diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Nel suo bel libro del 2006 “Elvis è vivo!” Massimo Polidoro, mente analitica e scrittore efficace, dedica il secondo capitolo a Luigi Tenco.
Ovviamente Polidoro non intende sostenere che Elvis sia vivo bensì indicare attraverso il titolo, che l'ggetto della sua analisi è la assai prolifica mitologia dei delitti rock. Egli si occupa, con scrupolo, di vari casi, io qui commento solo alcuni aspetti relativi alla ricostruzione del caso Tenco. Ritengo infatti che ci sia ancora molto da dire e che quella vicenda coinvolga responsabilità politiche e militari di alto livello.
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Nella ricostruzione polidoriana Luigi Tenco, in definitiva, è un personaggio malinconico perché nato sfortunato. Era un “bâtard”, cioè un “figlio del peccato” come si diceva ancora ai suoi tempi. Però ebbe la fortuna/sfortuna di attraversare il periodo ancestrale della rivoluzione giovanile, quel ’68 che non vide mai, ma seppe intuire e alimentare con le proprie canzoni.
Questo senso di anticipazione dei temi della contestazione giovanile si vede bene ad esempio a pg. 70, dove l’autore considera le novità che Tenco portava nella musica italiana e le indica soprattutto nei testi. E si rifà alle prime canzoni, anche meno note Se sapessi come fai, Una brava ragazza, per poi approdare a Mi sono innamorato di te, rilevandone gli aspetti testuali decisamente innovativi.
Ma è soprattutto in Cara maestra che emerge il contenuto contestatore perché il testo non è intimistico, ma schiettamente sociale. Perché a scuola si insegna che siamo tutti uguali, ma quando arriva il preside bisogna alzarsi in piedi , mentre quando arriva il bidello si rimane seduti? Perché il curato dice che la chiesa è la casa dei poveri ma la riveste d’oro e marmi colorati cosicché il povero non si sente affatto a casa sua? Ecc. ecc. sono temi che anticipano le critiche di Barbiana contenute in Lettera ad una professoressa. In quegli anni di nascente centro-sinistra (siamo nel ’60 – ’62) il socialista Tenco che era iscritto al PSI, iniziava a veicolare contenuti antagonistici e antiautoritari nei canali mediatici, direi che inseminava quella cultura giovanile che poi proprio attraverso le canzoni e i dischi, sarebbe esplosa nel movimento rock.
In queste pagine traspare una certa stima per l’opera di Tenco, una stima che condivido perché è vero che - almeno sullo scenario italiano – ancor’oggi quelle canzoni fanno scuola. O meglio, ancor oggi fanno scuola coloro che hanno imparato da quelle canzoni.
A pg. 71 si apprende che Tenco recitò in un film di Luciano Salce del ‘62, La Cuccagna. In tale film il personaggio – un giovane contestatore - assume un tono profetico laddove dice:”… moriremo protestando contro la società”. E già qui si prefigura lo schema a tesi con cui ragiona Polidoro: la fine di Tenco (come quella degli altri divi considerati) è già scritta nella sua biografia. In qualche modo era scritta fin dal suo concepimento visto che egli ebbe un rapporto conflittuale col vero padre e tendeva a replicare la sua colpa (aver avuto una storia con una donna sposata, desiderare la donna d’altri). Qui ruppe l’amicizia con Gino Paoli soffiandogli per un po’ Stefania Sandrelli.
Egli avrebbe anche dovuto interpretare il ruolo di protagonista ne “La Ragazza di Bube” di Luigi Comencini. Per questo ruolo era stato selezionato, ma gli fu preferito all’ultimo momento Gorge Chakiris, fresco del successo di West Side Story.
