diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
L’attualità di questa festa è attenuata dalla situazione politica. Lo striminzito comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica ne è la prova lapalissiana. ( vedi ) Un Giorgio Napolitano più che mai preoccupato che Enrico Letta non ce la faccia, trasforma questo nostro 25 Aprile in un appello all’unità politica.
Tuttavia, nonostante quest’approccio morbido della massima carica dello Stato, i miei concittadini valdagnesi hanno celebrato alla grande la ricorrenza dedicandovi un qualificato concerto del Complesso Strumentale, e tributando i consueti ma sinceri onori al gonfalone cittadino e alla sua medaglia d’argento al valor MILITARE per l’attività partigiana.
Volendo poi ironizzare si potrebbe annotare che l’unità del popolo è stata ben richiamata in questa civica manifestazione, evocando “la luz de un rojo amanecer” (che equivale all’evocazione della rossa primavera socialista) grazie all’esecuzione del pezzo “El pueblo unido jamas serà vencido”. L’esecuzione, che ci ha così permesso un fattivo allineamento all’appello presidenziale, ci è stata donata con autentico candore dagli alunni dell’Istituto Complessivo di Valdagno.
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La festività si celebra dal 1946 e fu istituita nei giorni tumultuosi dell’anno precedente tramite decreto legislativo luogotenenziale. Tre giorni dopo la sua emanazione infatti insorsero Milano e Torino sotto l’appello del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e le armi partigiane catturarono ed eliminarono i gerarchi fascisti. In primis Benito Mussolini la cui salma fu anche fatta oggetto di un trattamento non molto edificante, mentre a Valdagno presso lo stadio gremito venivano fucilati i capi della Brigata Nera Tomasi, Andrighetto e Caovilla.
Quel precario decreto luogotenenziale venne infine recepito nell’ordinamento giuridico repubblicano nel 1949 con la Legge n.260 che si occupa di festività nazionali, definendo il 25 Aprile “Anniversario della Liberazione”.
Nel periodo della mia formazione politica, ovvero nel periodo prima studentesco e poi operaio, il termine Liberazione cui si riferisce il nome di questa festa ha sempre significato liberazione dal fascismo. Fu soprattutto la cultura politica degli anni settanta a dare questa connotazione, gli anni caratterizzati prima dal pericolo golpista, poi da quello terroristico. Oggi sappiamo che nella primavera del settanquattro, quando era in pieno dispiegamento la macchinazione golpista della Rosa dei Venti, per la quale venne poi condannato il colonnello Amos Spiazzi scomparso recentemente, ci fu un accordo tra il PCI di Berlinguer (nella persona di Ugo Pecchioli) e il potente ministro degli Interni Taviani, creatore di Gladio nonché esponente della linea Moro. Quell’accordo diede il via alla stagione del Compromesso Storico e consisteva in una cooperazione fattiva, quanto riservata, per la difesa delle istituzioni repubblicane nate dalla Resistenza. In quell’anno venne messa fuori legge l’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, venne perfezionato un nuovo sistema retributivo denominato scala mobile a punto unico uguale per tutti (che difese il potere d’acquisto dei salari operai per un buon decennio) e le Br rapirono il giudice Sossi inaugurando l’infelice stagione di attacco allo stato.
L’antifascismo di quel periodo era profondamente legato alla difesa, ma forse è meglio dire al lancio della Costituzione come punto di riferimento valoriale da trasmettere alla giovane generazione di allora. La mia. Devo dire che funzionò. E oggi è più che mai chiaro che ne valse la pena perché essa funziona ancora mettendoci al riparo da derive antidemocratiche.
Negli anni novanta e nel primo decennio del duemila sotto il vento populista della destra berlusconiana questo carattere antifascista del 25 Aprile venne sottoposto ad un tentativo di ridimensionamento, ma non passò. Non passò soprattutto dalle mie parti dove quel sentimento non è retorico, ma autentico perché tra il 1943 e il 1945 quelle sanguinarie divisioni attraversarono ogni famiglia.
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Tuttavia occorre correttamente richiamare l’altro significato, che è anche quello realmente istitutivo della festività, quello che fa del 25 Aprile la festa nazionale per la liberazione dall’invasore tedesco. Un significato che ha un sapore molto meno politico e molto più istituzionale, patriottico. Una mattina mi sono alzato ed ho trovato l’invasor… e il partigiano diventa quello che si batte per l’Italia del maresciallo Badoglio. Ma questo approccio va meno d’accordo con la memoria familiare. Quale invasore? Quello che ospitavamo cordialmente da più di tre anni nelle nostre stanze del Dopolavoro Marzotto? Quale invasore della Patria? quello al quale il capitano Ugo Alfieri, comandante del presidio militare di Valdagno si è arreso formalmente nel pomeriggio del 9 Ottobre 1943 consegnando alla LUFTWAFFE i locali della GIL maschile senza neanche spegnere il riscaldamento e la luce? Quale invasore tedesco, quello il cui comandante cenava già da tempo, più volte alla settimana a casa del Conte Marzotto e ivi continuò a cenare fintantoché i tempi non si fecero più duri verso la primavera del 1944?
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Non voglio inoltrarmi, non è giornata, ma penso che ci sia ancora qualcosa da chiarire nella nostra memoria di quel periodo. Quello che conta oggi è che Valdagno, la mia città medaglia d’argento della Resistenza, oggi ha festeggiato il 25 Aprile. Spero lo faccia anche i prossimi anni.