diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Il Sole 24 Ore della Domenica ci regala un’altra grande lettura da mezzo euro, e a leggerlo si fa un vero affare.
IL SENO è un racconto del 1972. Il narratore protagonista è David Kepesh, un personaggio che riapparirà in altre opere successive di
Philip Roth dando luogo ad una trilogia. Egli ha un ufficio presso la facoltà di Scienze umanistiche a New York, è ebreo e si presenta come un trentottenne in forze, anche se un po’ ipocondriaco,
perseguitato da uno strano formicolio all’inguine. E’ in analisi e narra in prima persona. Dopo i primi sintomi, con una “incubazione” di 21 giorni la carne attorno al pene diventa rossastra e da
qui prende avvio una trasformazione totale del suo corpo che lo fa diventare un enorme seno di donna di settanta chili. Il fatto accade tra la mezzanotte e le quattro del mattino del 18 febbraio
1971 e consiste in una trasformazione in ghiandola mammaria scissa da qualsiasi forma umana. Una massa di settanta chili descritta dettagliatamente nelle pagine 17-19, con un capezzolo rosa,
dotato di “una squisita capacità tattile” le cui aperture forniscono bocca e orecchie rudimentali. Non ha occhi e la diagnosi medica è
sostanzialmente quella di uno squilibrio endocrino. La curiosità del lettore, ovviamente, si concentra sulle cause di questo fenomeno e in questa parte iniziale il testo si diffonde per una mezza
dozzina di pagine a descrivere il suo rapporto con Claire, dal quale qualche segnale di stranezza era effettivamente pervenuto negli ultimi tempi anticipando ciò che stava per succedere. “Sono
diventato un seno” ammette David Kepesh e questa nuova condizione, per quanto misteriosa e in comprensibile, crea nel protagonista uno stato di eros che si manifesta ogni volta che Miss Clark,
l’infermiera del Lenox Hill Hospital in cui è ricoverato, lo lava. E’ una intensa trance erotica descritta con perizia ed equilibrio nelle pagine 24 e 25. La scienza medica studia il suo caso,
attratta più che altro dal fatto che egli non sia morto. Questa sua condizione, che egli comunque definisce “incredibile catastrofe”, non ha vie d’uscita e, per quanto drammatica, non distrugge
traumaticamente il suo equilibrio psichico, ma lo erode causando via via varie crisi di rifiuto che turbano e disturbano progressivamente la sua personalità. Questo travaglio, che durerà quindici
mesi, è il tema della narrazione. Qui entra in gioco la figura importante del suo analista, il quale lo considera una sorta di “cittadella della sanità mentale” e David Kepesh, da persona
equilibrata che prende progressivamente cognizione del suo stato, descrive dettagliatamente i vari aspetti di questa nuova e straordinaria situazione, da quelli psico-fisici fino alle reazioni
delle persone che vanno a trovarlo. Dopo alcune pagine dedicate alla descrizione del comportamento del padre, il quale sostanzialmente finge di ignorare questa anomala condizione e va a trovarlo
parlandogli come se niente fosse, è la volta di Claire, la sua donna. Con l’introduzione di questa figura inizia un percorso che poi a pg 36 ci offre un primo tentativo di spiegazione di quanto è
successo, laddove il narratore dice: “Ecco. Per quelli di voi che preferiscono una favola alla vita, ecco la morale della storia. << La realtà ha stile>> conclude l’amareggiato
professore che, per ragioni sconosciute a lui stesso, divenne un seno.“ E’ una frase che ha il sapore di un finale, inoltre qui c’è un implicito rivolgersi ai lettori, quelli che preferiscono la
favola alla vita. E questo timido spiraglio di uscita in realtà indica la direzione che poi l’autore sceglierà per il finale.
