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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

STELLA MARIS ALMA, di Francesco Boschetto

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Con rinnovato moto d’animo il maestro del coro profuse un’intensa atmosfera di solennità al rito di intonazione e poi, nel perfetto silenzio del pubblico, dette l’attacco. Fu l’inizio della più profonda emozione musicale della sua carriera. E fu anche la fine della sua vita terrena. In quel canto infatti la materia sonora si fece soffio divino ed egli stesso divenne pura sostanza spirituale.

 

Il coro amava soprattutto le sacre polifonie tardo rinascimentali, senza peraltro disdegnare le incursioni della musica contemporanea, e si era formato via via nel corso degli anni per lenta selezione di voci e cantori sempre più appassionati, umili e sublimi curando la fusione, l’amicizia e l’armonia con mesta e solare dedizione. Il nome Aetherea Vocis era stato scelto nella piena consapevolezza del carattere assolutamente “cosmico”, nel senso di anti-caotico, del proprio afflato canoro e negli anni il maestro e il suo coro erano divenuti unità imprescindibile. Davanti ad un nuovo brano, mottetto, strambotto o villancico che fosse, nessun cantore mai avrebbe osato l’abbrivio senza il manifesto segno del maestro. Ogni semplice prova era un’esperienza di mistico convivio e talvolta ciò che avveniva dentro, nel profondo intimo di ciascun cantore, aveva del miracoloso perché nasceva, come un unico respiro, dall’ascolto di tutto l’insieme canoro.

Dal canto suo, il colto maestro sapeva bene di avere spiccata qualità musicale e quante volte, sempre con un pizzico di maliziosa consapevolezza, aveva alzato l’intonazione di un buon semitono per dare brillantezza e tensione al canto. Del resto questa era la sua peculiarità: direttore di coro di provata fama, esperienza e passione qual era, egli sapeva motivare lo spasmo del diaframma come nessun altro e sempre otteneva, - come ben vedremo - soprattutto nel settore soprano dell’arco corale, attacchi di sorprendente effetto timbrico. Alcuni maligni componenti della compagnia coristica, o forse semplicemente burloni, amavano attribuire tale abilità al suo malcelato richiamo istintivo verso il tenue sobbalzo del seno di una specifica cantante, ma si trattava più che altro di una scherzosa diceria senza storia. Sta di fatto comunque che, con particolare singolarità, ogni volta che l’attacco riusciva brillante lo sguardo concentrato del maestro volteggiava proditoriamente in quel punto, e solo in quel punto, per rimanervi quella magica frazione di secondo che gli offriva giusto il tempo di indicare l’attacco della seconda voce e procedere poi con eleganza nello sviluppo fugace del brano.

Nel mondo reale della coralità non basta la cultura. Per stare al passo è più utile un gospel, oltreché gli immancabili canti della tradizione montanara, piuttosto che il genere amato da Aetherea Vocis, pertanto nella programmazione degli eventi occorrevano mediazioni che il maestro non sapeva fare e ciò aveva fatto emergere il ruolo di alcune personalità più pragmatiche presenti tra i coristi. In particolare una soprano, Salima Favrit, figlia di immigrati egiziani della minoranza cristiano copta, di seconda generazione, nata in Italia alla fine degli anni settanta. Costei era stata eletta presidente per le sue caratteristiche fondamentali ovvero capacità organizzative, bon ton ed istruzione, fuse in uno charme originale che poco lasciava sperare ad ogni potenziale concorrente. A tali doti ella sapeva inoltre unire anche una voce alta, limpida e pura che lei stessa usava con modo ed estro sapienti. Il suo cognome era stato italianizzato come Favaretto e da qui, per effetto di una amichevole, e forse un tantino irrispettosa abbreviazione, derivava l’abitudine diffusa tra i coristi di chiamarla semplicemente Salima Fava. Dal canto suo anche il maestro, che si chiamava Enrico Maria Ravazzoni, veniva chiamato semplicemente Rava per brevità confidenziale, dando luogo all’allusiva espressione secondo la quale “il Rava e la Fava” comandavano il coro.

