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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

AVENIDA REVOLUCION, di Cesare Battisti.

Avenida revolucòn, copertinaPREMESSA. L’ho letto dopo essere stato incuriosito dalla biografia dell’autore, non so se è rappresentativo anche del resto della sua produzione.

Il Romanzo è edito da Nuovi Mondi Media. La casa editrice, di Modena, si definisce alternativa, anticonformista e di indipendenza culturale. Si prefigge l’obiettivo di ”sfatare il mito secondo cui le informazioni autentiche sono degne di pochi…” in modo tale da permetterci di “non annegare nell’alluvione mediatica”. Ottima premessa.

Il volume, che è stato stampato nell’ottobre del 2003, indica la data del copyright nel 2003 - mentre l’edizione francese porta la data del 2001 - e apre la seconda di copertina con una affermazione dal tono trionfalistico: “Finalmente anche in Italia Avenida Revolucion di Cesare Battisti, il massimo tra gli scrittori noir italiani e uno dei più importanti scrittori di genere a livello europeo.” La nota di copertina si sbilancia fino a dire che si tratta di un romanzo il cui nume tutelare è nientemeno che Burroughs, insieme a Kafka e al Dick di “Ubik”. Mah! In ogni caso con questo romanzo lo scrittore Battisti riflette sulla scrittura - dice sempre la copertina - e “continua ad esprimere la sua ribellione contro le ingiustizie del mondo, affidandosi all’arte della parola”.

 

C’è poi una INTRODUZIONE di Giuseppe Genna , personalità di cui sono note anche alla Camera dei deputati la competenza e “ il repertorio di conoscenze acquisite in termini di intelligence “, nonché le conoscenze di “storia criminale italiana”, tutte cose che informano cospicuamente, attraverso tecniche di verisimiglianza, la sua produzione letteraria. Speriamo bene. Dico per lui e per Battisti; ma per quanto mi riguarda la lettura è stata un’esperienza piuttosto scettica.

 

*

IL RACCONTO. Antonio Casagrande è un ragioniere schiavizzato dal titolare di una azienda dell’area milanese, uno stereotipato ingegnere Martini. Appassionato di concorsi postali, vince un viaggio premio da una ditta di detersivi e con un po’ di fortuna affronta il titolare e parte per Città del Messico. Questa sarebbe la prima tappa del viaggio premio che, con una durata prevista di un mese, dovrebbe fargli attraversare gli Stati Uniti fino al Canada e poi da lì tornare a casa con un volo Vancouver- Roma. Il viaggio, con un camping car è fornito dalla società premiante,  in realtà sarà tutta un’altra cosa: il nostro protagonista affronterà varie sfighe ed avventure lungo la Avenida Revoluciòn e soprattutto verrà coinvolto nella disastrosa inondazione delle spiagge vicino a Tijuana, tremila chilometri a nord di Città del Messico, inquinata dai rifiuti del lago Rosarito.

Il racconto però è molto più complesso di questa trama e narra, senza risparmiare sesso, droga, carcere ecc., una convulsa ricerca di sé.  La figura psicologica del protagonista viene avviluppata in turbine di vicende che fanno perdere il ritmo al lettore, con il quale il testo ingaggia un gioco di confusione dell’identità narrante.

 

La parte autoriflessiva del testo, che veniva annunciata in copertina, arriva negli ultimi capitoli, quando l’ispirazione, che era già esaurita, arriva allo stremo e la parte fantapolitica (con il Bordo, cioè il muro che sta al confine tra Messico e Stati Uniti, coperto dalla merda proletaria) è già stata spesa. Il protagonista Antonio Casagrande per ragioni avventurose condivide l’identità di Luigi Trombetta, scrittore di fama, ma anche identità problematica (“anarchico per alcuni, musulmano integralista per altri” pg 172) e condivide le lotte dei Cholos (comunità di emigranti respinti) contro il muro.  E in tale ambiente popolato di personaggi come el Pachucote, El Pepe, Silvia, Juanito, El Gordo ecc. egli è chiamato el Chompeta. Nel capitolo XX il personaggio-scrittore è in crisi ispirativa e la sua crisi entra nella fabula narrata. Il protagonista/scrittore si distende sul letto, guarda il ventilatore e viene colpito dalla dolorosa consapevolezza che finora aveva scritto “nient’altro che una logorroica premessa”(pg 176). Il personaggio Antonio/Luigi/Chompeta guarda il menabò e si rende conto di non avere altro sotto gli occhi che “centinaia di pagine di marcia sul posto”.

