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26 gennaio 2014 7 26 /01 /gennaio /2014 19:23
Glocal weekly memo

Con un tempismo encomiabile il Guanxj Net (network privato imprenditoriale valligiano) ha presentato l’ultimo libro di Rampini nella settimana del World Economic Forum tenutosi a Davos. L’aspetto glocal dell’evento sta nella sua perfetta puntualità. Il libro, del cui contenuto ho avuto cognizione solo attraverso un paio di presentazioni, anche televisive, è un attacco duro al sistema bancario internazionale per il suo sfrenato e cinico potere di condizionamento. Un potere cieco che dalla crisi del 2008 in particolare si sta rivelando letale per la stessa situazione globale. Un tema assolutamente centrale per il dibattito del W.E.F. che è iniziato a Davos il giorno dopo. Ad una parte della imprenditoria, quella piccola e dinamica, che rischia in proprio e compete sull’export, il messaggio radicaloide di Rampini piace e fa comodo in un momento in cui si sente ignorata, se non presa in giro, dal governo in carica. Valdagno è stata la prima piazza “local “ad organizzarne la presentazione con l’autore ed ha avuto il meritato successo. Complimenti quindi al Martini Drapelli network.

A Kiev il presidente Jankovic ha tentato una mossa di judo nei confronti della piazza ostile offrendo l’entrata nel governo ai leaders della contestazione. La mossa ha colto di sorpresa non solo i contestatori, ma anche i paesi europei che stanno manovrando quella vertenza. I media, impreparati, sono stati più di 24 ore senza dare in termini chiari la notizia, che invece è stata data subito da Russia Today, Al Jazeera ed altri. Le decine di inviati affamati di sangue rimarranno, mi auguro per gli ucraini, delusi: nessuna repressione di massa. L’amico Putin, alla vigilia di Sochi, non gradirebbe.

A Valdagno il Comune ha annunciato che i cittadini non sono tenuti a pagare la cosiddetta Mini-IMU ovvero l’integrazione/conguaglio alla tassa sulla prima casa demagogicamente abolita dai berlusconiani. L’aspetto glocal di questo fatto consiste nella smentita del mainstream nazionale che ha cavalcato la polemica fino all’accordo Renzusconi, per poi metterlo via improvvisamente dopo aver inutilmente allarmato i cittadini contribuenti onesti i quali non capivano se bisognava pagarla o no alla scadenza. Anche in questo caso è evidente che alla televisione non interessava informare, ma solo allarmare. Ecco un esempio che spiega dove nasce la cosiddetta antipolitica.

A Ginevra la delegazione siriana ha dato prova di tolleranza e lealtà accettando un incontro col mediatore ONU Lakhdar Brahimi in presenza dei manichini filoterroristi che pretenderebbero di rappresentare il popolo oppresso. John Kerry, che sulla Siria sta perdendo da un anno su tutta la linea, ha brigato per estromettere l’Iran dai peace talks, ma c’è riuscito solo in apparenza perché la delegazione Iraniana ha parlato della Siria a Davos, lì vicino sempre in Svizzera, con la piena attenzione della stampa mondiale. Ovviamente i nostri media filoamericani non l’hanno raccontata così, ma con un po’ di attenzione si possono trovare articoli, come quello su La Stampa, che informano dignitosamente.

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26 gennaio 2014 7 26 /01 /gennaio /2014 00:33
ZONA D’OMBRA, di Riccardo Bruni

Nella gestione degli affari di Stato una zona d’ombra è un evento sul quale si spengono i riflettori e si produce una versione di copertura.” (pg 338)

Ottima lettura, una delle più piacevoli dell’ultimo periodo: Zona d’Ombra, di Riccardo Bruni, edizioniAnordest 2013. Il libro certamente merita, ma io penso di avere un motivo in più per apprezzarlo con curiosità. Essendo infatti valdagnese sono stato attratto fin dalle prime pagine per capire cosa c’entrasse Valdagno con una storia di complotti politici ad alto livello ecc. E devo dire di essere stato piacevolmente sorpreso nel vedere come uno scrittore che promette bene, e che è certamente ben informato sui nostri fatti storici, abbia saputo cogliere un elemento di centralità della mia città nella storia oscura del dopoguerra.

Ma prima vediamo cosa racconta il plot.

**

Si tratta di un bel romanzo fantastorico-politico. Siamo nel 2010. Lambardi, il potente sottosegretario, sta organizzando una ristrutturazione pesante del quadro politico italiano. Si tratta infatti di far fuori i cattolici dal governo (sic) perché vogliono troppi soldi. La loro voracità, che deriva dal sistema clientelar-sanitario che hanno messo in piedi nel corso di decenni, è diventata insostenibile con l’avanzare della crisi finanziaria e bisogna trovare il modo di sostituire i loro voti. Lambardi, che nella mia lettura può essere identificato con Gianni Letta, è convinto di avere trovato una strada: Zerman.

