
La presentazione del film di Bellocchio Il Traditore, ha rilanciato l’interesse per la figura di Tommaso Buscetta. Ciò mi ha spinto a leggere questo libro di Pino Arlacchi nell’dizione di Chiarelettere che è uscita nel maggio 2019 la quale ripropone, con qualche leggero aggiornamento l’omonimo libro che con Rizzoli era uscito nel 1994.
Nel Luglio del 1993 infatti Arlacchi era stato autorizzato dalla commissione del Ministero dell’Interno a incontrare Buscetta con più incontri, al fine della redazione. Arlacchi, che è un importante studioso nonché vero e proprio esperto di fama mondiale, ha composto questo libro nei mesi successivi.
Buscetta è la figura più importante nella storia della Mafia siciliana e statunitense, altresì chiamata Cosa nostra e non si dichiara pentito, ma sostenitore di valori stravolti dai corleonesi emersi grazie all’arricchimento connesso con il traffico internazionale di stupefacenti.
Pg 128. Dopo aver raccontato varie fasi precedenti della sua vita in Sicilia, in Brasile e in Argentina Buscetta, che nel libro, pur scritto da Arlacchi, narra in prima persona, inizia il racconto della GUERRA DI MAFIA 1962-63
Il 26 Dicembre 1962 due fucilate uccisero il membro della Commissione Calcedonio Di Pisa mentre usciva da una rivendita di tabacchi gestita dal capo della sua famiglia, la famiglia della Noce. Si trattava di un conflitto concepito in ambito mafioso che aveva lo scopo di scatenare una guerra di mafia tra componenti della Commissione. Era stato gestito in modo da far ricadere le colpe anche su Buscetta che ne era estraneo ma rischiò la condanna a morte. La guerra produsse altri omicidi ed esplosioni fino alla strage di Ciaculli del 30 Giugno 1963 con sette morti tra le forze dell’ordine. A questo punto la polizia fece “quello che non aveva mai fatto” riuscendo ad arrestare tutti i principali esponenti di Cosa Nostra e porre fine al confitto che aveva visto “una Commissione ingenua e sprovveduta contro una agguerrita setta di prevaricatori subdoli e fraudolenti”. Buscetta fugge in Messico e Totò Greco in Venezuela. Badalamenti rimane latitante a Palermo.
La Commissione fu smantellata dalla Polizia e sciolta dalla stessa Mafia per essere poi ricostruita solo nel 1970 dopo la conclusione del processo di Catanzaro con la costituzione del triumvirato Badalamenti, Liggio e Bontade. Al processo di Catanzaro Buscetta venne condannato a tre anni di carcere per associazione a delinquere. Durante la carcerazione venne raggiunto dall’inchiesta USA
Luky Luciano creò negli anni trenta la Commissione in America. Egli utilizzò per la prima volta nella storia della mafia anche irlandesi e neri.
Il 28 giugno 1971 Joe Colombo, che stava al vertice di una delle cinque famiglie di NEW YORK ma aveva fondato un movimento per i diritti civili degli immigrati italiani, venne eliminato in un attentato che era stato – secondo Buscetta – preparato e gestito dalla stessa famiglia di appartenenza. Fu Joe CREZY Gallo, uomo d’onore che voleva prendergli il posto. Il movimento sosteneva che gli italoamericani erano discriminati a causa della etichetta di mafiosi e chiedeva l’abolizione della parola mafia perché offensiva.
Colombo venne sparato in piazza durate una manifestazione dal nero Jerome Johson il quale venne ucciso a sua volta poco dopo affinché non potesse parlare. Nota che Wyky pedya dice che a crivellarlo di colpi furono i suoi figli.
Manuel Lopez CADENA era un terrorista rosso ricercato sia in Messico che negli Stati Uniti. Era lo stesso nome falso usato da Buscetta sia in Messico che in Canada che negli USA, egli venne perciò interrogato per verificare l’omonimia e rilasciata. Ma in tale circostanza gli vennero prese le impronte digitali e più tardi vennero confrontate con quelle del passaporto argentino degli anni cinquanta dove aveva in suo nome vero. (se il passaporto glielo aveva dato Vera Girotti {figlia di Massimo?] è per questo che è stata fatta sparire?) Tale identificazione mise l’ufficio immigrazione alle calcagna fino all’arresto, ma egli partì per l’Italia in tempo. E si fermò a Monaco dove partecipò ad una prima riunione preparatoria del golpe Borghese.
Il 17 Giugno del 1970 a Milano ove si tenevano riunioni preparatorie vennero fermati nella stessa auto Greco, Riina, Badalamenti, Caderone, Alberti e Buscetta per un controllo. Tutti con falso nome; quello di don Masino era:
Sul fallito golpe Masino dice che il gruppo di Borghese era “un’Armata Brancaleone di invasati e mitomani che non avevano la minima idea di come si doveva trattare con noi”. Le contropartite richieste dalla Mafia erano le revisioni dei processi. Egli inoltre sostiene che il fallimento è dovuto al fatto che c’erano i Russi nel mediterraneo e che pertanto “il golpe, nonostante gli Stati Uniti fossero d’accordo era stato impedito dalla presenza della flotta sovietica nel mediterraneo”. Durante l’estate egli tornò a New York dove venne rintracciato ed arrestato per ingresso clandestino. Sul ponte di Brooklin.