Poi, nelle pagine successive, si passa in rassegna la evoluzione etica di Tenco, lo svilupparsi di una concezione secondo la quale un artista moderno deve “passare sotto le forche caudine del successo” per diffondere il proprio messaggio; in pratica da una concezione dell’artista come poeta non integrato, personaggio alternativo, eroe romantico- emarginato, Tenco passa in queste pagine ad una accettazione del ruolo del divo mediatico, in cambio della potenza che i media gli offrono. Un disegno che vuole dare potere alla contestazione, alla critica , alla lotta di controcultura. Un disegno che caratterizzerebbe anche la storia artistica di Bob Dylan negli stessi anni e che Tenco stesso citò in un dibattito televisivo. (v. pgg. 78 e 79)
Al tempo stesso Polidoro ci informa della storia d’amore segreta che Tenco ebbe con “Valeria” nome di comodo per una persona ancor oggi misteriosa. Una donna sposata, forse più vecchia di lui. Questo per la verità non lo dice Polidoro, ma è ciò che credo di intuire leggendo i brani di lettera citati in quelle pagine. Valeria è importante perché potrebbe essere una delle chiavi della morte di Tenco, il quale appare sinceramente innamorato di lei e con lei avrebbe coltivato il sogno di una fuga d’amore segreta in America Latina subito dopo San Remo. Ma proprio Valeria avrebbe in quel periodo negato la fuga, distruggendo così il sogno d’amore e rompendo definitivamente la relazione. In questo caso la morte di Tenco sarebbe un suicidio da delusione amorosa.
Ma è troppo semplice. La ricostruzione della sua morte mostra infatti una situazione molto più complicata. Egli infatti in quel periodo stava reggendo una commedia divistica concordata con Dalida e con la RCA, una commedia finta, pianificata per i media che prevedeva anche l’annuncio in conferenza stampa del suo matrimonio con Dalida. E forse proprio a causa di tale commedia era andato rotto il rapporto con Valeria.
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Questo però è ancora il quadro di ricostruzioni già noto fin dagli anni ’80 con le ricostruzioni di Augias per Telefono Giallo. Le novità Polidoro le introduce quando chiama in causa gli esperimenti lisergici. La pg 81 in particolare, contiene passaggi rivelatori.
“In quel periodo, Luigi decise di sperimentare l’LSD, un allucinogeno che all’epoca era molto diffuso, soprattutto nei paesi anglosassoni, dove non era ancora fuorilegge.”…
“Tenco conosceva e leggeva i teorici del viaggio lisergico, da Henry Michaux a William S. Burroughs e si era informato presso un amico medico circa le precauzioni da adottare per non rischiare passi falsi. Fu l’unica droga di cui Tenco si servì, non fece mai uso di cocaina, che riteneva un “additivo” borghese, o di eroina od oppiacei, che considerava droghe degenerative e involutive.”
”Non riuscì a esercitare un analogo controllo critico sui farmaci cui ricorreva per vincere il terrore del pubblico, come la “metedrina”, ottenuta da un artigianale miscuglio composto da aspirina e Coca-Cola, e che aveva l’effetto stimolatore di un’amfetamina.
Più avanti Polidoro ci dice che la sera della morte Tenco assunse molto alcol (una bottiglia di grappa di pere) e del PRONOX, un sedativo. (pg. 92)
Queste poche frasi sul rapporto tra l’artista e le droghe nascondono alcune tracce lessicali che potrebbero rivelare uno scenario inquietante. Se Tenco “accettò di sperimentare” l’acido lisergico significa evidentemente che qualcuno glielo aveva proposto. Se Tenco “conosceva” e leggeva i teorici del viaggio lisergico significa potrebbe averli frequentati personalmente. Se si conosce la sua opinione su ogni tipo di droga significa che su questo era stato a suo tempo indagato e che da qualche parte probabilmente di queste ricerche esiste documentazione (es. un’anamnesi).
In pratica Tenco faceva parte di un gruppo internazionale di soggetti che a sua volta rientrava in un progetto per la sperimentazione segreta di allucinogeni sintetici, era sotto controllo medico e voleva uscirne. Ma non gli fu permesso perché si trattava di un segreto militare. In una prima fase venne controllato e manipolato per via sedativa, poi quando decise di giocare più pesante e il gioco si fece duro (Tenco si era armato) venne eliminato.
Il suo carattere di giocatore d’azzardo lo aveva indotto a cercare il gioco pesante e la sua del resto è la fine tipica di un giocatore che perde: un colpo di pistola alla tempia.