Credo che sia una pagina che documenta più il travaglio dello scrittore REALE che l’approdo al finale. Un finale che non dico, e che non manca, peraltro, di ideazione.

 

***

Due segnalazioni: per i giallisti il personaggio del sergente Gomez H perché viene anch’esso investito da un trattamento narrativo originale che lo trasforma da investigatore in agente letterario; e per chi ama divertirsi leggendo, la trovata dell’espanglés.

 

I look at mi mismo

I stand naked antes the mirror

Con savoring eyes

Y trembling fingers

Waiting for ganarle

Un tiempo al hambre, carnal.

 

E’ un esempio di “espanglès”, idioma composto da integrazioni e variazioni tra le lingue inglese e spagnolo,  del quale il libro fornisce una spiegazione diciamo così, “sociologica” nelle pagine 136 e seguenti. Il riferimento è alla cultura di fatto trans-nazionale che caratterizza l’area San Diego – Tijuana, con San Isidro, Imperial beach ecc. In quest’area, come nei decenni precedenti per quella al confine tra Texas e Messico, al confine del Rio Grande, città di El Paso, si sono formate comunità eterogenee di milioni di persone migranti con dinamiche culturali che danno origine a fenomeni come l’espanlès, appunto. El Paso integrato con El Ciuco (l’asino) origina il termine “Pachuco”, ecc. Qui, dove il libro descrive l’esistenza di un muro composto da 35 Kilometri di lastroni d’acciaio e altri tremila di filo spinato i fenomeni metropolitani delle baraccopoli e le tensioni sociali sono estremi e su questi paradossi si fondano alcune invenzioni di Battisti come la protesta dei defecanti (“vamos a cagar compañeros” ecc.). De gustibus.

 

Il tema comunque, quello dei Cholos, (oppure “la raza” ecc.) è stata la parte migliore della mia lettura. I Cholos sono la raza de Frontera. La comunità di coloro che vivono a Tijuana, a ridosso del muro (Bordo) che separa il Messico dagli Stati Uniti. il loro rappresentante, nel libro è appunto el Pachucote il quale ha un ruolo di leadership ed è il committente spirituale del libro, che il protagonista, nella sua doppia identità di Antonio e di Luigi, scrive con la penna. Un libro che sarebbe quindi dedicato a questa “raza de frontera” che parla espanglès. Un libro quindi dall’approccio sociologico, di denuncia sociale. che tratta della “… vita dei diseredati. La nostra…”

 

****

NOTE FINALI. Gli ultimi capitoli sono tutti ispirati, si fa per dire, da un nevrotico rapporto di identità problematica tra i personaggi. Scrittore, agente editoriale, la partner sessuale e tutti gli altri personaggi virano verso una identità ambigua. Capisco che per un esule il tema della identità indefinita è una cosa seria e penso anche che si tratti di un travaglio da rispettare. Inoltre non ci vedo niente di male nel trasformarlo in ispirazione per la scrittura, ma il risultato, qui, è piuttosto confusionario.

 

Genna dice nell’introduzione che :” la vita di Cesare Battisti è un viaggio e,in un certo senso, i suoi romanzi possono apparire una forma innovativa e impazzita dei resoconti di viaggio.” L’idea di cercare il senso del racconto nella biografia dell’autore è quindi presente, come una sorta di invito, fin dalla prima pagina del volume. Ma non è il viaggio il tema del libro, il vero tema del libro è l’identità narrativa dello scrittore e il suo doppio.  Mi viene a mente il William Wilson di Poe dove il protagonista viaggia per il mondo e al tempo stesso viaggia tra le proprie identità, ma quella è grande letteratura, mentre qui abbiamo soltanto una irrisolta dialettica che produce più confusione che mistero e che, come se non bastasse, si estende anche ad altri personaggi della storia. La parola chiave di questa lettura è CONFUSIONE. Vi sono degli ottimi passaggi, dei bei pensieri, ma sono pochi e non conducono ad uno sviluppo logico. photo-libro-Turone.jpg

 

Lo sviluppo della narrazione è incoerente, anarcoide, nel senso che non segue un piano generale, si muove come un lombrico cieco in un terreno umido e molliccio. Ma ciò non dà origine ad un caleidoscopio di trovate, non c’è nessun fuoco d’artificio, ma tanti, tantissimi petardetti umidi, una cosa da festina adolescenziale anni settanta. Sul piano empatico direi che il testo è soprattutto amorale, una scrittura che sta tra il cinico e l’ironico. Cercando una metafora gastronomica direi che è un gazpacho. Una salsa piccante dal sapore incostante, acidula e calda, che ogni tanto si raffredda e perde il gusto.

 

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