diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
La Regione, in tempi di Spending Review, sapeva di poter
permettersi questi costosissimi impianti solo in un territorio nel quale gli imprenditori fossero disposti a donazioni remunerative, perciò sostenne varie poaratiche di autofinanziamento locale.
L’affare venne preparato con somma discrezione dal Padre Vescovile che seppe riportare alla fede il grande (nonché spregiudicato) imprenditore Delfo Marsolato ormai in fin di vita. I figli, che
erano di tutt’altra pasta, finanziavano infatti Scientology e il padre vescovile aveva capito che l’eredità sarebbe andata in “cattive mani”. Pertanto la discreta conversione fruttò qualche
milioncino di Euro che finirono in una fondazione per la ricerca sul cancro, il cui CdiA (composto di preti, suore e vecchie zitelle appartenenti a grandi famiglie industriali) adottò il progetto
“Atomi di Dio” per la salute e la redenzione della persona umana.
L’unità operativa di Medicina Nucleare venne pertanto localizzata presso la ASL della zona Est della ricca provincia pedemontana.
Il sindaco Armisi, noto alle cronache per il suo vivace spirito di iniziativa, presiedeva allora la Conferenza Pedemontana Consortile e sapeva che solo il rilancio dell’ospedale lo avrebbe rieletto al secondo turno, e sapeva anche che ogni finanziamento o ristrutturazione che giustificasse una prospettiva di rilancio del vecchio ospedale passava attraverso la disponibilità all’allocazione di un moderno reparto di Medicina Nucleare. Pertanto dedicò grande impegno, e umana passione, al progetto. Ma il suo piano, haimè si scontrava con quello di Simiani, sindaco uscente del comune limitrofo, che puntava alla propria candidatura come Consigliere regionale. A tale scopo il Simiani per finanziarsi la campagna elettorale aveva garantito, e già avviato senza tante “pastoie burocratiche”, la costruzione dell’inceneritore di salme.
Il punto è che, in vista di tale importante infrastruttura consortile, parecchi altri comuni limitrofi avevano ristrutturato le loro aree cimiteriali per le future dispersioni di ceneri, riducendo di conseguenza le superfici da riservare al sotterramento con notevole beneficio strategico, perché ciò permetteva di destinare maggior superfici alla costruzione di capannoni industriali. Insomma, per farla breve: l’arrivo della Medicina Nucleare avrebbe reso inutili le nuove aree di dispersione cimiteriale perché, notoriamente, le ceneri radioattive non potevano essere “ivi cosparse”.
Lo scontro politico fu molto duro. Gli amici di Armisi, mossi da umana passione, raccolsero nelle parrocchie oltre diecimila firme contro l’inceneritore (di salme) mentre l’ASL diffondeva bollettini che decantavano i successi della Medicina Nucleare con la benedizione del vescovo. Dall’altra parte i Comitati per la difesa della Salute raccolsero oltre diecimila firme nelle piazze dei mercati e nelle sagre paesane in nome di una petizione antinucleare (Medicina) sostenuta dall’ASSOCIAZIONE della INDUSTRIA ARTIGIANA. E questa galvanizzazione dell’interesse popolare rese impossibile, nel senso di elettoralmente inopportuno, ogni dialogo tra le parti. Successivamente, con l’approssimarsi delle elezioni il clima si fece infuocato e nelle scuole iniziò a prendere forma il comitato per la Salute e la Salvaguardia del Futuro che riscosse particolare successo nelle Medie Superiori. Il formicolante sommovimento andò avanti spontaneamente fintantoché, con l’adesione dei sindacati, non si determinò una fusione dei vari gruppi tale da portare alla nascita del Comitato NO Cimiteri ATomici e assunse rilevanza nazionale tale da determinare l’arrivo della troupe giornalistica del popolare programma “Chi l’ha chiesto?”.
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Dopo le elezioni, che videro sia la conferma di Armisi al secondo mandato, sia l’elezione di Simiani a Consigliere regionale, la situazione anziché calmarsi si aggravò a tal punto che, contrariamente alle previsioni del direttore del GIORNALE PEDEMONTANO, quotidiano provinciale a larga diffusione, la Commissione Prefettizia dichiarò lo stato di allerta ordine pubblico. I parroci cominciarono a tenere omelie domenicali che invitavano alla calma e alla preghiera mentre l’ala dura del movimento, i disobbedienti NO CAT, come risposta a tale “provocazione poliziesca” piantarono le tende davanti ai cimiteri, con sit-in di prodotti biologici e volantinaggi ai funerali.
A complicare la situazione poi sopraggiunse un evento particolarmente delicato in termini di ordine pubblico e destinato ad avere particolare rilevanza mediatica: il summit internazionale per la preparazione dei giochi paralimpici invernali. Tale evento era ben visto dalle amministrazioni e dalle categorie economiche altoplanari perché offriva l’opportunità di richiamare in zona investimenti nei settori dell’edilizia per disabili, dei servizi innovativi e del turismo sportivo. Insomma un appuntamento che l’economia locale, in crisi da globalizzazione, non poteva perdersi.
