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Nel 2013, al tempo in cui ad accorgersi di ciò che stava succedendo in preparazione di WW3 era solo Giulietto Chiesa, il filosofo e politologo francese Alain De Benoist, intervistava ed intratteneva scambi culturali con l’intellettuale russo oggi noto impropriamente alla opinione pubblica occidentale come “ideologo di Putin” Alexander Dugin.
Da tali contatti e conversazioni è uscito un libro che oggi si trova solo nelle biblioteche civiche o in casa di qualche specialista, che porta il titolo EURASIA, VLADIMIR PUTIN E LA GRANDE POLITICA. Edito in Italia da Controcorrente nel 2014. In esso di fatto gli autori sono due, l’intervistatore e l’intervistato.
Il primo autore è appunto Alain de Benoist, esponente della Nouvelle Droite, ma soprattutto sviluppatore di un nuovo pensiero politico assolutamente indipendente da nostalgie e schieramenti. Esso infatti esprime netta critica alla Globalizzazione e ai modelli di democrazia liberale occidentale offrendo una visione positiva del fattore identitario / culturale delle piccole patrie. Detto così può sembrare astruso ma in realtà si tratta di un modello di pensiero piuttosto libero ed innovativo; un modello che può anche considerarsi in contiguità con Gramsci nel suo concetto di egemonia e visione nazional popolare.
Lo si capta molto bene fin dallo sguardo panoramico della cultura russa che De Bemoist ci offre nella introduzione del libro. Il rapporto tra i due risale ancora al giugno ’90 quando era ancora in piedi, seppur traballante, l’URSS. A quell’epoca idee riconducibili alla visione nazionalistico/ destrofila presenti nella cultura russa erano già presenti, anche se distorte dalla lente dei “maniaci dell’anticomunismo” (pg 15). Ad esempio si utilizzava l’espressione “Nazional-bolscevismo russo” per descrivere tali correnti di pensiero. Ma sul mercato editoriale francese esistevano già saggi ed articoli attendibili sulla materia. Tra questi l’articolo dello stesso Alaine de Benoist “Une révélation: la Novelle Droite… russe” che permetteva di comprendere meglio la natura di certe lotte di potere interne all’Unione Sovietica dell’epoca. Successivamente i viaggi e i reciproci scambi di inviti a conferenze hanno permesso di assistere ai profondi cambiamenti e sofferenze della società russa nel periodo di Boris Eltsin fino all’elezione di Putin alla presidenza della Federazine Russa del 7 Maggio 2000. E qui comincia la conversazione con Dugin e in proposito De Benoist ci preavvisa che: “ Ciò che forse colpirà maggiormente il lettore di questo libro è la profonda originalità delle idee eurasiatiste che su certi punti confermano nozioni o riflessioni che possono esserci familiari, ma su molti altri fanno appello a schemi che ci sembrano inediti perché si fondano su problematiche cui non siamo abituati.”
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Il secondo autore è Alexander Dugin: un poliglotta che conosce molte lingue occidentali tra le quali l’Italiano come abbiamo avuto modo di sentire in alcune recenti interviste televisive. Egli espone risposta dopo risposta il proprio pensiero “vasto e organizzato” senza retorica e magniloquenza con particolare riferimento al movimento euroasiatico o eurasiatista (in russo evrazijstvo). Il suo pensiero utilizza coppie oppositive quali POTENZA TALASSOCRATICA E TELLURICA, (Schmitt, Hausofer, Macknder) e Tradizoine/modermita’ (Guenon, Evola).
Politica
Dugin propone una Nuova Sintesi. Ovvero una confluenza della critica antiliberale di destra e di sinistra per trarne “l’essenza metafisica”. Egli spazia da Carl Schmitt a Evola e Guenon per approdare ad una solida visione geopolitica che si oppone al disegno imperiale statunitense. Egli vede nell’atlantismo la principale minaccia e vi contrappone appunto un’azione militante nel movimento euroasiatista.
Nello spazio post-sovietico potrà svilupparsi un impero democratico, una federazione continentale. La sua concezione ruota attorno ad una serie di termini come Impero, Grandi Spazi, Demotia ecc. dei quali disponiamo con questa lunga intervista che, non dimentichiamo, è il risultato di domande poste ad un pensatore russo da un politologo francese, il quale ne ha tradotto le risposte in un testo successivamente tradotto in italiano da Giuseppe Giaccio.
