diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Continua la narrazione cataldiana, un BIG dello Stile Libero einaudiano. Il libanese,
il “rosso libanese” molti della mia generazione se lo ricordano come un tipo di Hashish, mentre qui è un tipo di criminale sottoproletario degli anni settanta. Libanese se la fa con Giada, una
rivoluzionarietta femminista figlia di papà, una specie di “Lella, quella ricca” di deangelisiana memoria.
A Giada quella canzone ispira considerazioni di sinistra sul “sottoproletariato inconsapevolmente rivoluzionario, forza criminale che poteva trasformarsi, sotto oculata guida, in forza rivoluzionaria“. E questo amore fa loro capire il vero senso della frase “noi stiamo dalla stessa parte” che il Libanese pronuncia verso pagina 87.
*
Siamo nel marzo del ’76. Il libro non lo dice, ma è la data in cui si può collocare la fine del ciclo di criminalità dei marsigliesi, a Roma, e inizia quello che poi diventerà mostruoso ciclo criminale della Magliana.
Il protagonista è un piccolo nessuno della malavita romana che esce dal carcere con il progetto di diventare una specie di Re a Roma. E’ ambizioso, intelligente, uno di quelli nati per comandare. La sua risorsa primaria è data dal fatto che sa menare molto bene, con le mani e col coltello, frutto dell’insegnamento della strada e di qualche personaggio d’altri tempi. Ma ora, grazie al breve periodo passato in carcere, ha qualcosa di più, ha un’occasione. Se trova trecento milioni (un’enormità) potrà infatti partecipare all’operazione nave della neve. Un’operazione di droga che è esattamente ciò che dice la parola stessa. In quegli anni la camorra nascente è quella di Cutolo, che le cronache dell’epoca ci hanno fatto conoscere come NCO perché si trattava della nuova camorra organizzata, anche in contrapposizione con quella vecchia.
Questo libanese, che è solo il soprannome e non nasconde alcuna origine mediorientale, esce dal carcere con l’amicizia del boss e qualche speranza di carriera nel mondo criminale dovuta al fatto di avere salvato durante una rissa in carcere un malavitoso caro al boss stesso. E’ un buon personaggio da noir, ma si stacca da quello che già aveva conosciuto chi aveva letto Romanzo Criminale.
Nel primo romanzo il Libanese muore a pagina 245 più o meno nei giorni della strage
di Bologna (2 Agosto 1980). Il suo piano per lo sviluppo dell’attività della banda prevedeva di intervenire sul fronte degli investimenti, fino ad allora affidati al Secco, lasciando continuare
la bene avviata attività legata alla droga. Coi servizi segreti aveva fatto un patto che prevedeva uno scambio: “loro ci danno i palazzi, noi gli diamo la strada”. In quel contesto la vicenda può
anche essere letta in modo complesso, ipotizzando che il suo omicidio sia una eliminazione per impedire un salto di qualità incontrollato della banda.
Quel romanzo infatti è di tutt’altro livello, secondo i miei gusti ovviamente, perché mostra le manipolazioni del potere sulla criminalità (c’è la figura del grande vecchio ecc.) mentre qui c’è più una narrazione umanistica o, se volgiamo, di sociologia convenzionale. Anche qui c’è il noir, ma solo perché c’è il Male col suo cinismo (per quanto intelligente e realistico) ma non c’è la critica al potere.
**
Questo “io sono Libanese” viene presentato, ed in effetti lo è, come il prequel del Romanzo Criminale. Ma per me è un’altra cosa e non ha la forza di quel primo, grande romanzo. Forse è solo la rimasticazione di appunti che all’epoca erano rimasti fuori o forse il nostro giudice scrittore è stato rabbonito dal successo. La messa in commercio di questo breve romanzetto può forse rispondere all’idea (tipica di un marketing editoriale opportunista) di sfruttare la scia riaperta dalle vicende connesse alla tomba di De Pedis nei mesi scorsi. Fortunato quindi il lettore che prima ha letto questo e poi è andato a leggersi Romanzo Criminale.
Tutto questo nel pieno rispetto di un autore che conosce la materia e sa scrivere e narrare molto bene.