Con l’inizio del nuovo anno scolastico e la riapertura degli istituti la situazione passò quindi sotto il monitoraggio dei tecnici del Ministero degli Interni, assistiti da consulenti internazionali in rappresentanza dei paesi coinvolti nel meeting internazionale come Inghilterra, Qatar, Cina, Brasile, Israele ecc. accanto ai supervisori della UE. Il Ministero degli Interni nominò un commissario prefettizio scelto tra gli ex direttori generali della Protezione Civile, il quale iniziò col dichiarare illegale la pratica di campeggiare davanti alle chiese e quella di affiggere adesivi NO CAT sopra i campanelli di abitazioni private ed edifici pubblici. I sindaci dei comuni “simianisti” infatti, sostenuti anche dai sindacati dei dipendenti comunali, erano restii ad utilizzare i vigili urbani per far sgomberare i piazzali delle chiese e assumevano atteggiamenti di completa tolleranza nei confronti del movimento. Mentre l’unica associazione favorevole alle posizioni Armisiane era la Protezione Civile, appoggiata in parte dalla Croce Rossa locale.
Dopo i primi mesi di schermaglie propagandistiche il movimento NO CAT indisse una grande manifestazione “contro la repressione nucleare e per la salute del territorio cimiteriale pedemontano” fissata per il 2 novembre, giorno dei morti, che in quell’anno cadeva di sabato. Ad essa aderirono varie associazioni anche internazionali determinando forti apprensioni nel mondo politico e nella rete istituzionale. I parlamentari della provincia sottoscrissero un appello trasversale alla pacificazione “in nome della salute collettiva e del rispetto dei nostri morti” ma solo pochi giorni dopo il commissario prefettizio Cestelli dichiarò di avere informazioni attendibili da fonti di intelligence, secondo le quali elementi provocatori dell’area anarco-spiritualista stavano preparando attacchi terroristici dimostrativi contro obiettivi cimiteriali.
Venne predisposto un piano di mappatura dei cimiteri e delle tombe in cui erano avvenute tumulazioni di salme non cremate e relative a persone che in vita erano state oggetto di cure con trattamenti medico-nucleari. Seguì la creazione di un “Comitato di pacificazione” che fosse rappresentativo delle varie posizioni in campo. La Croce Rossa si fece promotrice di una proposta di legge di iniziativa popolare per la istituzione urgente di un “Registro nazionale delle salme e delle ceneri nuclearizzate” al fine di “prevenire la diffusione di fonti radioattive connesse con inopportune pratiche sanitarie e/o funerarie ” ma la proposta si arenò sul tema del divieto di tenuta in edifici privati non cimiteriali di ceneri radioattive e sul tema delle competenze giurisdizionali. Il Governo sollecitò pertanto, con grande urgenza, un pronunciamento del Garante della Privacy il quale, preso in esame il quesito con inusitata sollecitudine, dichiarò lesiva della privacy funeraria ogni misurazione post mortem dei parametri corporei “ivi compresi tests geiger counting” per la misurazione della radioattività di salme relative a persone che non avessero dichiarato in vita la disponibilità a tali esami post mortem. La questione veniva pertanto rimandata al tema del testamento biologico impantanandosi definitivamente.
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Il giorno della manifestazione arrivò inesorabilmente. Il prefetto Cestelli aveva più volte mandato segnali di pericolo terroristico e così avvenne. Alle quattro del mattino, in quattro cimiteri lontani dal percorso dei cortei, esplosero quattro salme. Un volantino di rivendicazione venne ritrovato alle 16 (ovvero le quattro p.m., acronimo, quest’ultimo, che gli esperti di intelligence decodificarono brillantemente nella allocuzione “Post Mortem”) nel fax della sede ANSA di Londra. Risultava spedito dalla sede ANSA di Bengasi e riportava dettagli sui cimiteri colpiti. In particolare venivano indicati, anche nella versione araba del volantino, il nome e la data delle cure medico-nucleari ricevute in vita dai defunti esplosi: Benedetta Scortegagna e Teresina Bedin, nata Scortegagna, Luigino (Gino) Campanella e Maraschin Pietro, detto anche, in bocciofila, Piero Moro. I nomi di queste quattro salme martirizzate fecero il giro del mondo, pronunciate nei modi più strani, ma sempre con grande senso di cordoglio nell’espressione delle annunciatrici televisive. Nella rete della TV araba Al Jazeera in particolare venne mostrata ripetutamente la foto mortuaria di Teresina Scortegagna che portava il velo.