Ad alimentare il clima di amicizia e cordialità del coro con questa ed altre battute era in particolare un gruppetto di amici burloni, equamente distribuiti tra bassi e tenori, i quali traevano ispirazione dai più svariati episodi di vita corale nonché da nomignoli e caratteristiche dei vari personaggi. La Fava stessa era una fonte di ispirazione: quante volte a lei venivano dedicate mirabili filastrocche vernacolari che poi rimanevano più o meno segrete, sussurrate di bocca in bocca tra i beffardi compositori. Infine Salima la Fava aveva tra le sue preminenti caratteristiche, oltre, come vedremo, alla perfetta tornitura del seno gentile, uno straordinario sguardo magnetico che proiettava sul maestro, e peraltro non solo su di lui, un sentimento maternale ed ipnotico tale da catturare l’attenzione dell’intero coro fin dal suo primo apparire nella sala prove dell’auditorium. E quando appariva la sera del concerto, una longilinea e statuaria figura si stagliava mirabile nel tralucere della tunica velata. Insomma era la Donna eccelsa, concepita e voluta dalle più alte sfere celesti per indicare la perfezione al genere umano. Ma, haimè, a tale e tanta perfezione mancava però il dettaglio trionfale: all’attacco di ogni brano non v’era sobbalzo alcuno.  

 

Di tutto ciò, comprese le allusive battute su di lei e il maestro, lei era consapevole. E non si dava pace di esser vittima di un  paradosso che le mortificava l’ego: come era possibile che un corpo perfetto, scolpito nel pilates, con un seno di pitagoriche proporzioni controbilanciato da glutei di ginnica convessità, non sapesse generare quel magico fremito sussultorio che catturava l’anima dell’amato maestro? Eppure, haimè era proprio così…

Ah! maledette ore sulla pedana vibrante! Ah! Maledette diete personalizzate! Alla fine gli occhi del maestro volteggiavano lampeggianti sempre sull’altro seno, quello prosperoso e fin troppo prospiciente della sua vicina di voce, la soprano Stella Maria Gabrielli. Una signora più stagionata circa la quale, con tutto il rispetto amicale del caso, la Fava non poteva fare a meno di notare che costei si caratterizzava per una massa corporea ad limina extremitatis e si proponeva con una voce che era certo alta e potente, ma non flessuosa e penetrante come la sua.

 Che fare? S’era domandata più volte. Avrebbe tentato di tutto. All’inizio non capiva, aveva cercato di attribuire le cause ad aspetti canori o a differenti tecniche di vocalità. Aveva provato diversificati tipi di appoggio sul diaframma, aveva adottato procedimenti respiratori che rilassassero maggiormente le spalle nella speranza di lasciar più morbido l’apparato mammellare; aveva cercato, esercitandosi a casa, spinte sussultorie che premessero, seppur delicatamente, i muscoli pettorali al momento dell’attacco, ma sempre senza ottenere la minima inversione di tendenza nello sguardo del maestro. Alla fine, non senza aver consultato appositi libri e interrogato confidenziali personal trainers, maturò la convinzione che si trattava di una differenza… come dire, fisiologico razziale. Si fece strada nella sua mente infatti la consapevolezza che il seno della Gabrielli rispondeva al tipo europeo mediterraneo, come nei film neorealistici, mentre il suo rispondeva al tipo afro, camitico, come in Lola Darling di Spike lee. Inoltre le differenze tra loro andavano ricondotte a fattori non di volume ma di tumor mamilla cuspidis.  Cioè, in pratica, senza indulgere nel dettaglio sconveniente, i due tipi di capezzolo erano strutturalmente differenti e davano luogo a risposte che sotto il profilo morfologico erano diverse anche a fronte delle medesime sollecitazioni motorie. Come dire che anche ammettendo che Salima fosse mai riuscita ad ottenere lo stesso moto sussultorio nel seno e nello stesso momento della Gabrielli, ciò che realmente attirava lo sguardo del maestro sarebbe avvenuto solamente nel seno di quest’ultima. E tutto ciò nonostante si fosse verificata la medesima impostazione della voce, il medesimo appoggio sul diaframma e la medesima spinta toracica.

 

Accettare questa spiegazione fu per lei drammatico. Dovette scartare anche l’idea di una chirurgia plastica perché, secondo una rivista da lei consultata, lo stesso problema era stato in tal modo affrontato dalla nordamericana cantante rock, Tina Turner anni addietro, ottenendone si un effimero profilo estetico, ma pagando un alto prezzo in termini, ancorché economici, di sensibilità e morbidezza. Cioè proprio ciò che a lei serviva. Che fare quindi? Rinunciare a coltivare il desiderio per il maestro? No, avrebbe dovuto abbandonare il coro. Si sforzò di ignorare il problema, ma si rese conto che ciò sminuiva la sua tensione canora. In breve si rese conto che ne aveva fatta una vera e propria ossessione.

