diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Avevo già letto uno scritto di Michela Murgia nella raccolta “LAVORO DA MORIRE, racconti di un’Italia sfruttata”, della quale ho già scritto.
Questo “ALLA PARI” non è esattamente un racconto, ma uno scritto sul travaglio lavorativo di un bancario sieropositivo.
Il titolo va inteso nel senso di dire “Non ti venga in mente di competere ALLA PARI nell’ambiente di lavoro” (la frase è mia, non è una citazione dal racconto). L’idea di fondo ruota attorno al fatto che il protagonista sceglie di non considerarsi vittima e vuole comportarsi come gli altri, ma dovrà però scoprire che sono gli altri non comportarsi normalmente con lui. Il protagonista infatti, nella fase in cui non è ancora nota alla banca la sua condizione di sieropositivo viene apprezzato e premiato, ma poi progressivamente emarginato dopo che una lunga assenza rivela il suo stato.
Il caso è complicato dal tipo di malattia: non è un cancro, non è un incidente, ma in un certo senso è molto peggio e il protagonista rifiuta di accettarlo; semplicemente rifiuta di crederci, come rifiuta di considerarsi invalido. Ed è proprio questo rifiuto che il datore di lavoro e i colleghi non accettano. Il datore, che in fabula è un’entità spersonalizzata chiamata “La Banca”, in definitiva preferirebbe la RESA del soggetto, e anzi la resistenza del proprio dipendente ad imboccare la strada della invalidità diventa il problema.
Quanto ai colleghi per il nostro protagonista si profila un situazione ancora peggiore perché costoro anziché atteggiarsi come chi è di fronte ad un coraggioso, un combattente che supera il proprio handicap e rende come un ottimo funzionario, anziché aiutarlo, lo trattano come uno che è colpevole di qualcosa e perciò viene rifiutato. In definitiva lo sfruttamento, di cui parla il titolo del libro, c’è ma soprattutto perché avviene in un’Italia che sfrutta e tratta male per puro pregiudizio.
Quindi la specificità del caso narrato è connessa al tipo di malattia, altrimenti si tratterebbe di uno dei tanti casi di mobbing che avvengono quotidianamente nel terziario. Qui infatti il datore, ovvero “La Banca” ne esce con una immagine cinica e disumanizzata che purtroppo è molto realistica. Un’immagine dove al banco degli imputati sta la retorica manageriale e le moderne tecniche di motivazione al lavoro basate sulla identificazione (di fatto obbligata) con l’organizzazione per la quale si lavora e con la condivisione, (altrettanto obbligatoria) della sua policy. Un microcosmo ideologico nel quale ogni giorno di più si opprime, e si deprime, il lavoratore. Tanto che il protagonista di questa storia “non è abituato a pensare a La Banca come ad un potenziale aggressore” e quindi rifiuta anche di accettare il carattere mobbistico della sua nuova situazione. Poi non si capisce come finisce ed è anche per questo che non è una storia nel senso tipico del termine, si intuisce solo che il protagonista dovrà in qualche modo rassegnarsi.
Il mobbing è un preciso comportamento giuridicamente definito di cui ha piena responsabilità il datore di lavoro. Ma in realtà è connesso alle dinamiche di gruppo, con le loro distorsioni e rischi di stress.
In questo raccontino Michela Murgia definisce il mobbing una “malattia telepatica”, ovvero “sentirsi malato del rifiuto altrui”. Mi piace molto. Si tratta di una definizione suggestiva che vale da sola la lettura del racconto.