diario di lettura e scritture semiserie by Francesco Boschetto. Brevi recensioni
Accanto alle fondamenta delle Carampane (costruite secoli fa dai Rampani, da cui ca’rampane) a Venezia c’è il Ponte delle Tette. Il nome deriva proprio dai floridi seni, spesso illuminati da giochi di candela, che venivano esposti dalle prostitute per esercitare la loro professione nei termini stabiliti dai regolamenti di polizia raccolti nel Decreto del 16 Agosto 1644. Ce lo ricorda, e anche ce lo spiega bene, Stefano Sieni in un delizioso libro titolato Segreti d’Italia, pubblicato a Firenze da Le Lettere ancora nel 1997.
Questo fatto ci dimostra che l’associazione tra Venezia e le tette è un fatto storico, consolidato addirittura nella sua toponomastica. Non credo pertanto che la performance messa in atto giorni fa delle Femen durante il 70° festival del cinema sia destinata a suscitare particolari scandali, ciò nonostante meriterebbe un’attenzione maggiore. E’ sempre Sieni infatti a spiegarci che dietro la messinscena molto spettacolare delle “putane” secentesche c’era in realtà una ragion di stato. La parata delle tette conseguiva infatti ad una disposizione segreta del governo tesa a “riportare sulla retta via tanti uomini veneziani immersi fino al collo nel “vitio nefando” ovvero la pratica omosessuale della sodomia”. Il fenomeno all’epoca era infatti così diffuso da essere considerato un pericolo di destabilizzazione sociale. Ma dietro queste misure di sostegno alla prostituzione, per quanto discrete e sempre negate ufficialmente, c’erano gli obbettivi omofobi di una lotta secolare contro la sodomia. Ne parlano spesso i diarii di Marin Sanudo, capo dei servizi segreti di Venezia, il quale cita atti a lui precedenti, risalenti al 1418 quando la competenza relativa ai casi di “rapporti a tergo” fu assunta direttamente dal Consiglio dei dieci che creò al proprio interno una apposita commissione definita “collegio dei sodomiti” (sic). Tutti gli atti e le scritture di quei procedimenti venivano conservati in una “capsa” chiusa con “diveris clavibus” e aperta in casi eccezionali da una apposita commissione. Sieni poi prosegue narrando ampia casistica.
E’ una storia molto interessante, ma ciò che mi interessa cogliere in questo post è l’attualità del messaggio connesso con l’ostensione pubblica delle tette quale misura poliziesca di contrasto della omossessualità. E’ il problema di Putin infatti. Non si tratta di una sciocchezza soprattutto in queste ore in cui potrebbe prendere corpo un conflitto mondiale. Abbiamo visto che Obama sta subendo in questi mesi forti sconfitte diplomatiche dalla Russia e l’unico terreno sul quale sia in grado di contrattaccare sia quello dei diritti civili, connessi alla tematica gay/lesbians. Ebbene quali possono essere le contromisure russe per evitare un attacco sistematico e duraturo da parte dell’occidente sul terreno della omofobia? Se Putin insiste nella repressione palese finirà certamente per perdere difronte ad una opinione pubblica occidentale ove l’omosessualità è stata ormai definitivamente sdoganata anche dal Papa. Quindi si ritrova nella situazione in cui era Venezia nel quindicesimo secolo. Vigeva la legge che puniva la sodomia con “l’amputazione capitis et successiva combustione corporis” ma l’ufficio incaricato si ritrovava a gestire così tanti casi da avere non poche difficoltà economiche a sostenere le conseguenti spese di gestione. Varò quindi una legge che obbligava gli stessi condannati, nonché le loro famiglie, a compartecipare alle spese di decapitazione ed incenerimento, ma contemporaneamente adottò riservatamente misure che incentivavano una prostituzione femminile finalizzata al contrasto dei “rapporti a tergo”. E non così tanto per fare, ma impegnando risorse nel corso degli anni fino alla creazione di un quartiere specializzato, le Fondamenta delle tette appunto, che era l’equivalente di un moderno quartiere a luci rosse come quelli di Amburgo, Anversa ecc.
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Le Femen mostrano quindi le tette a Venezia al festival del cinema. Evidentemente l’organizzazione che le ha concepite, create e sostenute sin ora sta per essere annichilita e cerca un rilancio mediatico. Bisognerà fare un ragionamento su questa esperienza. In Tunisia è andata male perché è stata sputtanata dalla operazione Amina, in Vaticano è stata tenuta a bada dalle esorciste di strada e in Russia potrebbero servire adesso per la campagna anti gay. Stiamo a vedere. Ovviamente per non disturbare gli equilibri di potere che stanno dietro il megabusiness cinematografico, ieri a Venezia alle attrici di questo film, che viene comunque definito documentario, non è stato concesso il red carpet, bensì l’asfalto del parcheggio. Ma in ogni caso l’approdo veneziano dopo la recente performance all’ultimo G8, quello irlandese, indica una ricerca di spazio mediatico che prima non c’era. E pare sia stato trovato a Venezia nella categoria fuori concorso.
Ketty Green, un’australiana ventottenne, è il nome dell’autrice del film. Le auguro fortuna, ma spero che non sia ingenua: Ketty ci sei o ci fai? Leggo inoltre che il creatore del gruppo è uscito allo scoperto e, dopo la carcerazione, rilascia interviste per attenuare il carattere aggressivamente antimaschilista dei primi tempi. Buon lavoro quindi.
Noto infine che il trucco e la bellezza fotogenica delle attiviste si sono evolute. Se vogliono passare dall’iniziativa di strada al livello di campagna mediatica possono sempre chiedere la consulenza senile di Berlusconi il quale, con le sue televisioni, su questa partita ha già maturato una esperienza più che ventennale…