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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

LiMes di Giugno: Brexit e il patto delle anglospie

LiMes di Giugno: Brexit e il patto delle anglospie

Gli scenari del dopo Brexit vengono esaminati dalla monografia di LiMes/Giugno 2016.

Bruno Rosa ci ricorda che il Leave ha un fondamento storico di un certo spessore. Richiama in proposito l’Anglicanesimo come distacco da Roma e la confisca dei beni ecclesiastici come precondizione per l’accumulazione originaria che permise la rivoluzione industriale; poi la costruzione dell’impero.

Ci ricorda anche che l’adesione del 1973 non è stata molto idealistica, ma alquanto strumentale: l’economia UK cadeva a pezzi e di fronte alla prospettiva di dover rivolgersi all’FMI col cappello in mano venne accettato l’ingresso (limitato) al mercato unico.

A suo giudizio la vera domanda da farsi per capire è: “da cosa stanno fuggendo gli inglesi” o meglio: è stata forse l’UE a cacciarli? E la risposta è che non è stato negato dagli inglesi il “sogno” europeo quanto piuttosto la sua realizzazione pratica.

L’UE è diventata un luogo di mediazione dove si recitano parti a soggetto non più credibili. Il latino spendaccione contrapposto al nordico virtuoso, lo smoke and mirror: grandi annunci al pubblico per fare esattamente il contrario ecc.

Le osservazioni di Rosa mi stimolano, lungo la sua linea di pensiero, le seguenti considerazioni.

Come reagire quindi? Se a questi ormai incorreggibili difetti si risponde con meno integrazione e rilancio degli stati nazione si tirerà a campare. Se invece si imbocca un cambio forte alternativo alla germanizzazione e al populismo, allora ci saranno maggiori margini per l’evoluzione del sogno europeo. Ad esempio? Decentralizzare la sovranità dello Stato (al contrario del suo rafforzamento per aver maggior forza contrattuale nella negoziazione dei margini di flessibilità) in due direzioni: verso l’alto e contemporaneamente verso il basso. Aggregare macroregioni transnazionali (Pirenei franco/spagnoli, Piemonte/Provenza, Alpe Adria ecc.) tralasciando l’illusoria prospettiva degli Stati Uniti d’Europa.

L’espressione Stati Uniti d’Europa è suggestiva perché rimanda agli USA, una esperienza istituzionale riuscita, ma non è applicabile alla nostra realtà continentale per via della storia che abbiamo. La storia ci divide, ogni metro dei nostri confini è il frutto di due millenni di aggregazioni e riaggregazioni spesso sanguinarie. I confini degli Stati nordamericani sono stati tracciati col righello, le vie di comunicazione sono state inventate scopiazzando dai nativi, ingannati e sterminati. Tutta un’altra storia.

Ora Brexit può cambiare le prospettive. Se ne occupa Germano Dottori nel suo articolo, ma con un approccio filo renziano: sfruttare Brexit per strappare maggiori margini ad UE. Tuttavia in questo articolo vi sono visioni interessanti. Per Dottori infatti l’Italia assume una nuova rilevanza soprattutto nel rapporto con gli Stati Uniti. “Gli americani – scrive Dottori – guarderanno a noi (Italiani) con rinnovato interesse per creare un contrappeso all’asse renano (Germania/Francia) di per sé poco allineato agli USA”. E così potremo essere in grado di “elaborare una relazione bilaterale con gli americani che soddisfi al massimo gli interessi reciproci.” (44)

In questa foga Dottori arriva ad auspicare (quasi) una presidenza Trump. Con Hillary infatti l’Italia godrebbe di minore libertà e la nostra “nota aspirazione alla distensione dei rapporti con la Russia” ne farebbe le spese.

In ogni caso però, ci ricorda più avanti Dario Fabbri, la pressione per le sanzioni antirusse calerà con l’uscita inglese e anche quella per l’approvazione del trattato di libero scambio transatlantico (TTIP).

Gian Paolo Caselli esamina invece i possibili mutamenti nei rapporti finanziari del dopo Brexit. Egli mette in evidenza come soprattutto con la Russia si aprano per quest’ultima opportunità geopolitiche prima inesistenti, ma anche problemi seri sul piano delle riserve valutarie. Al punto che per molti circoli russi “in caso di indebolimento economico UE i mercati europei potranno facilmente essere sostituiti da quelli asiatici, in particolare cinesi”. (63)

I testi proseguono quindi con analisi molto pessimistiche (tipo suicidio britannico) delle contraddizioni interne al Regno Unito (Scozia, City of London ecc.) fino a considerare addirittura pericolanti alcune pietre miliari come il Belfast Agreement del 1998. In esso, scrive Arianna Giovannini, si dà il diritto a chiunque “sia nato in Irlanda del Nord di scegliere liberamente se essere cittadino del Regno Unito, dell’Irlanda o di entrambi i paesi. Non è ancora chiaro se nel contesto post Brexit sarà possibile mantenere tale status, ma sembra improbabile che una persona possa essere al contempo cittadino Ue ed extra Ue”. (71) Inutile ricordare che ciò mette a rischio soluzioni a conflitti inter religiosi e intracomunitari molto pesanti, che si ritenevano ormai superati.

Infine si approda alla conclusione che la grande sconfitta è proprio la City perché crolla la competitività del distretto finanziario londinese col rischio di essere addirittura tagliata fuori dalla globalizzazione.

Direi che nel suo complesso questa prima analisi delle conseguenze del voto britannico tende verso un auspicio di rilancio europeista, verso una repubblica europea che superi gli stati nazionali.

E’ ovviamente una lettura stimolante e un intervento qualificato che si distingue nettamente dal clima nebbioso degli attuali commenti giornalistici.

Buona lettura.

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