Parigi 1832, Rue Saint Roch. Gli abitanti del rione vengono svegliati alle tre del mattino da grida
“orribili”. Gli schiamazzi arrivano dal quarto piano del civico numero sette ove abita Madame L’Espanaye con la figlia Camille.
Dopo la forzatura del portone e successivamente della camera sul retro, chiusa da dentro, al quarto piano, appare una terribile
situazione: disordine, mobili rotti e un rasoio insanguinato sopra una sedia. Altri oggetti dettagliatamente descritti e soprattutto il corpo della giovane ancora caldo, infilato sul cammino a
testa in giù. Nel cortile selciato, il cadavere decollato della vecchia dama. Il racconto poi prosegue riportando un secondo articolo di giornale che viene illustrato al lettore nel secondo capitolo. Ecc. ecc.
Dove siamo? Siamo tra le pagine di un racconto di Alexandre Dumas, L’assassinio di Rue Saint-Roch, pubblicato sul
giornale L’Indipendente, diretto dallo stesso Dumas a Napoli tra il 1861 e il 1864. Stiamo quindi considerando una preziosa rarità della quale esistono pochissime copie al mondo. Un racconto che
sinora non era mai stato edito in volume né mai esaminato dalla critica. Ad affermarlo è Ugo Cundari, curatore, del quale dirò più avanti. Ora continuiamo il racconto.
L’indagine viene svolta attraverso ripetuti interrogatori di testi. Vengono riportate nel racconto le testimonianze di varie
persone. L’escussione dei testi e le successive verifiche portano all’arresto di Adolfo Lebon, un giovane dipendente del Banco Laffitte che era entrato in contatto con le due vittime per
consegnare valori. Ma tale conclusione non soddisfa Edgar, ospite ed amico di Dumas che narra la storia, e i due amici, mossi anche da orientamento critico verso la polizia francese, iniziano
quella che oggi chiameremmo una contro-investigazione che avviene anche con sopraluoghi autorizzati.
L’accurato esame dei luoghi e delle testimonianze, con particolare riferimento alle contraddizioni dei testi in merito alla voce
e all’accento dell’assassino, porta a ritenere errata la conclusione della polizia. I due individuano le modalità di entrata e fuga dalla camera da parte dell’assassino. Modalità che implicano
una straordinaria agilità nonché caratteristiche poco afferenti al tipo umano. Ciò viene poi confermato dalla constatazione che il ciuffo rimasto nelle mani di Madame L’Espanaye non è di capelli
umani. I successivi approfondimenti ipotetico-deduttivi conducono i due investigatori all’idea che si sia trattato di un orangotango.
Sospinti dalle proprie deduzioni i due concludono l’indagine tendendo una trappola a colui che ritengono essere il vero
testimone decisivo del delitto: il padrone dell’orango. Attraverso un annuncio sul giornale “Le Monde” essi inducono costui a presentarsi nella loro propria abitazione e in tale circostanza
ottengono la vera ricostruzione dei fatti. Un marinaio che aveva catturato l’animale nel Borneo lo aveva poi perduto a Parigi, nel tentativo di seguirlo egli aveva poi assistito alla carneficina
e sperando di riuscire a catturare nuovamente lo scimmione, aveva taciuto i fatti.
La verità viene quindi consegnata alla polizia ottenendo anche la liberazione dell’innocente Lebon. L’orangotango viene ripreso
dal proprietario stesso e venduto a buon prezzo, al Jardin des Plantes.
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Dietro a questa storia fantasiosa, che ci ripropone con pochissime varianti il
molto più celebre racconto di Poe THE MURDERS IN THE RUE MORGUE, si cela un vero giallo letterario. Un giallo che costituisce la novità editoriale su cui punta la Baldini Castoldi Dalai
nel presentarcelo con una elegante copertina e un prezzo di poco inferiore a tredici euro.
Nella copertina la cosa meno visibile è il nome del curatore,Ugo Cundari, il quale invece meriterebbe le luci della ribalta per
l’intelligente lavoro che ha condotto e al quale dobbiamo il piacere dotto e genuino di questa lettura.
Negli oltre centocinquant’anni che ci separano dalla nascita di questa storia, considerata tutt’oggi iniziatrice della
giallistica, abbiamo visto Dumas ergersi come una figura gigantesca della narrativa e solo più tardi, soprattutto con l’avvento della cinematografia, sopravanzare su di lui la figura di Edgar
(Allan) Poe. Ora in questo libro abbiamo i due scrittori accomunati da un possibile caso di plagio
letterario attorno al quale però si profilano altri retroscena biografici molto suggestivi.
