diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
LETTURA interessante, accattivante, intelligente e coinvolgente. Michela Murgia è brava. Spicca nel panorama
editoriale per la originalità tematica, per la qualità della prosa e per l’intensità delle parole. Percorrere i testi di quest’autrice, della quale ho letto anche altre cose, dà l’idea che realtà
e storytelling siano un continuum, i personaggi di un dramma siamo noi stessi perché ciò che accade nel narrato era già presente dentro di noi. Basta guardare con l’occhio giusto e ci si accorge
che lo sapevamo già, c’era già perché dev’essere così, lo sappiamo e nonostante la trepidazione, non abbiamo paura.
Se proprio vogliamo trovare un difetto dobbiamo andare in metafora musicale: è un po’ una suite. Si tratta infatti di un testo intenso, scritto a più riprese, discontinuo e caratterizzato da stile altalenante. Ma questo senza mai cadere di qualità. Qui siamo in alto, siamo tra le parole di una scrittrice nata, con lo sguardo profondo, un senso di equilibrio, una forza narrativa fondata sulla affidabilità della scrittura.
Lo spunto per pensare a cosa mangiare con questa lettura possiamo trarlo dal quinto capitolo, che secondo me è il punto più alto dell’intera narrazione. Nessuna fretta; questo libro va gustato con tempo e parsimonia, tanto ti culla e ti porta al finale da solo. Siamo in perfetto storytelling, qui “sorelle e cugine della futura sposa servono gli amaretti e il vino passito con sorrisi fintamente timidi e sguardi bassi da persone beneducate”. E si entra in un ambiente mediterraneo, dolce e intrigante dove gli amaretti vengono afferrati sul vassoio dalle “dita tozze” e anche “callose” degli ospiti campagnoli. Tipico delle autrici femminili, direi, osservare e descrivere, sia pure en passant, le dita degli uomini. Qui bisogna controllare l’istinto di complicità, perché queste conversazioni sul galeotto vassoio degli amaretti scaldano, come il sole del sud, e generano “ una febbre aspra e inconfessabile”. Qui la bravura della Murgia va oltre il fascino dello storytelling e inizia a produrre anche l’acquolina in bocca. Nell’intreccio di conversazioni si snoda via via un racconto di dolci. La pasta di mandorle non è solo una cosa da mangiare, a labbra strette, conversando; serve per far forme di frutta, pere, mele, fragole … ed è importante perché “ le cose non si mangiano solo con la bocca”… Inoltre stanno “in bella mostra” e, quando vengono fatti, tali dolci, tutti gli ingredienti vengono allineati sul tavolone e in una filiera profumata nella quale ciascun paio di mani ha il suo preciso tempo di intervento. Le mandorle sminuzzate si mischiano con la farina e le uova in un biscotto destinato al forno, sul quale si potrà piantare in centro un’altra mandorla intera oppure una mezza ciliegia candita. Altre mandorle vanno cristallizzate nello zucchero assieme ad una “grattata di buccia di limone” e diventano un croccante rustico che solo denti sani potranno affrontare. Insomma grande dolcezza pasticcera casalinga che si mescola poi con le risatine ciarliere e gli sguardi di fuoco, tra gli sfottò e le piccole umiliazioni anch’esse casalinghe, le ferite e i segreti della vita. Sono i gueffus. Che si chiamano così perché derivano dalla parola Guelfi e quando vengono messi sulla carta “a caramella”, i bordi vengono tagliati a denti piatti, come i merli dei loro castelli.
Si tratta della visita di fidanzamento di Bonacatta, figlia più vecchia della madre di Maria, la protagonista, cioè sorella di costei, ma non convivente. I parenti “in punta di sedia” bevono malvasia, girano amaretti e vino passito, il tutto tra i sorrisi “fintamente timidi” e gli sguardi, “bassi” da persone educate, delle donne. Non c’è malizia e il desiderio quando c’è è intimo ed autentico. Ma non meno eroico direi, anzi, una forma matura di sentimento forte e controllato.
Che cosa ascoltare? Mi viene in mente lo slogan di un vecchio carosello: “con quella bocca può dire ciò che vuole”. Ovviamente qui
occorre parafrasare sostituendo bocca con penna, anche se a giudicare dal suo ottimo blog Michela Murgia scrive usando la qwerty e in questo caso la dizione più appropriata diventerebbe: “con
quelle dita può scrivere ciò che vuole”. Ecco, quest’immagine mi fa venire a mente l’idea di un pianista, un jazzista. Forse una nuova, una che, come
Michela, ci sa fare e merita un grande futuro.
Diana Kall: portami sulla luna e fammi giocare con le stelle. Trovo che il paragone calzerebbe molto sul piano della versatilità e della capacità di improvvisazione. Michela Murgia e Diana Krall: da quelle dita può nascere di tutto, tutto l’imprevedibile e sempre di gran qualità. Insomma un ottimo link tra musica e scrittura perché entrambe ben sincopate.