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diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni

ANONYMUS, film di Roland Emmerich

Essex.jpgNel 2011, dopo "Indipendence day", The day after tomorrow e 2012, Roland Emmerich ha presentato un film dedicato all' authorship debate sul corpus shakespeariano. E' un film tedesco (non so quanto gradito in terra inglese) che rinarra la storia di qeen Elizabet the virgin, (Vanessa Redgreave) reinterpretando, tra l’altro, la vicenda Ben Jonson. La visione di questo film mi stimola alcune considerazioni.

 

[ N.B. colui che desideri vedersi il film senza saperne prima i dettagli più emozionanti, rimandi la lettura del seguente testo. Esso non risparmia i dettagli che il film riserva solo alla parte finale. Colui il quale invece ami riflettere sulla narrazione e il suo significato ermeneutico prescindendo dalla ricerca delle emozioni affabularorie, lo legga prima. Capirà meglio dopo.]

 

 

                                                                          

 

 

                                                                               

                                                                                      *

 

L' "Anonymous" del titolo è Edward de Vere, vero, secondo il film, autore dell' opera shakespeariana, figlio della regina e padre di Southempton, il quale a sua volta è di costoro stessi, figlio incestuoso. C’è da chiedersi come mai tante energie, e tanti soldi, investiti su questo tema apparentemente accademico, o tutt’al più adatto ad un pubblico amante di trasmissioni tipo Voyager (peraltro spesso solleticanti).

 

C’è innanzitutto, a mio avviso, una ragione strategica globale. Essa risiede nella necessità ormai irrinviabile di far crollare, come le mura di Gerico, le vecchie compartimentazioni culturali. E ciò richiede un lento smantellamento delle vecchie narrazioni convenzionali. La globalizzazione, che in questa fase, dopo il ventennio dedicato al suo lato commerciale (WTO) punta alla costruzione di un  unico grande fratello orwelliano, ha bisogno non solo di una lingua, ma anche di una nuova narrazione unica. Ora, la possibilità realistica di arrivare a questo obiettivo in un periodo massimo di 10 – 15 anni è ancora lontana perché l’attuale narrazione unica (prevalentemente Hollywoodiana e rockettara) viaggia lenta a causa delle forti diversità culturali. E’ difficile parlare di darwin agli islamici perché ciò che su di lui è stato narrato in occidente da loro non è mai stato narrato, così come è difficile spiegare ad un occidentale che il Corano è un testo meno reazionario di quanto non lo siano gli Atti degli Apostoli, anzi non è affatto reazionario. Oppure è difficile spiegare ad un russo o ad un cinese che gli americani sono andati davvero sulla luna. E possiamo datare solo all’estate del 1967, con il concerto dei Beatles trasmesso in tutto il mondo via satellite, la data d’inizio della, ancor debole, attuale narrazione unica. Occorre quindi accelerare rafforzando il gran circo mediatico globale e dentro questo processo prende sempre più piede la tendenza a mettere in discussione alcune mitologie storiografiche sulle quali si reggono le teorie che legittimano l’oligarchia globale. In pratica, se vogliamo fare più in fretta occorre ammettere che il castello di carte false su cui si fonda l’identità stessa dell’Occidente non regge, e occorre ristrutturarlo per evitare che cada. I colpi più pericolosi infatti vengono soprattutto dalle culture coraniche, ma non mancano scricchiolii dovuti a tensioni interne.

 

Ma c’è anche una seconda motivazione che può spiegare la produzione di questo film ed è legata all’operazione in atto con gli accordi ACTA. Ovvero un trattato internazionale ancora non tutto chiaro su alcuni filoni importanti di quella complessa materia che riguarda i diritti di proprietà intellettuale. E’ un tavolo di elaborazione strategica sovranazionale molto poco trasparente - a differenza del WTO  e i suoi vari rounds - sul quale passa il futuro dei diritti d’autore. Ecco, questo film è uin’ottima fabula a sostegno di quel tavolo e della sua ragion d’essere.