Un’altra rivelazione mostruosa, sempre a pagina 177, riguarda invece il golpe del 1974. Durante la sua carcerazione all’Ucciardone il direttore Giovanni Di Cesare assieme ad un oculista massone gli diedero la notizia che ci sarebbe stato un golpe e che lui avrebbe dovuto tenersi preparato perché al momento giusto un brigadiere dell’ufficio matricola lo avrebbe aiutato ad infilarsi in un passaggio segreto che conduceva alla casa del direttor stesso per poi essere liberato. Significa che c’era stato un accordo tra massoneria e Cosa Nostra anche per quel secondo golpe e che la liberazione di alcuni mafiosi come lui era una delle contropartite concordate in cambio dell’appoggio.
Nel giugno 1971 lascia la pizzeria di Manhattan a i figli e torna in Brasile con passaporto falso. Cambia nome in Tommaso Roberto Felice, frequenta l’ambiente del presidente Goulart e sposa la figlia del suo sostenitore avvocato Homero Guimaraes. C’è il golpe ed egli con tutta la famiglia viene arrestato. Torturato e rimandato a casa in Italia dove viene riarrestato il 3 dicembre 1972. Qui viene raggiunto dal mandato USA conseguente alle dichiarazioni (retroattive) di traffico droga rilasciate da Giuseppe Catania. Fu portato all’Ucciardone da Bruno Contrada. In aereo avviene un interrogatorio informale di Contrada, voleva sapere cosa aveva detto ai brasiliani. (Contrada paga il maltrattamento di Buscetta?)
Lascia il carcere nel 1980 dopo aver maturato intimamente l’idea di smettere con Cosa Nostra e dedicare il giusto riconoscimento e amore alla terza moglie, la brasiliana di buona famiglia Cristina (Guimaraes).
Moro Dalla Chiesa ANDREOTTI.
Ottobre 1977 trasferimento nel carcere di Cuneo per ordine di Dalla Chiesa. Quello era un carcere speciale che il generale controllava totalmente. Buscetta era l’unico detenuto mafioso in un carcere di terroristi. Egli per carattere e formazione nutriva avversione per i terroristi e non gradiva le manifestazioni. Li considerava uomini pieni di parole che di piani che si rivelavano castelli in aria.
Il giorno del rapimento Moro Buscetta si trovava a Cuneo in cella con Francis Turatello (che non era uomo d’onore). Successivamente ricevette per via famigliare un messaggio di Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo che lo incaricava di aprire una trattativa con le Brigate Rosse per la liberazione di Aldo Moro. Egli colse l’occasione per chiedere (alla mala che lo contattava, tale Ugo Bossi) di fare in modo di venirev trasferito a Torno dove c’erano detenuti che contavano. Fu invece trasferito a Milano per venti giorni in cella con Tonino Lacanale, detenuto comune abruzzese. Questa permanenza non risulta registrata sulle sue schede né agli atti del maxiprocesso. Ritornò a Cuneo in Giugno, un mese dopo la morte di Moro. Durante quel periodo egli ebbe la possibilità di consultare delle trascrizioni di telefonate tra sua moglie e Ugo Bossi e tra quest’ultimo e Vitalone. In una di queste Vitalone diceva esplicitamente a Bossi che da parte degli incaricati non c’era in realtà alcuna reale volontà di liberare Moro.
Questa nota di Buscetta lascia intuire che durante il rapimento i servizi segreti crearono false piste di trattativa per poter farle fallire a piacimento. Pg 210
1979 Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontade, era massone e amico di Sindona. Tramite lui avvenne un incontro Sindona/Bontade nel quale Sindona chiese appoggio per un colpo di Stato in Italia. Bontade rifiutò.
Nel 1979, mentre era ancora in carcere egli venne nuovamente incaricato da Bontade di trattare un’offerta alle Brigate Rosse. Si trattava di uccidere il generale Dalla Chiesa da parte della Mafia e lasciarlo rivendicare dai brigatsti. Siamo tre anni prima della morte di Dalla Chiesa e lo stesso Buscetta non sa perché ciò dovette avvenire, ma egli, “fedele alla tacita consegna di ogni buon mafioso” contattò Lauro Azzolini durante l’ora d’aria, il quale disse che sarebbe stato possibile che le BR rivendicassero l’uccisione solo se co fosse stata la loro partecipazione al fatto. Ma Cosa Nostra non contemplava la cooperazione di terroristi e il progetto venne accantonato.
Qui Buscetta spiega che successivamente gli venne spiegato da Badalamenti e Bontade che Dalla Chiesa avrebbe dovuto essere eliminato perché era venuto a conoscenza del segreto relativo all’esistenza di una ENTITA’ rimasta sconosciuta sotto il profilo giudiziario fino all’anno successivo la strage di Capaci (che avviene nel 1992). E qui a pg 214 il libro dice esplicitamente che tale entità è Giulio Andreotti.
Pecorelli venne ucciso da Bontade (e non si capisce se c’era anche Badalamenti) senza informare la commissione perché il delitto non avveniva in territorio siciliano. Venne tagliato fuori Pippo Calò, che operava a Roma, perché all’epoca Bontade disponeva di una decina in grado di effettuare qualsiasi omicidio nella capitale. Le motivazioni sono le stesse di Dalla Chiesa, egli stava venendo in possesso di documenti e informazioni in grado di creare grandi problemi ad Andreotti. (218)
Buscetta è morto di cancro, da uomo libero, il 2 Aprile 2000.
Totò Riina è morto di malattia, da carcerato ergastolano. Il 17 Novembre 2017.