Costui è un nuovo leader, molto dinamico e persuasivo della destra autonomista del Triveneto, un movimento che cresce di gran carriera, puntando ad una euroregione autonoma e federata.

C’è un incontro clandestino tra i due i quali concordano un piano in cui le elezioni anticipate vedranno questo fronte triveneto scalzare i cattolici nel Nordest e appoggiare il governo centrodestra a Roma. Ma lasciamo perdere i dettagli, perché Zerman muore poche ore dopo in un incidente stradale. Ed è questo che conta.

La relativa indagine viene chiusa in pochi giorni con una fretta che insospettisce il giornalista Fabrizio Baraldi il quale dà luogo ad una inchiesta giornalistica il cui svolgimento costituisce la trama del libro. Questo Francesco Baraldi, il protagonista, è un personaggio simpatico cui non mancano le buone intenzioni e le normali sfighe della vita. Vuole diventare cronista di punta nella giudiziaria. Ha 38 anni e vorrebbe sfondare entro i quaranta. Egli vede la sua occasione proprio con la biografia di Luciano Zerman che gli viene commissionata. Costui, il Zerman, è un ex filonazista, leader della ultra destra separatista del Nord Est. Prima di morire nell’incidente è stato il fondatore e leader del Fronte Nazionalista del Triveneto. Una formazione politica basata sull’idea che la Venezia Tridentina, La Venezia Euganea e La Venezia Giulia siano una unica macro regione.

Ma lo scenario fantapolitico contemporaneo, pur essendo ben fatto e sorprendentemente allusivo, non è la parte migliore del libro. Essa infatti è data dalla parte fanta-storica.

Il 20 Aprile del 1945 (pg.17) Rudolf Bauman e il capitano SS Karl Hass hanno un compito da svolgere prima del crepuscolo degli Dei. Con l’autista VANARDI partono dall’appennino emiliano per Valdagno dopo aver sentito a Radio Londra il segnale: “ippodromo ci sono le corse domani” che per lui significa che gli anglo-americani, i nemici, entreranno domani a Bologna. Non bisogna perdere tempo, occorre impossessarsi del tesoretto valdagnese. Non si tratta di soldi, ma di informazioni, ovvero nientemeno che l’archivio dell’OVRA, la polizia segreta di Mussolini.

E qui c’è il primo punto qualificante, non si tratta affatto di fanta-storia, ma di storia poco nota. Durante la Repubblica di Salò la Direzione Generale della pubblica sicurezza era stanziata a Valdagno e qui erano confluiti Guido Leto, Riccardo Pastore, Ciro Verdiani e i loro collaboratori. E’ tutto scritto e documentato nella Storia dei Servizi Segreti scritta da Giuseppe de Lutiis, storico ufficiale più volte consulente delle commissioni d’inchiesta del Parlamento italiano.

Ma Bruni narra di una sparatoria che sarebbe avvenuta durante la notte per impossessarsi di particolari liste contenute in quell’archivio e poi bruciare ciò che restava. E ciò non mi risulta. Mi risulta invece che l’archivio, molto voluminoso con migliaia di faldoni, il quale probabilmente si trovava nei sotterranei del cinema Impero (oggi Rivoli), fu consegnato con tanto di ricevuta da Guido Leto alla disponibilità del CLN locale attraverso i partigiani di Valdagno, i quali nei giorni successivi informarono e misero la faccenda in mano a Ferruccio Parri del CLN di Milano.

In ogni caso nel racconto di Bruni i quattro uomini raggiungono Valdagno nella notte tra il 20 e il 21 Aprile 1945 ed entrano furtivamente nel palazzo che ospita il dipartimento di Pubblica Sicurezza della Repubblica di Salò. Quivi sottraggono un fascicolo contenente: “Tutti i nomi. Controspionaggio, Ovra, sezioni autonome. Comunisti.” Notare che la valigetta viene presa in custodia non dall’italiano della X°Mas, bensì dall’ufficiale tedesco che comanda il gruppo.

Quanto al resto dell’archivio il racconto dice: ”In un attimo il fuoco divora ogni cosa” (pg 34).