 

**

 

Questa premessa mi serve a dire perché, a mio avviso, sta circolando un film come questo. Ma detto questo nulla va tolto al piacere di gustarselo. E’ un  po’ come le fiabe della mamma: quand’anche il bambino crescendo realizza che la mamma gliele racconta solo per addormentarlo, ciò non fa venir meno il piacere di ascoltarle.

Veniamo quindi al film. La sua realizzazione è stata affidata ad un super esperto di effetti speciali e globalità catastrofiche, per lo più tedesco, per quanto hollywoodianizzato. Ciò risponde alla necessità di offrire al moderno pubblico cinematografico, sempre più affamato di misteri e complotti, una nuova narrazione sgradita agli ambienti britannici, ancorchè oxfordiani, senza lasciarsi condizionare dalle buone maniere dell’understatement. E devo dire che ci riesce bene.

Nell’ultimo decennio di vita della regina Elisabetta I, come anche nei decenni successivi alla sua morte, il teatro assunse un ruolo sociale decisivo nella formazione del consenso popolare orientando la formazione delle opinioni e sviluppando la capacità stessa di mobilitare il popolo. Cronache dell’epoca parlano di periodi in cui 2000 persone ogni giorno riempivano le sale teatrali formandosi opinioni, umori e stati d’animo sulla situazione politica dell’Inghilterra sulla base delle commedie. Un’opera contro i francesci avrebbe sostenuto una guerra contro di essi, la denigrazione di un determinato personaggio politico avrebbe determinanto la sua caduta in disgrazia inducendo prima o poi la regina a sostituirlo. I testi del Bardo sembrano dotati di una particolare efficacia nel colpire l’umore delle masse e il loro eccitamento contro Robert Cecil, identificabile surretiziamente dalla gobba nel Riccardo III,  sarebbe stato una precisa variabile del piano ordito contro di lui e sventato sanguinosamente nel febbraio 1601. Il fatto è storico, la novità sta nel racconto della sua pianificazione che, da come viene narrata nel film, sarebbe stata concepita appunto dal vero Shakespeare. 

Nella iconografia ufficiale e nelle brochure turistiche Elisabetta I viene ancor oggi chiamata “the Virgin Qeen” lasciando stare, più o meno consapevolmente, il margine di ambiguità che questa espressione implica nel lessico cattolico. Ma Elisabetta I era tutt’altro che vergine, ci dice questo film, e come un po’ tutti i Tudor faceva dei gran pasticci nello scegliersi chi portare a letto.

 

Ma l’aspetto sessuale scandalistico, per quanto in questi anni sia innegabilmente un’arma molto usata e in taluni casi efficace (se non nel caso di Bill Clinton, certamente in quello dell’ex presidente israeliano Moshe Katzav, come in quello recente dell’ex direttore FMI Dominique Strauss-Kahn, senza escludere Berlusconi tanto per non porre limiti alla provvidenza…) non è quello principale nella strategia di attacco al mito della regina vergine, almeno quanto lo sia quello spettacolare legato a Shakespeare. Qui l’attacco è molto più duro e su di esso si poggia la forza eversiva del film.

Su questo aspetto più che quella del regista, a mio avviso occorre tirare in campo la bravura di John Orloff, lo sceneggiatore col quale Emmerich ha passato tre anni a progettare il film nelle sue evoluzioni geniali, e occorre anche adottare una chiave di lettura intrinseca al Potere, soprattutto nella sua declinazione dinastica. Il gruppo di personaggi manipolatori che determina gli eventi narrati in questa storia, infatti, non opera concordemente, anzi ognuno di loro fa per sé, ma il risultato è una “verità “ storica che tiene ancor oggi: l’invenzione di Shakespeare (il Bardo).