Gravi e ripetuti furono gli episodi di violenza e devastazione. Squadre di Black Block NO NUKE dotati di una maschera facciale a forma di teschio piangente invasero i cimiteri di vari comuni montani filmando violenze indiscriminate sulle tombe e ci furono forti scontri nel cimitero del paese di Armisi davanti alla tomba di famiglia. I servizi d’ordine dei sindacati, coadiuvati dagli esperti del PACSOK, giunto in delegazione ufficiale per portare la solidarietà del popolo greco, anch’esso martoriato dalla nuclearizzazione sanitaria, fece comunque un buon lavoro salvando dalla furia devastatrice molti capannoni e molti negozi di artigianato locale. Già fin dalle prime ore della mattinata You tube riportava decine di clips relative ad episodi della manifestazione e molti di essi vennero sequestrati dal ministero degli Interni per studiare a scopo repressivo i volti dei manifestanti violenti. Nell’ operare tali sequestri il Governo si avvaleva delle norme stabilite dall’ International Standards Cleaning Network, in forza delle quali cliccando sul link sequestrato anzichè immagini postate appariva un messaggio Pubblicità Progresso plurilingue recante spot della campagna Rete Pulita. Il messaggio indicava poi i relativi estremi di legge e l’elenco delle sanzioni previste in caso di trasgressione. Ma la novità era i Cerchio Rosso.
Il cerchio rosso: nuova frontiera della partecipazione, digitale, alla delazione. Il servizio d’ordine del sindacato, i proprietari di negozi associati alla FEDERVETRINE e gli impiegati comunali vennero dotati di telefonini che mandavano automaticamente al server del Ministero dell’Interno ogni foto scattata. Il dispositivo fotografico di tali apparecchi era inoltre dotato della possibilità di cerchiare in rosso il volto desiderato. Una foto inviata senza cerchio rosso valeva 10 euro, con cerchio rosso 25 euro mentre con cerchio rosso indicante flagranza per un volto già noto agli archivi del ministero degli interni poteva arrivare ad un premio di 250 euro. I fondi destinati alla incentivazione della delazione elettronica provenivano dalla lotta antimafie.
Ma nonostante le sofisticate tecniche di prevenzione e repressione della lotta di piazza, la manifestazione antinucleare ebbe successo e dette al mondo un’immagine insicura e negativa della regione altoplanare pedemontana, la quale continuando di questo passo avrebbe pagato con il crollo del settore turistico le intemperanze di una lotta locale tra comuni, questione che, presa per sé stessa, non avrebbe meritato alcuna rilevanza globale. La prova di tale rischio venne dalla decisione del Comitato Internazionale Paralimpico di rinunciare al meeting previsto e spostarlo direttamente in Qatar, a Dubai nei lussuosi locali della famiglia reale.
Fu un colpo durissimo per le comunità locali. E alcuni sindaci, tra i quali addirittura uno al primo mandato, dettero le dimissioni. In pochi giorni il clima cambiò radicalmente raffreddando ogni animosità del popolo. Anche nei confronti dei banchetti biologici no global davanti ai cimiteri le persone comuni iniziarono a mostrare insofferenza. Soltanto alcune frange studentesche inneggiavano ancora al successo della lotta dopo la dichiarazione del direttore generale ASL il quale ammise in un’intervista al Giornale Pedemontano, di grande tiratura, di considerare l’ipotesi di chiusura del reparto Medicina Nucleare. Si diffuse invece un sentimento realistico secondo il quale in fin dei conti ciò che conta è la salute e che ci sia un lavoro per i figli. E una riunione di sindaci ed amministratori seguita da varie interviste giornalistiche locali, sancì la necessità di trovare una quadra alla vertenza. Per farla breve, la Medicina Nucleare restò attiva e l’inceneritore di salme venne realizzato con solerte perizia e opportuno coinvolgimento delle ditte locali.
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Rimaneva però il dettaglio tecnico della collocazione delle ceneri radioattive, problema per il quale una apposita commissione interministeriale, creata su sollecitazione del prefetto Cestelli col coinvolgimento del Ministero della Difesa e, ovviamente, dell’Interno, provvide a cercare soluzione.
Si rese noto l’esito del concorso di idee vinto dalla società HAL Gmbh, riconosciuta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, grazie alla quale la comunità locale disponeva del know how necessario alla progettazione e realizzazione di un bunker sotterraneo che sarebbe stato risolutivo di ogni problema. Una volta realizzato, tale innovativo cenotafio era in grado di ospitare, in condizioni sicure e solenni, migliaia di ash balls, piccole palle di piombo contenenti ceneri funerarie etichettate, mettendo così in grado la popolazione locale di soddisfare il fabbisogno di allocazione cineraria per vari secoli. Per la sua realizzazione si ricorse al criterio della bodies tax, una semplice tassa di scopo che avrebbe finanziato i costi mentre l’ubicazione venne decisa nella zona della Grande Guerra dove fu possibile sfruttare vecchie gallerie e camminamenti abbandonati ridando ad essi un nuovo senso alla sacralità del luogo. Il cenotafio monumentale venne inaugurato con una targa intestata alla memoria di Delfo Marsolato.
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La vita pacifica delle popolazioni pedemontano-altoplanari riprese il ritmo della propria storica pax laboriosa, e la Regione che sapeva, in tempi di Spending Review di non poter destinare grandi risorse alle economie locali, indicò nel modello Atomi di Dio l’esempio da seguire per curare i malati di cancro e, al tempo stesso, assicurare la pace del riposo eterno ai nostri morti e alle loro ceneri.