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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Le Vendicatrici, di Carlotto e Videtta

Ksenia.JPGPiacere e delusione. Il mio atteggiamento verso i libri di Carlotto è noto ai lettori di questo blog (vedi ad esempio  qui,   quo,    qua). Amo le sue storie perché sono concepite all’insegna della libertà mentale, perché la narrazione crea spazi di libertà. Il guaio nasce quando si constata che esso è anche in progressiva riduzione e allora possono arrivare le ansie claustrofobe. E qui sta l’entusiasmo non esplosivo per questo romanzo.

Viviamo tutti in una mega trappola orwelliana e l’idea che sia possibile gustarsi la libertà della propria mente è solo una pia illusione. Perciò può essere utile dar per scontato che lo spazio vitale per una mente libera è decisamente limitato e tanto vale gustarsi quei pochi metri quadri che restano. E questo libro ti offre qualche metro quadro di libertà.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto gli autori sono due e qui c’è la collaborazione di Marco Videtta che non è nuovo al lavoro a quattro mani con Carlotto avendo con lui scritto e pubblicato NORDEST nel 2005. Quel romanzo è pieno di libertà di pensiero, anzi è talmente libero da essere spietatamente profetico sul fallimento del ricambio generazionale tra gli imprenditori del Nord Est economico italiano e sui rifiuti come nemesi di questo sistema. Questo no. Questo ha meno libertà, meno profezia compensati da più sesso e più violenza.

Ksenia è una figura accattivante perché è una vittima che non si limita a subire lo sfruttamento, ma reagisce e mena duro. Lo stesso vale anche per Luz. Bene. Anche Sara è cosi, ma quella mena un po’ troppo duro e insospettisce il lettore paranoico che sente puzza di servizi segreti. Mentre invece Eva la profumiera potrebbe essere esattamente la nostra vicina di casa, quella più sgamata. Ecco quindi il quartetto neo Dumasiano: tutte per una, una per tutte. Abbiamo quindi la svolta dumasiana della narrativa carlottiana? E non solo. C’è anche Stieg Larsson.  Con questa opera di Carlotto/Videtta il management  Einaudi,  con Stile Libero, apre ad una idea di semi-foulletton su donne e violenza.

La tematica compresa tra violenza alle donne, violenza, donne e, più recentemente, femminicidio, in questi anni sta assumendo ruolo trainante nell’investi mento e nel consumo culturale. Non sfugge neanche allo sguardo del lettore ingenuo il successo di Uomini che odiano le donne, che è diventato un modello editoriale. Qui i nostri due coautori affrontano lo schema uomini cattivi contro donne mettendo a fuoco un’idea narrativa in cui sono le donne ad essere cattive. Più precisamente sono le vittime femminili che diventano protagoniste incattivite da un ambiente aggressivo. Si ripercorre una strada già aperta da altri per sfruttarne la scia e stare in una attualità che rende il prodotto appetibile alle recensioni dei media allineati nella campagna femminicida. E’ evidente che si tratta di un tipo di ispirazione che nasce più dentro gli uffici del management editoriale che nella fertile, quanto perversa, mente di Carlotto. Insomma, passare da e/o a Einaudi può essere un miglioramento per lo scrittore e questo a sua volta può costituire un potenziale beneficio per il lettore, ma non sempre costituisce un passo avanti nella libertà di narrazione.

 

Ora torniamo al piacere. La visione dura, acida, dei rapporti umani che Carlotto ci propone anche qui è quasi fumettistica, ma molto sofisticata e illumina senza alcun buonismo tratti di verità del comportamento umano non convenzionali.  La visione della criminalità rimane molto realistica, evocando spesso tracce della nostra cronaca criminale e tutto con una narrazione radicalmente alternativa a quella mediatica. L’overdose di ipernarrazione televisiva su fatti tipo Amanda Nox, Michele Sollecito ecc. ecc. infatti è diventata ormai insopportabile per coloro che non si accontentano di pettegolezzo televisivo, ma dai fatti di cronaca cercano anche di cogliere i segnali critici della  società che sta loro attorno. E soprattutto quelli delle sue perversioni istituzionali. E di questo Carlotto non smette di parlare neanche qui, vediamo infatti la criminalità finanziaria diffusa tra i negozianti, la ludopatia sfruttata nel ciclo di una finanza usuraia innervata nelle banche, negli uomini di chiesa, lo sfruttamento criminale dell’immigrazione dentro la famiglia ecc.

Qui c’è anche una figura, quella di Sara, che evoca l’idea di un monitoraggio dei servizi, o comunque di sofisticate operazioni di monitoraggio occulto diffuso tra i processi criminali, anche quelli non globali, di quartiere. E’ anche questa un’idea di perversione istituzionale che la narrativa giallistica e noire continua ad ignorare. L’industria culturale investe in opere come Le Vite degli Altri per mostrare le perversioni del comunismo, ma non investe altrettanto per far vedere che qui siamo esattamente nella stessa situazione. Bene Carlotto pertanto, anche questa volta…

L’unica cosa che mi lascia un po’ perplesso è che nella banda di ex poliziotti non ci sia almeno un infiltrato. Ma forse la storia si sarebbe complicata troppo. Insomma anche in questa storia ci stanno i presupposti della patologia paranoide coralmente imputata ai complottisti come me. E questo è il lato che mi piace del libro.

 Ksenie-a-le-altre.JPG

Per finire occorre osservare che questo romanzo viene promosso come il primo di una tetralogia. Pare che ce ne siano altri tre che sviluppano la storia centrando ciascuno i quattro personaggi. Anzi il prossimo, EVA dovrebbe essere in edicola a giorni. Penso che li leggerò tutti, ma non so se meriteranno l’enfasi compulsiva che finora ho riservato alle altre, straordinarie, letture di Massimo Carlotto.

 

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