrorista rosso infame, ergastolano
riabilitato a pagamento, viene solo citato en passant in questa nuova storia. Bella storia direi, complessa e semplice al punto giusto, dove gli ingredienti canonici dello standard noir, ovvero
il regolamento di conti davanti alla fossa, che ovviamente si trova nel giardino del nemico, ma soprattutto il sesso, la violenza, la prevaricazione e il ricatto sistematici, le sociologie
criminali, le tecniche di intimidazione, le armi ecc. scorrono serenamente, di paragrafo in paragrafo, fino a descrivere un contesto pressoché realistico del Veneto attuale. Il punto tragico, ma
di grande prospettiva letteraria è che ormai possiamo dire che è tutto vero.
Dice Massimo Carlotto: “Ho scritto questo romanzo per raccontare che oggi la criminalità moderna funziona necessariamente a braccetto con la politica. Cioè la politica è necessariamente un ingranaggio del grande meccanismo criminale. Senza la politica la criminalità rimane ad un livello molto basso e se vuole fare un salto di qualità deve trovare necessariamente una collisione con il mondo della finanza, della imprenditorialità e della politica. Altrimenti non entri nel gran giro degli appalti…”. L’affermazione si trova su You Tube nell’ambito di una intervista registrata durante una presentazione del libro.
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Altro protagonista di fatto è il ristorante, chiamato la Nena, che Pellegrini gestisce. Un ristorante di classe, di successo, ove non circola droga, non ci sono venditori di fiori, accendini e mercanzia varia, con atmosfera tranquilla, raffinata ecc. Insomma la Nena è una bella cosa ed è il vero amore del nostro Giorgio Pellegrini, il quale come vedremo ha anche una donna, anzi due, che ama e desidera sinceramente, ma si capisce che questa Nena sta sopra in termini di priorità affettive. Infatti tutta la storia nasce e si svilupperà perché i cattivi vorrebbero portargliela via e trasformarla in una attività di riciclaggio del danaro sporco ndranghetista. In pratica nel dispiegarsi del romanzo questo ristorante vive e pulsa, rischia, si ammala, viene salvato ecc. proprio come un personaggio. Un personaggio riuscito. La Nena è una attività di ristorazione da manuale che però da sola non si mantiene, tanto che Pellegrini integra le spese di gestione con altri proventi: un business integrativo costituito da un “piccolo ma sicurissimo giro di puttane travestite da escort a disposizione di Brianese e dei suoi amici”.
Le povere prostitute, latinoamericane con qualche cinesina, invece non trovano in questa storia il rango di personaggio. Sono figure impersonali che si muovono anonime sullo sfondo della scena. Esse, non vengono trattate male, anzi, con turnazione semestrale vivono da reginette: una botta al giorno sette giorni su sette, lavorano in villette appositamente affittate con assoluta sicurezza e discrezione presso l’agenzia del fratello di Nicoletta, quasi mai in hotel. La loro prestazione costa qualcosa come duemila, duemilacinquecento euro a botta, una notte intera o dieci minuti che sia e di questi “ben duecento” finiscono in tasca della prostituta. Il costo non deve spaventare perché quei soldi non escono dal portafogli del cliente, ma fanno parte della regalìa connessa con l’affare. E cosa garantisce che la prostituta non venga a sapere qualcosa di imbarazzante? Intanto niente telefonini e alla fine dei sei mesi, quando appunto una eccessiva permanenza in Italia potrebbe farle diventare potenzialmente pericolose, ecco che il cinismo e la brutalità riprendono il comando della situazione e le giovani prostitute finiscono nelle mani di violenti magnaccia maltesi senza scrupoli. Gente che applica il principio secondo il quale:” se una puttana assaggia l’inferno, poi scambierà i clienti per angeli del paradiso”. Da questa vendita che le toglie di mezzo per sempre il nostro Pellegrini ricava il doppio del prezzo di acquisto.
Un bel giro insomma, ben organizzato, un modello che in un Veneto nel quale è “impensabile chiudere un appalto, anche di una misera rotatoria, senza una quota pagata in natura”, costituisce una alternativa al sistema inaffidabile delle escort. Qui per la verità occorrerebbe approfondire la differenza tra escort e puttana. Carlotto infatti distingue, ma non chiarisce. In ogni caso le escort da questo confronto ne uscirebbero male, perché sono diventate “terreno di caccia di giudici e giornalisti” e “non riescono a tenere la bocca chiusa” perché non capiscono che i telefoni vengono intercettati e come se non bastasse “quando capita l’occasione si precipitano nei talk show a peggiorare la situazione”.