Più avanti, a pagina 88, la narrazione ci porta all’Aprile del 1947. Il 9 Aprile 1947 data nella quale, secondo la fiction di Bruni, “nasce davvero la Repubblica italiana” in una riunione a Monreale, in Sicilia. Il testo è chiaro ed efficace e dice in sintesi che: James J. Angelton (futuro direttore della CIA) e la X°Mas, (quella di Junio Valerio Borghese) iniziano uno sviluppo ad ampio raggio del loro accordo operativo all’ombra del Piano Marshall (programma ufficiale di aiuti all’Italia). Per far questo usarono come infrastruttura di intelligence, i dati e i nomi contenuti in quella valigetta.

Ciò al fine di proteggere i molti investimenti privati, diretti verso il nuovo business siculo-mediterraneo, compresi i piani per il futuro approvvigionamento di gas e petrolio. Ma in quel frangente del 1947 le cose non vanno bene perché i comunisti si stanno allargando troppo. I contadini vogliono le terre del latifondo e bisogna fermarli per tutelare l’economia di mercato senza la quale tali investimenti non renderanno. Si punta quindi su Salvatore Giuliano che ha il carisma e sa sparare con il suo esercitino separatista. E’ la strage di Portella della Ginestra, alla quale avrebbero partecipato (nella fiction, ma purtroppo anche nella realtà, nonostante manchi tutt’oggi la verità giuridica) militari americani, mafiosi, militari italiani ex Decima Mas e soprattutto gli indipendentisti di Giuliano ai quali venne poi scaricata ogni colpa per farli fuori dal gioco. Era caduta infatti l’ipotesi di fare della Sicilia uno stato membro degli USA.

Anche queste sono cose note e ormai acquisite. In proposito c’è una bellissima ricostruzione di Blu Notte, che conservo ancora.

Ora, il merito di questa fiction bruniana è quello di ipotizzare in tale periodo la nascita di una organizzazione che disegna la composizione dell’establishment occulto che manovra l’Italia; ed è la nostra storia dal dopoguerra ad oggi. Inoltre la fiction staglia il profilo di una organizzazione finanziata per tutti i decenni successivi con fondi che provenivano dall’estero e transitavano per lo IOR (banca del Vaticano), ma si interrompevano ogni volta che istituzioni o soggetti estranei si avvicinavano alle fonti di quei flussi enormi di denaro. … In pratica ciò che è successo per la P2, per Gladio e per altre cose che hanno avuto meno rilievo, nonostante fossero più importanti. Ecco quindi la zona d’ombra.

Quando qualche inchiesta si avvicina troppo alla verità viene costruita una versione di comodo che poi viene addossata a qualche pedina da sacrificare sui media. In realtà, quando la notizia diventa di pubblico dominio, è già stato spostato tutto da un’altra parte e si è già cominciato, sotto altre forme, a fare il lavoro di prima.

****

Il romanzo è molto più di questo e a mano a mano che procede, andando avanti e indietro nel tempo con flash-backs che ricostruiscono la storia delle trame occulte nostrane, emerge una trama da thriller con inseguimenti, scontri a fuoco, rapimenti e storia d’amore. E ovviamente con finale cinico e avvincente.

Insomma chi ama il noir politico complottista, che spiega la verità in metafora narrativa e viaggia assieme al lettore per 350 pagine senza sconfinare nei mattoni anglosassoni da cinque-seicento pagine, se lo legga: Questo è un romanzo per lui.

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20 gennaio 2014 1 20 /01 /gennaio /2014 23:51
Come i sona, se bala...

Quarant’anni fa tra l’undici gennaio, ovvero il giorno in cui fece fuori Montanelli dal Giornale, e il 26 Gennaio, ovvero il giorno in cui fondò Forza Italia ed entrò ufficialmente in politica, Berlusconi Silvio iniziò il percorso di potere che stabilizzò la politica italiana. Nel senso che impedì ai post comunisti di prendere formalmente il potere che avevano perduto nel 1948. Ora, secondo il paginone di FQ di oggi, ciò rispondeva ad un piano preciso che era stato studiato fin dall’Aprile dell’anno precedente nell’ambito dell’Operazione Botticelli, agli atti dei processi Dell’Utri. Un piano che venne deliberatamente adottato in una riunione domenicale ad Arcore il 4 Aprile 1993 tra Craxi Bettino, Dell’Utri Marcello e Berlusconi Silvio. (ovvero la vecchia politica, la mafia e la finanza)

Quel passaggio, accertato giudiziariamente, fu decisivo affinché nelle regioni oscure del potere, dove si stava trattando illegalmente su mandato dei massimi livelli con la mafia e tutte le atre forze oscure che hanno interessi nel Mediterraneo, fu il segnale per chiudere la trattativa che Borsellino non era riuscito ad impedire. Craxi si tolse dalla scena e il nuovo campione diventò il mese successivo Presidente del Consiglio dei Ministri. A questo nuovo assetto della vecchia stabilità venne dato il nome di Seconda Repubblica.