Claire è un personaggio indovinato, degno di questo autore, che è indiscutibilmente di alto livello. In poche righe qua e là sappiamo tutto di lei, della sua famiglia ecc. e ci rimane impresso soprattutto che ella è:”qualcosa da vedere, una bionda con gli occhi verdi, alta e snella e con i seni pieni…”. Costei è una venticinquenne maestra elementare, e non mi è chiaro se sia moglie (nel qual caso sarebbe la seconda) o semplicemente una compagna stabile. E’ un personaggio positivo, una donna che lo ama ed è portatrice di una sessualità a mio avviso assolutamente comune, ma resa magica dalla scena d’amore ambientata tra le dune di Martha’s Vineyard. Una pagina di narrativa erotica di qualità che non risparmia dettagli. Claire dopo alcuni primi giorni di sconcerto gli propone massaggi al capezzolo e dopo un po’ di tempo , quando questa pratica si consolida egli viene inondato di desiderio erotico e comincia a temere di perderla a causa del suo troppo chiedere. Anche l’infermiera che lo lava ogni mattina lo pone in una condizione di eccitazione perenne. In breve egli si rende conto che in questa condizione è destinato a diventare una “massa di carne smaniante e nient’altro” (pg 40) e, dopo aver inutilmente provato a corrompere l’infermiera, intraprende con il dottor Klinger, l’analista, l’impresa di tentare l’estinzione del desiderio. Dopo alcuni altri tentativi, l’obiettivo vene in parte raggiunto attraverso la pratica infermieristica di anestetizzare parzialmente l’area del capezzolo durante le abluzioni e cambiando il turno degli infermieri che si occupano di lui, così da farsi fare le abluzioni mattutine da un infermiere maschio. Ciò porta ad escludere l’omosessualità, anche in termini di semplice latenza, dalle caratteristiche del personaggio. Ogni sera comunque, quando arriva Claire i rapporti continuano “normalmente” anche se si caratterizzano per il fatto di non produrre mai un orgasmo finale, ma solo un “senso continuato di eiaculazione imminente durante il quale mi contorco dal primo all’ultimo secondo”.
A questo punto, siamo a pg 45, dopo aver “vinto la battaglia contro le bramosie falliche del mio capezzolo” il nostro protagonista-mammella tenta di aprirsi alle relazioni sociali e comincia anche a pensare a qualche maniera per riprendere il suo lavoro all’università. Abbiamo quindi la visita di Arthur Shonbrunn, collega e superiore universitario. La visita però non va bene, costui manifesta ilarità per la condizione anomala in cu trova Mr. Kepesh, una situazione che di fatto non riesce a reggere per cui finisce con l’andarsene anzitempo. Mr Kepesh non riesce ad accettare questo “infelice comportamento” (pg55) e a questo punto della vicenda tenta una fuga dalla realtà. Inizia qui un andamento del racconto che progressivamente chiamerà in causa la letteratura ed in particolare come vedremo alcuni autori particolari dai cui scritti si capisce quali siano stati i fattori di ispirazione di tutto il racconto. Il testo rimane sempre di alta qualità e apre di fatto una nuova linea di comunicazione col lettore. Nella parte finale troveremo questa caratteristica in modo più esplicito. Tornando alla storia, le difficoltà nel rapporto col collega/amico Shonbrunn inducono Kepech a pensare di essere in realtà vittima di illusioni e stare solo dentro ad un sogno. Per un’altra mezza dozzina di pagine viene dato conto delle discussioni terapeutiche col dottor Klinger, prendendo anche in considerazione i nessi tra le allucinazioni che il protagonista vive e le suggestioni esercitate sulla sua immaginazione dalle letture di Kafka (la metamorfosi), Gogol (Il naso) e Swift (Viaggi di Gulliver), ma il dottor Klinger insiste a sostenere che la sua condizione è reale. La crisi di rigetto prosegue anche con episodi di conflitto col terapeuta come ad esempio l’attacco al suo nome. Qui (pg 61) abbiamo un intervento esplicativo del traduttore (Silvia Stefani) che in una nota a piè pagina chiarisce che “Clinger” è in inglese colui che si aggrappa, si avvinghia a qualcosa. Nel personaggio questo doppio significato del nome, rafforzato dalla lettera Kappa, rafforza il suo carattere di custode inflessibile e rischiava di venire perduto con la traduzione in lingua italiana. La terapia prosegue col ripasso degli episodi chiave dello sviluppo psichico del protagonista fintantoché, anche con sedute che avvengono in presenza del padre, il nostro protagonista che finalmente viene chiamato con l’appellativo anagrafico completo David Alan Kepesh, accetta la propria condizione, nega la propria ipotetica pazzia e anzi sta al gioco fino a chiedere la prova di essere una mammella, cioè essere messo in grado, tramite cure ormonali con agenti lattogeni, di produrre latte. (pg 65) Qui mi limito a notare che il ruolo della figura paterna in questa storia è più profondo di quanto sia lo spazio narrativo ad essa dedicato, lasciando intendere forse l’esistenza di una problematica che sta più dentro all’autore che al personaggio protagonista. E arriviamo quindi alla parte finale.
