Il Fatto Quotidiano e gli altri principali quotidiani nazionali di Lunedì 24 Marzo 2014 uscivano tra il clamore dei Tg di prima serata, con la notizia secondo la quale si sarebbero improvvisamente rese disponibili nuove verità sul caso Moro. Tale notizia, peraltro oggi già scomparsa anche dalle pagine interne, chiamava in causa i servizi segreti italiani come “doppio stato”, ovvero entità tali da agire per conto dello stato, ma contro la verità e la giustizia, manipolando anche i suoi apparati come Polizia e Magistratura.
Nelle pagine interne alcuni articoli di approfondimento, anche nei due tre giorni successivi, spiegavano che l’ex agente Enrico Rossi oggi in pensione sosteneva di aver di fatto partecipato all’agguato di via Fani essendo uno dei due passeggeri della moto Honda presente sulla scena della strage il 16 Marzo, di cui si ha riscontro negli atti parlamentari e giudiziari, ma ciò nonostante sempre ignorata nelle ricostruzioni ufficiali. Da tale moto Honda sarebbero anche partiti quella mattina stessa dei colpi di pistola alcuni dei quali avrebbero raggiunto il parabrezza di uno dei testimoni anch’egli agli atti.
Certo. I servizi segreti erano presenti, informati e guardinghi. Sapevano dove si trovava Moro durante la prigionia e non son per niente estranei alla sua uccisione. Ma il taglio inaspettato di questa notizia sta nelle precise affermazioni che la corredavano, secondo le quali “i servizi coprirono le Br in via Fani”. Tutto ciò scritto in prima pagina… Bene, prosegue il processo, peraltro lentissimo, di rivelazione della verità. Ma perché? Per amore della Giustizia? Si, anche per quello, ed è il caso a mio avviso di personaggi che si battono alla grande, come Imposimato, per ottenere la verità sugli anni di piombo, ma ci sono anche ragioni tattiche riconducibili alla attuale ragion di Stato.
La sciamo perdere le nomine. Oggigiorno per nominare un nuovo capo della Polizia occorrono almeno un paio d’anni di piani segretissimi e di ricatti e controricatti sui direttori di vari giornali e Tv; lasciamo perdere anche le perenni richieste dei familiari delle vittime: ci sono sempre gli intoccabili da proteggere. Inoltre Lunedì scorso c’era anche Obama in arrivo, e non era male ricordargli che c’è ancora qualche debito di verità da saldare.
Ma c’è soprattutto la nomina del prossimo segretario generale della NATO il quale potrebbe essere italiano. E prima che un italiano possa mettere le mani in qualche cassetto è bene iniziare a proteggere i segreti ancora sensibili. E la tecnica migliore per tenere segreta la verità è quella di circondarla di formidabili falsità credibili. Si tratta di false piste coi fiocchi ovviamente, capaci di attirare l’attenzione dei giornalisti investigativi per anni interi. E’ il DEPISTAGGIO.
Di questo tipico fenomeno della politica italiana se ne è occupata recentemente Benedetta Tobagi nel suo libro appena uscito sulla Strage di BRESCIA.
Tobagi parte dal quadro di Magritte, del 1927, che si trova al MoMa di New York: “L’assassino minacciato”.
Poi ci ricorda che è una parola tutta nostra, poco traducibile. In inglese può essere ricondotta a “misleading” il cui significato è similare, ma non ha alcun eco poliziesco. Insomma in Italia il depistaggio è un crimine, ma non è un reato.
Nel caso della strage analizzata nel libro esso comincia con il lavaggio di Piazza della Loggia, che impedì la raccolta delle tracce di esplosivo impedendone in tal maniera una sicura identificazione. Anche il tempo, la lunghezza dei processi, agisce come fattore di depistaggio. In questo caso il testimone don Gasparotti non fu più in grado dopo tanti anni di riconoscere il giovane terrorista che si nascose in chiesa bruciando l’alibi di Ferri che venne da Milano. Nel caso di Piazza Fontana l depistaggio fu la pista anarchica e Valpreda. Esso è spesso indimostrabile perché fatto di una serie di piccole omissioni, imprecisioni ecc.
Depistaggio a Peteano
Ma il depistaggio più efficace è stato quello messo a punto dal Generale dei carabinieri Alta Italia Palumbo nel caso della strage di Peteano avvenuta il 31 Maggio 1972. Fin dalla serata del funerale Palumbo nominò alla presenza di Rumor, il colonnello dei CC Dino Mingarelli, (già esperto in segreti di stato in quanto estensore del Piano Solo nel 1964). Così tagliò fuori i carabinieri di Udine che avrebbero avuto la competenza e la motivazione per fare indagini vere. Costui indirizzò le indagini verso una pista rossa e poi verso delinquenza comune, poi a Ottobre ricevette le informazioni fornite da Giovanni Ventura che già collaborava segretamente in carcere e indirizzavano nella giusta direzione, ma ovviamente non le usò. La strage sarebbe rimasta impunita se non fosse arrivato il pentimento “politico” di Vincenzo Vinciguerra. Costui dopo anni di militanza nella destra internazionale resosi conto della strumentalizzazione che veniva fatta sulla estrema destra (i CC non collaboravano con loro, fornendo gli esplosivi e i NASCO stay behind per la rivoluzione, ma per la stabilizzazione politica) iniziò una serie di rivelazioni che portarono la polizia giudiziaria a scoprire che i CC di Mingarelli avevano depistato alla grande giungendo al punto di nascondere le prove come i bossoli. E Mingarelli e il suo secondo, il capitano Chirico vennero condannati, ma era il 1987.
Altro uomo chiave di quel depistaggio fu Marco MORIN, esperto esplosivista militante di Ordine Nuovo già condannato nel 1966 per deposito d’armi illegale con Elio Massagrande e Marcello Soffiati. Costui viene incaricato della perizia sull’esplosivo trovandosi così di fatto ad indagare sui suoi vecchi camerati. Egli contaminò le prove col Semex-T, esplosivo cecoslovacco già trovato in possesso delle Br. Il contaminante lo trovò facilmente perché veniva da altre perizie.
Fu un’ottima intuizione, un depistaggio da artista perché in tal modo venne protetto il segreto dei segreti ovvero il tipo di esplosivo usato da Vinciguerra (sottratto da stay behind alla NATO e destinato agli ustascia) e al tempo stesso si depistò sui rossi scatenando la polizia addosso a loro.
La ricostruzione si trova nell'ultimo libro di Benedetta Tobagi.