 

 *

 

Alla ventiseiesima edizione del Congresso Mondiale di Canto Corale partecipò anche il coro Aetherea Vocis. Grazie all’interessamento della Fava stessa, la quale seguì con sapiente dedizione l’intero iter di iscrizione, comunicazione del programma di sala, prenotazione dell’albergo ecc., l’organizzazione fu perfetta. Il viaggio in pullman fu allietato dall’ascolto delle migliori registrazioni dei concerti, ascolti di volta in volta commentati criticamente dal maestro e spesso applauditi dai coristi stessi. Uno scioccante scenario alpino accolse il festoso consesso in un sogno d’amicizia e assoluta musicalità. La manifestazione canora, finanziata direttamente dalla massima Autorità Musicale della Unione Europea, aveva un carattere esclusivo ed era articolata su più giornate con cicli di concerti di differente approccio tematico. Così la sezione dedicata alla coralità di montagna non impegnò il coro in quanto tale e una parte dei coristi poté dedicarsi a varia attività alternativa al canto: chi allo shopping, chi al turismo museale, mentre la parte non riluttante dei coristi poté dedicare la giornata all’ascolto di tale genere, compresa qualche esilarante esibizione riservata agli escursionisti, nonché ai cantori d’alta quota. Tra questi la nostra Fava ebbe un moto di emozione quando le venne chiesto di iscrivere anche la Gabrielli all’escursione sul ghiacciaio della montagna piatta (sic). Tenne però per sé tale intima soddisfazione.

Il destino però ebbe a manifestare la sua iperbole tragica nel terzo giorno della rassegna, quando, secondo programma, ebbe luogo l’incontro con la coralità israeliana, circostanza in previsione della quale era stato preparato il canto tradizionale ebraico Hava Nagila. Si trattava di eseguirlo non esattamente durante il concerto sul palco, ma durante i festeggiamenti amichevoli che intercorrevano tra i cori alla fine, durante i rinfreschi. La Gabrielli non avrebbe avuto un particolare ruolo in tale canto se non fosse che il giorno prima la giovane ragazza del coro che era stata inizialmente incaricata di danzare durante l’esecuzione, si fece male alla caviglia durante il ritorno dalla montagna piatta. Preso alle strette il maestro chiese alla Gabrielli di accompagnare con alcune mosse l’esecuzione e costei accettò di buon grado. Scenicamente fu la scelta giusta, ma nel cuore di Salima venne evocata la fine. L’audace scollatura adottata da Stella Maria per la serata ebbe notevole successo tra gli israeliani e portò in alto i toni. Al terzo bis il maestro stesso, esterrefatto per l’esaltante successo, al crescendo di uru akim belev sameah tralasciò platealmente la direzione inginocchiandosi e ritmando il battimano davanti al corpo della Stella danzatrice. Salima interpretò questo gesto come il segno della seduzione e lesse in quel battimano l’applauso al seno della sua rivale in amore. Pensieri di morte le avvolsero il cuore e la sua mente calcolatrice fu invasa di desiderio letale.

 

**

HaGiv’ah Belen Cruzah era originario di Haifa, città del nord di Israele affacciata sul mediterraneo. La sua famiglia era composta da ebrei sefarditi ed era cresciuto all’ombra del noto Stella Maris Monastery. Egli aveva potuto studiare per intercessione di strutture cristiane occidentali insediate presso il quartiere della ex colonia germanica e crescendo si era via via avvicinato ai circoli radicali della ultra sinistra israeliana. Alla morte per assassinio di Yitzak Rabin aveva fatto intimo giuramento di vendetta e nel successivo decennio aveva sviluppato un intenso, quanto segreto, training di affiliazione terroristica. Si trovava nelle alpi austriache in quanto componente del coro Open Voices from Israel, nel quale cantava con ruolo tenorile, ma in realtà partecipava clandestinamente ad una missione suicida. Il suo compito, per il quale era stato inserito sotto copertura da oltre un anno, era quello di seguire, spiare ed infine eliminare, un altro componente del coro, anch’egli esponente clandestino, ma del campo avverso. Oltre alle lingue arabo e inglese egli sapeva esprimersi in tedesco e aveva studiato latino. Ma ad attrarre la Fava in quella notte fu soprattutto un’altra caratteristica del giovane: il tratto nordafricano. Egli colpì la nostra soprano fin dal primo approccio, anche in senso fisico perché la urtò involontariamente mentre lei, incupita, si destreggiava tra un piatto di tramezzini e pasticci di baba ganush. Si presentarono come Belen e Salima, ma lui udendo il nome la guardò intensamente e la corresse: “Salimah”. Lei ne rimase profondamente turbata perché sentì per la prima volta riaffiorare, evocata da quella semplice correzione di accento e pronuncia, la vera natura delle sue origini. Nel volgere di una quindicina di minuti i due si trovavano all’esterno dell’edificio che ospitava il rinfresco e, nello scioccante scenario dell’Alpengluhen, ebbero la notte di Ehrengard proprio come solo Karen Blixen la seppe narrare nel suo intenso romanzo d’amore e seduzione.

