diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Rosa ha ucciso suo padre a quattordici anni, è in carcere e tiene un diario. L’ambientazione però,
se pur cupa o come si direbbe meglio oggi, “tosta”, non deve spaventare. E’ una buona storia e vale la pena di arrivarci senza il fiatone, per godersi il finale. Certo non è una storia comica, né
una commedia all’italiana e tantomeno una sceneggiatura da cinepanettone, anche se finisce a natale. E’ un romanzo psicologico, o meglio: uno “psicothriller”.
L’omicidio del padre occupa le prime pagine e ci colloca subito dentro la mente misteriosa della narratrice. Del resto non potrebbe essere diversamente perché i diari si scrivono in prima persona, proprio come i thriller moderni, quelli il cui protagonista, killer professionale o seriale che sia, è l’io narrante stesso. Le moderne tendenze del marketing editoriale usano la parola noir per definire questo genere mutuato dai francesi, mentre alcuni saggi tendono a distinguere tra giallo e noir a seconda se il protagonista è colui che indaga o colui che uccide. Altri, soprattutto tra gli insegnanti di scrittura creativa, fondano i generi sulla struttura triadica dei ruoli fondamentali: il narratore, l’autore e il lettore. La scissione tra autore e narratore è difficile e la fanno consapevolmente i lettori “evoluti” mentre in realtà viene quasi a tutti spontanea. Infine Umberto Eco ci ricorda che il lettore è in realtà un “lector in fabula” cioè la storia varia in funzione della sua interpretazione ed è il lettore, per niente passivo, a condurre il gioco.
Mah, a complicare le cose semplici siamo buoni tutti, mentre a scrivere una storia come questa no.
Per una storia come questa ci vuole coraggio e mente fredda. Forse un po’ contorta, ma certamente motivata, introspettiva. Per narrarla ci vuole anche una scrittura secca un po’ cinica, capace di cogliere le sfumature della psiche umana. E qui la scrittura è fondamentale propio per la narratrice, Rosa infatti perde la capacità di parlare e comunica per iscritto. E’ una forma di mutismo isterico, conseguente ad un trauma improvviso, adulto, con emozione e spavento.
Questa condizione di mutismo accompagna tutto il libro e ne costituisce l’originalità. Devo dire sinceramente che non pesa, non asfissia per niente la storia, al contrario ne fa veicolo di parole scritte, in uno stile di narrazione lontano dai modelli cinematografici e televisivi. Qui si tratta invece di una novella (usiamo questo termine che non è per niente obsoleto e che anzi, ci libera dagli schemi commerciali) centrata sul fatto di scrivere. La protagonista scrive sul diario per se stessa e scrive su altri fogli, un “quaderno dei dialoghi”, per comunicare. Gli altri, le altre, leggono, proprio come il lettore. E la storia si sviluppa nella narrazione che nasce dalle parole scritte. Non leggiamo solo noi lettori del libro, ma leggono e scrivono anche i personaggi. E le stesse parole dette, i dialoghi, vengono narrati nel diario, cioè scritti. In pratica si può dire che se si volesse ricavarne una fiction televisiva lo sceneggiatore dovrebbe lavorare parecchio perché non ci sono dialoghi da copiare, mentre gli attori avrebbero un certo agio ad intendere lo stato d’animo dei personaggi.
Poi, nella seconda parte, lo stile cambia, si alleggerisce. Intervengono nuovi personaggi, anch’essi originali, come Adele ad esempio, che portano la storia anche un po’ fuori dal carcere con il risultato che il testo si arricchisce anche di dialoghi. E c’è qualche uomo…
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I personaggi sono prevalentemente femminili. Verrebbe da dire “tutti femminili”, ma non è esatto. Quello di Rosa è un carcere femminile e al giorno d’oggi, si sa, le carceri sono piene di immigrati più o meno extracomunitari. Quindi le compagne di cella sono straniere. A queste donne succedono delle cose che non posso raccontare perché toglierei il gusto di leggere il libro, quindi dico solo che tra le detenute si insinua un pericolo, un pericolo che finisce nei diari di Rosa, e poi, da lì, ad un certo punto della storia, passa sul tavolo di lavoro di una psicologa/psichiatra. Costei, la dottoressa Maggie, è un bel personaggio, positivo, che libera la storia dalle velature paranoiche. Direi che nella mia lettura tutta la seconda parte del libro deve molto a Maggie, grazie alla quale le sorti di una storia inizialmente cupa si ribaltano in un riscatto positivo, dove vincono la verità e la giustizia.
Perla di saggezza: “ Ricordati Rosa che la carta porta tutto ciò che ci si mette sopra, proprio come un asino” (pg 92)