Impero. Storicamente gi imperi hanno preceduto gli Stati-Nazione e ritornano quando il ciclo della modernità si compie. Trai due modelli vi sono fondamentali differenze: mentre iI modello imperiale tende a preservare le enclave etniche, culturali, linguistiche e religiose, gli Stati Nazione tendono ad una società civile amministrativamente e culturalmente omogenea. In essi prevale l’idea di frontiere “eterne” definite da accordi internazionali mentre l’impero ha una concezione espansiva delle proprie frontiere. La stessa URSS si era di fatto conformata a questo modello concependo come propria missione il comunismo planetario e gli stessi tratti si ritrovano anche nell’attuale impero americano in termini “neo-cartaginesi”.
Nel caso americano Dugin rinvia a due visioni: quella dei neoconservatori come Kagan il quale parla di benevolent empire e quella globalista post-gauchsta di Toni Negri e Michael Hardt che vede la stessa cosa ma in prospettiva critica.
Possiamo quindi vedere la geopolitica dell’impero nelle sue tre varianti: quella premoderna (religiosità ed espansionismo), quella del contesto moderno (messianismo modernista) e quella postmoderna (mescolanza contraddittoria di differenti valori e idee). La storia della Russia le presenta tutte e tre (dall’impero mongolo e bizantino fino all’impero ideologico dei soviet) ma bisogna ora costruire la nuova forma, quella dell’ impero eurasiatista. Una forma capace di unificare nella Tradizione sacra il grande spazio euroasiatico ispirandosi ai principi tradizionalisti di Julius Evola e Réné Guénon sulla scia di Gengis Khan e dei Romanov che posero sotto controllo russo popoli e terre del Caucaso, della Siberia e dell’est europa senza russificarle. Tutto ciò in un quadro che si ispira alla nozione di sussidiarietà e idee di federalismo per compensare la centralizzazione in una democrazia organica, partecipativa e diretta. (pg 89)
Demotia. Egli parte dal presupposto che la democrazia rappresentativa non è che una forma di manipolazione del popolo da parte delle elites. (105) E qui il riferimento è a Vilfredo Pareto. Il termine Demotia va inteso come “del popolo” ma nel libro (ad esempio pg 34) il concetto viene espresso in termini più complessi:” Invece della democrazia liberale deve essere instaurata la Demotia, ossia un regime che permetta al popolo di partecipare al suo destino, invece di essere semplicemente rappresentato, come accade nelle democrazie occidentali.” La Demotia è quindi una “democrazia organica” in quanto “fondata sulla nozione di partecipazione di tutti i membri di un popolo al suo destino”. (de Benoist pg 104)
Un altro riferimento è al politologo tedesco del secolo sorso Carl Schmitt e rinvia alla necessità di superare l’opposizione di Terra e Mare. Una contrapposizione che storicamente ha prodotto la ostilità degli stati anglosassoni verso l’Europa continentale e la Russia per poi culminare nello scontro ideologico della guerra fredda. (Pg 84 mare e terra di Carl SCHMITT)
Economia. Sul piano economico, posto che liberalismo e marxismo sono fonti di ispirazione tra le altre e non dogmi obbligatori, Dugin propende per “un modello misto in cui le economie che si evolvono ad un ritmo differente possano, in funzione delle tradizioni locali, combinare il mercato con altre forme di artigianato, cooperative, socialismo o solidarismo”.
Eurasiatismo. I primi eurasiatisti interpretavano la rivoluzione bolscevica del 1917 come una conseguenza della politica di occidentalizzazione della Russia intrapresa dai Romanov. Ma il materialismo economico è estraneo all’anima russa e “il marxismo in Russia era solo un elemento del tutto artificiale”. Con la caduta del sistema è ripresa la dialettica tra la visione occidentalista e quella, più radicata storicamente, identitaria di rivoluzione conservatrice. Con tale accezione va inteso il superamento della concezione storicamente passiva ed inerte dell’oriente come antitesi dell’Occidente, occorre una nuova visione identitaria delle tradizione, una pulsione attiva. Il periodo sovietico ha rappresentato una tappa legittima della storia nazionale russa e non una aberrazione o un complotto straniero (pg 68) ma una scelta storica del popolo. E oggi il liberalismo e l’atlantismo vanno esclusi a priori perché estranei all’identità.