Dopo quindici mesi il nostro protagonista è ancora nella condizione di essere un seno e passa le mattinate ad ascoltare le opere di Shakespeare sui dischi regalatigli da Shonbrunn. Le sofferenze degli eroi shakespeariani non bastano a consolarlo, egli continua a ritenere le sue assai superiori. Ciò nonostante quegli ascolti confermano la sua profonda passione per la letteratura, al punto che anche il lettore comincia ad intuire che è proprio questa la causa della sua trasformazione fisica, trasformazione che ormai possiamo chiamare apertamente “metamorfosi” in pieno senso kafkiano.
Il capitolo finale è un testo complesso, che io dividerei in più parti. La prima serve a condurre il lettore al metalivello narrativo
in cui si parla direttamente al lettore (“caro lettore”, pg 70) per dirgli esplicitamente che “Questa non è una tragedia come non è una farsa. E’ soltanto vita, e io sono umano”. La seconda
inizia da qui con il protagonista che chiede al Dottor Klinger: “E’ stata la narrativa a ridurmi così?” e queste sono a mio avviso le parole magiche
del racconto, perché rappresentano il punto di congiunzione tra autore e narratore. No – risponde il dottor Klinger (Clinger) – “gli ormoni sono ormoni e l’arte è arte. Lei non è vittima di un’
overdose delle grandi fantasie.” Quindi la fabula continua, ma da qui in poi la civetteria letteraria del grande scrittore prende il sopravvento.
Voglio uscire di qui, dice il protagonista narratore e ora questa invocazione assume il significato narrativo più chiaro: “sono arcistufo di preoccuparmi di perdere Claire”…voglio il finale della
storia… e per ottenerlo occorre ricorrere alla letteratura. “Amavo l’estremo in letteratura, idolatravano quelli che lo creavano, ero praticamente ipnotizzato dalle immagini e dalla loro
suggestione… Dunque ho fatto il salto. HO RESO LA PAROLA CARNE.” Ecco quindi la spiegazione che di ciò che gli è accaduto: “Non vede (dottore) sono
più kafkiano di Kafka”. E tutto questo ha avuto successo: “Amico, io farò un mucchio di quattrini.” (pg72). Nel racconto infatti questa sua condizione gli ha fatto raggiungere una fama mondiale,
ma non potrà mai uscirne. Pero è possibile che grazie questa a fama “io abbia acquisito greggi intere di pecore universitarie digiune della poesia come della calamità”. E qui siamo giunti alla fine del percorso, ora c’è solo il tuffo nel finale vero e proprio che ci porta dentro i versi di Rainer Maria Rilke, nel Torso arcadico
di Apollo. Iperbole letteraria.
Il volumetto, stampato in maggio, è uscito in giugno 2011. Il racconto originale è The Breast, secondo la nuova edizione americana con Copyright 1980. Prima, nel 1973, ne era uscita un’edizione di Bompiani, con il titolo de: “LA MAMMELLA”. I diritti erano stati poi acquistati dalla casa editrice Einaudi, la quale quest’anno ha ceduto la licenza di pubblicazione alle edizioni speciali del Il Sole 24 ore. La traduzione di Silvia Stefani risale al 1973, per Bompiani. Le successive opere della trilogia con David Kepesh (“Il professore di desiderio”, 1977 e “L’animale morente”, 2001) sono state fatte da altri. Philip Roth, in quanto scrittore, nel maggio scorso ha vinto un prestigioso premio internazionale di letteratura, assegnato a Sidney da una giuria della quale per l’Italia faceva parte Dacia Maraini.
Sul web si trova un sacco di roba su di lui, sul suo ebraismo e sul suo presunto antifemminismo ecc., compreso l’invito a non scambiarlo per il barone Philip Rothshild, esponente della famosa casa di presunti padroni del mondo… Come sempre questa mia non vuole essere una recensione, ma il racconto di una esperienza di lettura del tutto libera e soggettiva.