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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

Nostra incantevole tragedia di via Fani

 

 

 

 

Tra gli abili narratori di regime c’è Pino Corrias. Costui scrive bene ed ha una qualità spiccata nella sterilizzazione delle notizie. Con lui ogni catastrofe diventa un fatto destinato ad un malinconico, ma tollerabile fatto della nostra cultura nazionale. Una delle tante sfighe che incorrono nel normale fatalismo della vita.

Egli dedica nel suo ultimo libro, freschissimo di stampa, una ventina di pagine al caso Moro. Si occupa di luoghi topici per la nostra cronaca e si sofferma a commentare la lapide dedicata ai caduti di via Fani. Quando l’ha scritto non sapeva evidentemente che la lapide è stata insozzata di scritte ignominiose a metà Febbraio ultimo scorso per cui coglie ciò che in essa non c’è ovvero il nome di Aldo Moro.

 

Il sedici Marzo Moro ha una camicia bianca che indosserà anche il giorno della sua morte lavata e stirata. Da chi, dalle Br? Barbara Balzerani, Adriana Faranda, Anna Laura Braghetti? O dalle suore di Marcincus? Certo qualcuno gliel’ha lavata. E poi stirata con amore, anche se magari non sapeva che era sua. Ma se lo sapeva il messaggio è chiaro: torna a casa pulito e stirato. E’ finita.

La Fiat 130 blu cha passa di lì ogni mattina è guidata da Ricci con Leonardi che sta con Moro da 20 anni ed è “uno di famiglia”. Viene sorpassata da una 128 guidata da Moretti. Si l’ingegner Moretti, quello che oggi lavora da 14 anni alla Regione Lombardia, quella di Maroni e Formigoni…

Ma chi c’è alla destra di Moretti, chi sta con lui? Chi è che smonta e fulmina Leonardi in un lampo?

La strage di via Fani è “un’azione analizzata nei 40 anni successivi in 5 processi, 23 sentenze, 3 commissioni parlamentari, centinaia di libri, migliaia di interrogatori, milioni di pagine, milioni di parole.” Scrive Corrias. Ma non sappiamo chi c’era. Forse un super tiratore americano, o uno dei super addestrati del Mossad. Mah! Comunque quello ha sparato 49 colpi da solo, su 92 totali a giudicare dai bossoli e dai buchi sulle carrozzerie… ed appare piuttosto improbabile che fosse Seghetti. E non era neanche Moretti stesso perché era impegnato a tenere il piede sul freno e la mano sul freno a mano per non la sciar spazio a Ricci, sulla Fiat 130, il quale a sua volta tentava di farsi largo tra le auto che lo bloccavano. A proposito, chi ha messo la Mini a parcheggio sulla destra, trovata geniale che si è rivelata logisticamente decisiva? Quello che è certo è che si tratta di un’auto riconducibile ai servizi segreti italiani. Lo ha scritto l’ultima commissione parlamentare. Vuoi vedere che l’on. Giuseppe Fioroni, medico, ex sindaco di Viterbo, ex ministro della Pubblica Istruzione, uomo di Prodi è passato coi complottisti?

E chi ha ucciso con fenomenale colpo di pistola l’agente Jozzino, il quale era nel sedile posteriore destro dell’Alfetta di scorta e fece in tempo a scendere, posizionarsi al centro della strada prendere la mira in posizione di tiro prima di venire abbattuto? Morucci ha scritto nel memoriale che fu Bonisoli, il cui mitra si era inceppato e aveva tirato fuori la sua pistola. Ma è più probabile che sia stato un supervisore dall’esterno del commando, uno dei tanti presenti sulla scena per aiutare le Br a non fallire. Infatti è questo il punto chiave del mistero irrisolto: chi c’era veramente in via Fani quel mattino?

Di sicuro c’era il colonnello Guglielmi, esperto addestratore di Gladio presente sul posto fin dalle otto, quando era andato a trovare un amico che abitava lì vicino perché era da costui stato invitato a pranzo. Ma guarda che caso.  Se c’era uno da mettere a supervisione in quel luogo, in quella mattina, ebbene era proprio lui.

Poi c’è la storia della motocicletta. Ci sono testimonianze, acquisite dalla Commissione Parlamentare, secondo cui quel mattino c’erano due uomini, dei quali uno armato, che tenevano a bada i passanti e che sarebbero, dopo aver sparato sul parabrezza di un passante in vespa, partiti di gran carriera nella stessa direzione dell’auto che conteneva Aldo Moro appena rapito.

Ma di tutte queste cose Pino Corrias non si occupa, perché sono complottismi e anzi scrive: “Nessun militante brigatista, nessun fiancheggiatore o killer pentito… ha mai rivelato doppie identità o fini ulteriori, remoti o differenti da quelli ciclostilati e diffusi…”   E poi:

“…il grosso ormai è noto e la sua semplicità è disarmante. Moro è stato sequestrato e ucciso dai brigatisti. E non ha niente a che vedere con le poderose macchine narrative – il superclan e la scuola Hiperion di Parigi, la CIA di Steve Pieczenik e l’agente russo nonché maestro d’orchestra Igor Markevic – che specialmente le commissioni parlamentari hanno messo in moto per aumentare a dismisura l’elenco dei colpevoli, dei complici e (certamente) attenuare il senso di colpa che sempre si intravede al fondo delle loro monumentali indagini.” (pg. 142)

 

 

Mah… o c’è o ci fa.

Se c’è bisogna spiegargli che l’intelligence esiste nella realtà e non nei romanzi. Ciò che esiste nei romanzi può essere rifiutato, basta un piccolo sforzo mentale. Ma ciò che fa l’intelligence nella realtà lo si può solo subire. Le polizie segrete esistono nella realtà, non nei romanzi. E sono fatte di infiltrati, di doppie identità ed, haimè, di vite false che possono solo essere negate. Non svelate. Se si vuole si può pensare che si tratti di pochi e rari casi. Casi lontani dalla nostra integra quotidianità, ma non è così. E’ una malattia degenerativa delle civiltà moderne, una metastasi difficile da diagnosticare proprio perché nascosta dalla falsa comunicazione. Una realtà ben nota alle moderne scienze sociali, diagnosticata dai vari Packard, Marcuse, Chomsky ecc. ma mistificata e derisa da un esercito di moderni giullari che ignorano ogni principio di obbiettività in nome di un polically correct meschino ed autocensorio. Penne e mezzibusti spesso inconsapevoli, ma a volte consapevolmente malevoli. Assassini della verità.

E se ci fa? Allora bisogna difendersi. Ed è quello che gli elettori stanno facendo. E’ proprio sulla coscienza e l’istinto democratico della gente comune che possiamo fare riferimento. Perché il cosiddetto popolo non è fatto di stupidi, non è fatto di casi disperati, casi umani di disgraziati come quelli caricaturizzati dalla cronaca allarmistica. Il popolo è fatto di persone, madri, padri figli che lavorano o che ogni giorno affrontano l’arte e la fatica di vivere. Persone che meritano rispetto e giustizia.  

Già, giustizia. Sapendo che, come dice Giovanni Moro, l’unica giustizia possibile è la verità.

 

 

 

 

 

 

 

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