Il pensiero eurasiatista ha sempre avuto una dimensione internazionale ed alimentato una azione dei popoli contro il pericolo della occidentalizzazione… e qui si arriva ad un apice di ipertensione:” Coloro che vorrebbero che la Russia divenisse un paese come gli altri o non hanno davvero capito niente o vogliono semplicemente la nostra scomparsa. Noi non siamo mai stati normali e non lo saremo mai. O la Russia sarà grande , unica, radiosa, assoluta, paradossale, misteriosa, salvatrice, o sparirà.” (pgg 68-69)
Tradizione. Dugin ha scritto il libro “La metafisica della Buna Novella” per mettere a confronto la metafisica guénoniana con le dottrine della religione ortodossa e ne ha ricavato le convinzioni filosofiche per una adesione alla religione ortodossa. Ha poi studiato la storia della Chiesa ortodossa russa diventandone cristiano praticante. Nella sua visione dopo lo scisma del 1054 la Chiesa Ortodossa rappresenta la continuità della Chiesa universale mentre quella cattolica ne rappresenta solo un ramo eretico tutt’oggi inaridito (116). Egli vede il cattolicesimo come il risultato di un processo storico di separazione iniziato nel secolo IX con l’unzione imperiale di Carlo Magno. Successivamente, con il tradimento della fede ortodossa operato da Costantinopoli al concilio di Firenze (1451), la Santa Russia è rimasta l’unico paese ad essere “politicamente libero e spiritualmente ortodosso”. Pertanto oggi vi è in essa una chiesa autocefala senza legami con Costantinpoli. Il contesto successivo ha poi sviluppato l’idea di una “Terza Roma” mentre da dopo l’epopea di Pietro il Grande coloro che non si sono mai allineati alla secolarizzazione vengono definiti Vecchi Credenti e rappresentano gli esponenti del pensiero religioso coi quali Dugin stesso si identifica.
Alexander Dugin è nato a Mosca il 7 Gennaio 1962. Figlio di un ufficiale del KGB e madre medico. Ha studiato presso l’Istituto di Aviazione dove ha sviluppato amicizie e conoscenze come Gueydar Djiemal che nel 1991 sarà il fondatore del partito della rinascita islamica. Nel 1991 ha tradotto in russo il libro di Julius Evola Imperialismo Pagano. Alla caduta dell’URSS ha fondato una associazione per gli studi meta strategici estendendo le ricerche oltre ad Heidegger e Lévi-Strauss al pensiero di Carl Schmitt, Karl Hausofer e altri contemporanei compresa la Nuova Destra francese sulla linea della rivoluzione conservatrice. Scrive Russcaya Vestch (Cosa russa), un libro in due volumi diffuso in Turchia, in Serbia e nel mondo arabo,nel quale adatta concetti geopolitici europei e americani alla situazione russa. All’inizio degli anni novanta egli collabora anche col KPRF (il partito comunista della Federazione russa) e poi passa ad elaborare articoli per il “giornale della opposizione spirituale”. Dopo l’assalto al parlamento ordinato da Boris Eltsin nel 1993 collabora con altri ambienti della politica russa ove consolida le proprie idee che vedono negli Stati Uniti il “nemico ontologico”, il male assoluto da combattere. Nel 1998 partecipa alla creazione della Nuova Università presso la quale tiene lezioni di filosofia della tradizione. Dopo che nel 2000 Putin in un discorso ai capi di Stato del Pacifico dichiara che “la Russia si identifica in generale con una nazione euroasiatica” gli articoli di Dugin cominciano ad apparire nel sito ufficiale del governo. In Francia ed in Europa comincia ad essere presentato e citato come “visto di buon occhio dal Cremlino”. Ma successivamente, da dopo il 2005 in particolare, (movimento Rodina) comincia a sviluppare giudizi critici. Oggi egli non considera Putin e Medvedev come veramente desiderosi di formare un patriottismo coerente.
La sua idea eurasiatista, che immagina la ricostruzione dello spazio economico e geopolitico post-sovietico, ha successo anche in Kazakhistan ove il leader Nazarbaev ha lanciato fin dal 1994 un progetto di unione degli stati euroasiatici. A lui sono dedicati in Europa numerosi articoli e monografie che Alain de Benoist descrive durante l‘intervista.