Con queste premesse la storia si sviluppa descrivendo lo scontro che si apre tra Pellegrini e Brianese quando quest’ultimo fa sparire due milioni di euro in un affare andato male. Poi, in un crescendo di ritorsioni la Nena finisce in mano ai mafiosi calabresi che la usano per riciclare i proventi delle loro lucrosissime attività criminali, ma Giorgio Pellegrini, forte anche del suo passato, non si lascia sopraffare e tiene testa fino alla fine ricorrendo a sottili macchinazioni degne di un manuale strategico, ma anche ad armi e tattiche militari usate senza limiti di violenza. Questa vicenda da thriller nostrano ci porta fino alla fine del romanzo, dove nonostante i morti e i feriti qualche tratto di umanità, a volerlo proprio cercare, si ristabilisce e il lettore può contare su una certa soddisfazione. In questo finale c’è anche la dietrologia più succulenta, precisamente a pagina 174, laddove Pellegrini dice: “Alla fine siete sempre voi che mettete a posto le cose, vero?”
“ A chi si riferisce, signor Pellegrini?” (risponde l’interlocutrice che non rivelo)
“Alle grandi famiglie, a quelle che contano. A quelle che hanno sempre comandato.”
Questa frase letta da uno come me, nato e vissuto a Valdagno, suona molto intrigante. E mi fa venire in mente quella sera che ho conosciuto Massimo Carlotto a Recoaro dove era venuto per presentare L’amore del bandito”. Gli chiesi, mentre eravamo tra pasticcini e piatti freddi della Coop, senti, tu nel romanzo Nordest parli di un “Conte Giannino” per caso è quello che penso io?
Certo!, - rispose - e niente affatto per caso!
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Cosa mangiare? E qui viene il bello. La Nena è un ristorante di classe e ha un’organizzazione per fasce d’utenza che viene descritta fin dalla prima pagina. Il racconto poi ci parlerà anche della carta dei vini, ma senza mai diffondersi sui menù. Però il meglio del romanzo, sempre da un punto di vista che definirei “gastro – narrativo”, riguarda qualche suggerimento sugli accostamenti. Ad esempio gli sfilacci di cavallo… con Gewűrtztraminer of course, se non altro per omogeneità territoriale. C’è anche una allusione alla malvasia istriana, che penso sia immanente sul futuro dei nostri brindisi perché la Croazia sta per entrare nella comunità europea. Ma c’è anche il pinot grigio del collio. Quest’ultimo è un vino che mi sconfinferla perché si tratta una mutazione genetica del Pinot Nero che fu piantata con successo nelle aziende Marzotto del veneto orientale i primi anni cinquanta. Allora veniva indicato per il pesce, e oggi con Carlotto, anche con i bigoli in salsa… E chi non è d’accordo?
Un piccolo indovinello può essere invece quello legato al Blue Stilton: cosa gli associamo da bere? Chi ha capito qual è il “vino
inadatto” che viene consigliato da Pellegrini a Tortorelli a pagina 99? Per i miei gusti personali direi che la peggior associazione potrebbe essere un moscato, ma lascio l’ardua sentenza a
quelli che hanno studiato… Infine la Champagnotta prestige cuvée. Il racconto la definisce “la regina delle bottiglie” e la trasforma nell’arma della vendetta, in realtà è un tipo di bottiglia
moderno concepita per l’esportazione, e in effetti potrebbe essere un simbolo della globalizzazione. L’importante però è che mantenga la caratteristica fondamentale: vetro verdone molto spesso e
pesante, adatto, oltre che a tenere le bollicine sotto pressione senza scoppiare, a pareggiare i conti con le persone troppo invadenti… Sono d’accordo.
Massimo Carlotto è uno scrittore che ormai possiamo definire grande narratore noir semibuonista, caposcuola e leader di tendenza, tutte caratteristiche che vengono confermate e rilanciate anche in questo romanzo. Vai Massimo, adesso aspettiamo l'Alligatore!