Ho già postato circa
le inesattezze e contraddizioni sulla biografia ufficiale di Poe. Trovo quindi preziosa la postfazione di Ugo Cundari che ci dice delle novità anche azzardando ipotetiche fratellanze massoniche
riservate tra i due. Circostanza questa che potrebbe spiegare la ragione delle false date ecc.
In sintesi : Dumas scrive la sua storia nel 1861 vent’anni dopo Poe, ma la ambienta nel 1832 e la fa precedere da una prefazione
di undici pagine a carattere autobiografico nella quale afferma di aver ospitato in quello stesso anno un giovare americano allora sconosciuto nella sua casa a Parigi in Rue de l’Ouest ai Jardin
di Luxembourg. Questo americano bizzarro, che preferiva la notte al giorno, si chiamava Edgar Poë.
Il testo è indiscutibilmente di Dumas, proprio del suo caratteristico stile. Le circostanze in cui nascevano gli scritti e i
romanzi di appendice del periodo napoletano di Dumas sono note e portano ad escludere un plagio del quale all’epoca nessun altro venisse a sapere nulla. Ciò anche in considerazione del fatto che
Dumas componeva il racconto dettandolo direttamente ai collaboratori che scrivevano in francese e ai traduttori che scrivevano direttamente in italiano. La prassi di redazione era quindi molto
impulsiva e personale, ma al tempo stesso trasparente e collettiva.
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C’è poi la, almeno per me, succosa storia della setta rivoluzionaria. Dumas afferma nella sua prefazione che Poe si era
presentato con una lettera di Fenimore Cooper. Costui, scrittore americano autore de L’ultimo dei mohicani, faceva parte assieme a Poe e Dumas della setta massonica rivoluzionaria cui
faceva parte Alexander von Humbolt, la “Society of the Cincinnati”, anticolonialista e finalizzata a provocare rivoluzioni repubblicane in Europa. Il nonno di Poe, David era stato compagnone di
Lafayette in detta setta. Ora, nella ricostruzione di Cundari, questa fratellanza riservata e il carattere clandestino delle relative missioni spiegherebbero l’assenza di tracce circa la
permanenza parigina di Poe nel 1832. Inoltre altri indizi, studiati e riportati da altri biografi americani, porterebbero ad attività clandestine di Poe tra il 1828 e il 1832 in
Russia e, appunto, in Francia. Attività in occasione delle quali Edgar avrebbe assunto l’identità del proprio fratellastro William Henry Leonard,
morto a Baltimora nel 1831 in circostanze misteriose.
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Infine un’altra cosa molto simpatica e accattivante del libro è che è dedicato al Signor prefetto della polizia di
Napoli. La dedica è sprovvista di una precisazione che chiarisca se si tratti di un prefetto dei giorni nostri, sul quale non mancherebbero le cronache recenti, oppure il prefetto Spaventa
dei tempi di Dumas.
In ogni caso di qualunque prefetto si tratti, c’è da augurarsi che non perda cognizione delle parole di Alessandro Dumas scritte
in questo racconto nel Dicembre 1861:
“Se vi è un paese ove i furti e gli assassinii siano frequenti questi è
Napoli.
Se vi è un paese ove i furti e gli assassinii restano impuniti, è in
Napoli.
Noi non diremo, come qualche persona male intenzionata non esita, che
l’impunità dei ladri e degli assassini napolitani discende da una associazione segreta fra gli uomini della polizia e gli uomini di rapina. Diremo soltanto che … quel che abbisogna ad un prefetto
di polizia è l’amor del suo Stato.
Io conosco persone che pagherebbero per essere prefetti di polizia, non fosse
che per il piacere di scoprire delle cose che, a tutt’altri che a loro, resterebbero nascoste. ”
Cundari ci ricorda in una nota che Dumas ha annoverato tra i compagni rivoluzionari del 1830 un certo Lebon. Nel racconto il
povero fattorino di banca Adolfo Lebon, ingiustamente accusato dalla polizia viene salvato dal lavoro di ricerca della verità portato avanti dai nostri due compagnoni con passione e disinteresse.
Occorrono le sette segrete per ottenere giustizia?
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