 

Shakespeare ha dato un grande lustro a quel secolo e alla letteratura mondiale, nonché alla lingua inglese oggi candidata alla globalità, ma in realtà in quanto autore teatrale non è neanche esistito, ci dice il film. Si è trattato di un alias inventato dai giochi di potere cortigiani. Il vero autore delle opere a lui attribuite era infatti Edward De Vere, il conte di Oxford. Non da solo peraltro, ma con il concorso di un più vasto ambiente complottardo.

 

SAC_wallpaper.jpgThe mistery. Riassumendo la tesi del film è che Shake-speare non è altro che il nome inventato dal conte di Oxford per firmare le sue commedie con un alias. Costui infatti non potrebbe rivelare di essere l’autore perché condizionato dalla famiglia di sua moglie, i Cecil, William prima, Robert dopo. Edward si serve di Ben Jonson (spelling dell’epoca) come sceneggiatore e a lui lascia i suoi manoscritti al momento della morte. Costui continuerà a diffonderli come opere sue mentre l’attore che si era spacciato per Shake-speare continuerà la sua vita a Stratford upon Avon come businessman senza più scrivere commedie, cosa che peraltro non aveva mai fatto ma che, per sorte e per perfidia, aveva spacciato, diventando un mito in vita e nei secoli.

 

Si tratta di una elaborazione della già nota Oxford theory of Shakespeare autorship ed è funzionale agli obiettivi perseguiti dal manifesto della Shakespeare Authorship Cohalition.

I manoscritti delle opere scespiriane non esistono. Esistono solo copie e su questo si basa la tesi secondo la quale buona parte delle opere scespiriane sono posdatate. In qualche caso esistono anche opere che dimostrerebbero la vera provenienza delle commedie di Shakespeare, come nel caso di Giulietta e Romeo. Essa sarebbe in realtà una trascrizione di una commedia scritta da Luigi Da Porto (Vicenza 1485 - 1529) e che narra un fatto accaduto più di due secoli prima, nel 1304. La prima edizione  venne stampata dal Bondoni a Venezia nel 1531 e fu la prima in ordine di tempo di più di trenta edizioni. Essa viene a ragione ritenuta l'originale. Ed è' rifacendosi a questa novella che William Shakespeare ha scritto la sua famosa tragedia Romeo and Juliet. Ma il film non parla di questo, esso è abbastanza sfumato e nebuloso sulle questioni filologiche. Più preciso è lo sceneggiatore Orloff nelle sue interviste di presentazione del film.

Evard De Vere è morto nel 1604, un anno dopo la regina, e secondo la storiografia ufficiale almeno altri dieci lavori teatrali attribuiti al Bardo sono stati scritti dopo. Ma non è vero, spiega Orloff nelle sue interviste, sia The Tempest (1610) che The Winter Tale risalgono in realtà al 1594; in altri casi, come per King Lear (1606) esiste la possibilità di confusione sul titolo dell’opera, ad esempio esitono prove storiche della rappresentazione di un “King Leir” già nel 1594 e occorre tener presente che lo spelling all’epoca era una tecnica molto imprecisa. In ogni caso la spiegazione della manipolazione delle date sarebbe legata alla volontà di Robert Cecil, figlio di William e come lui eminenza grigia dell’epoca, di cancellare il De Vere e favorire Ben Jonson.

 

***

 

La foto che fa da cartellone al film assume e propone il punto di vista di chi sta dietro a Shakespeare, come per dire che lo spettatore si troverà nella posizione di capire chi e cosa gli stia dietro; ma sarebbe stato meglio che sul cartellone ci fosse il logotipo dell’ANONYMOUS Flag Campaigne. Così lo spettatore avrebbe capito anche chi sta dietro alla produzione del Film.

 

Tutto questo e molto altro ci racconta questo film, fatto bene e recitato ancor meglio. Sono contento di averlo visto anche se la dimensione complottarda della trama è un po’ troppo farcita.

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