 

Il giorno successivo assieme all’alba giunse la domenica dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Il culto locale era rivolto da secoli a questi ebrei che furono primi martiri del cristianesimo e veniva celebrato con processioni in costume caratterizzate dallo sfilare di ricche portantine con statue lignee. In quell’occasione il corpo degli Schutzen tirolesi sfilava armato dei fucili Mauser k98 caricati a salve e al di fuori delle chiese si diffondeva il canto Ein Tiroler wollte jagen. In piena aria di festa dalla cittadina austriaca nella quale si era tenuto l’incontro corale del kulturzentrum i vari cori si spostarono in Italia, raggiungendo con brevi tratti di pullman l’ampio piazzale di una ricca cittadina confinaria ove era prevista la premiazione finale. Durante questo viaggio in pullman arrivò la notizia che il coro aveva vinto il primo premio. Salimah lo annunciò dal microfono del pullman e si diffuse un clima di particolare gaiezza ed euforia. Il gruppetto burlone dei coristi vernacolari aveva uno strano atteggiamento sornione e pronunciava la parola pullman inserendovi una vocale così da trasformarla in “pullaman” o meglio: “pull a man” che, inteso in lingua inglese, significa tirare un uomo, evocando l’allusivo significato di “tirati addosso un uomo…, fatti un uomo”. Inizialmente Salima temette che fosse uno sfottò rivolto a lei a seguito di una malaugurata scoperta della sua avventura notturna, ma poi, esaminando mentalmente, battuta dopo battuta il significato maccheronico dei rozzi versi vernacolari che giravano si accorse che alludevano a un’altra coppia: “Sumens illud…“felix coeli porta”  …“Gabirelis ab ore”… Oh, cazzo!  - le sfuggì – la Gabrielli s’è fatto il maestro!

 

***

Raggiunsero il piazzale della premiazione. Un evento massivo che si aggiungeva alle processioni locali. I volontari del servizio civile che presidiavano i percorsi di assembramento, aiutati con professionale riserbo dagli addetti al servizio di sicurezza, si facevano consegnare pali, cartelli e aste portabandiera prima dell’entrata in piazzale al fine di evitare la circolazione di armi improprie. Anche il coro del maestro Rava giunse all’appuntamento e la bella notizia di essere destinatari del primo premio rese i coristi particolarmente trepidanti. Salimah era raggiante. Indossava ancora il collare di perle marine che  HaGiv’ah  Belen Cruzah le aveva donato a ricordo della notte di passione. Il collare, parzialmente velato dal foulard di seta che le avvolgeva le spalle, era un collier di perle e ninnoli colorati, di varia fattezza e dimensione, che ostentava al centro una argentea stella marina.   Perle marine, collare

Lei sapeva che all’interno di quell’aggeggio era stato riposto un sensore a radiofrequenza in grado di attivarsi captando, in una area ellittica di 25mt di lunghezza per 15mt larghezza, il suono di 440 Hz che viene emesso dal diapason. Una volta attivato, l’apparecchio emetteva un fascio di ultrasuoni che a sua volta innescava un apparecchio dinamitardo sottostante al palco delle autorità. E da quel momento rimanevano solo poche frazioni di secondo prima della soverchiante esplosione. A pochi metri dal palco delle autorità, politici e funzionari europei, nonché illustri organizzatori del Congresso Mondiale di canto Corale, stava HaGiv’ah Belen Cruzah spalla a spalla con l’uomo che doveva eliminare, Hamin Kranz-Bergen, capo clandestino di una organizzazione segreta per l’indipendentismo tirolese.

Quando furono davanti al palco cerimoniale Salimah Favaretto ricevette un messaggino di tono affettuoso al cellulare. Egli, stava scritto nel messaggio, l’avrebbe nuovamente messaggiata durante l’esibizione canora per immortalarla nel pantheon delle più belle donne del web sotto la scritta: “Ave Maris Stella, dei mater alma, felix coeli porta”. E lei rispose che sì, portava ancora quel magico collare e solamente lui avrebbe potuto toglierlo dal suo corpo quando si fossero visti ancora, in un ultimo incontro celeste. Ave o Maria, stella mattutina, madre dell’anima divina, dolce porta del cielo.

 

Lo speaker ufficiale nominò il vincitore e consegnò il relativo attestato al presidente e al direttore del coro, i quali si concessero ai fotografi e strinsero le mani delle autorità tra i vividi applausi della folla.

Infine, pochi muniti dopo, con rinnovato moto d’animo il maestro Rava profuse un’intensa atmosfera di solennità al rito di intonazione e quindi, nel perfetto silenzio del pubblico, dette l’attacco.  

 

 

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