Non c’è due senza tre, oggi ci pensa Matteo.

- ooo -

FQ di oggi (Lunedi) mette in prima pagina la faccia di Berlusconi Silvio per come sarebbe se non fosse truccato. Non è scienza ovviamente, è photoshop, ma è credibile e rappresenta il miglior commento iconografico per il tema al quale FQ dedica il servizio principale dell’odierna edizione: i retroscena craxo-dell’utriani della “discesa in campo” berlusconiana di 20 anni fa. Il tema mi interessa perché in queste ore sono perseguitato da una domanda insistente: ma Renzi c’è o ci fa? Intendo dire se lavora consapevolmente per i poteri che si nascondo dietro la politica italiana o se è solo un fantoccetto in mano ad essi. In ogni caso egli ha, col suo incontro ufficiale in sede PD “alla luce del sole”, riabilitato formalmente l’uomo, il campione, che quell’operazione mise in gioco. Ed ora siamo tutti nella grigia attesa che a salvarci dalla sua interminabile immanenza siano almeno le regole biologiche. Berlusconi Silvio infatti ha già superato il valore numerico che il ministero della Sanità attribuisce, nelle sue statistiche ufficiali, alla speranza di vita media maschile (76 anni e rotti) e non ci resta che sperare che la natura faccia rapidamente il suo corso per pareggiare le statistiche.

In ogni caso mi guardo bene dallo sperar morte di chiccessia: le ore xe ani par chi spèta…

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17 gennaio 2014 5 17 /01 /gennaio /2014 00:39
Agenda 2014, weekly memo.

Ci sono delle informazioni praticamente assenti nella nostra informazione giornalistico-televisiva che riporto per far, nel mio piccolo, dispetto al mainstream nostrano.

La Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2014 anno internazionale del Family Farming.

Rientra negli obiettivi della FAO e vuole valorizzare il contributo di produttività sostenibile dell’azienda familiare in agricoltura (intesa come modello). Penso sia una azione che rientra nelle pratiche soft power contro la Monsanto che ormai spadroneggia a livello globale creando problemi agli stati-nazione. (Mio)

Poi c’è lo INTERNATIONAL YEAR of chrystallography.

Rientra negli obiettivi UNESCO (scienza e cultura) e vuol far conosce al pubblico generalista l’importanza della cristallografia a raggi X.

Infine abbiamo l’anno internazionale delle SIDS (Small Islands Developping States).

Si preoccupa del fatto che se gli oceani continueranno a crescere gli Stati delle piccole isole in via di sviluppo verranno sommersi, diventando SUDS (Small Underwater Drowned States). Dobbiamo aspettarci un anno di eventi glocal organizzati da Stati Membri e stakeholders, culminanti nella Conferenza di Samoa.

Il tema rientra negli obiettivi UNFCCC che si occupa di Climate Changes e rientra nelle filiazioni dell’ormai vecchio protocollo di Kyoto.

Tra le piccole isole Grenada e le Barbados.

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14 gennaio 2014 2 14 /01 /gennaio /2014 17:38
La montagna di mezzanotte, di Blas De Robles

Il signor Bastien Lhermine, ermellino, viene scaricato dal nuovo direttore della scuola per la quale lavora come custode e costretto alla pensione. E’ il Liceo Saint-Luc, scuola dei gesuiti, a Lione. Uomo semplice, ma dal passato misterioso, vive in condominio in Rue d’Auvergne e qui organizza una festa, merenda di Natale, invitando tutti i bambini del palazzo. Alcune mamme non si fidano di quell’uomo, ma Rose Severe invece si fida, anzi ne è attratta e accetta che il figlio Paul lo frequenti. Si scopre così che costui conosce il sanscrito e il tibetano. Ma soprattutto che è dotato di grande carisma ed eserciterà una forte influenza su Paul.

Nei primi capitoli il romanzo saltella tra strategie narrative un po’ confuse, ma assume via via il carattere di una lunga lettera che una madre, Rose, scrive al figlio, Paul, per commentare e, direi, correggere il libro autobiografico che costui sta scrivendo. Sono infatti passati più di vent’anni circa da quando Rose e Paul hanno conosciuto Bastien e il suo passato segreto può oggi costituire una minaccia per la formazione del giovane. Una minaccia legata ai pericoli di ogni cultura occultistica ed esoterica. Bastien infatti era stato un componente delle brigate tibetane, un iniziato ai misteri esoterici, un monaco tibetano al servizio del nazismo e del suo delirio ariano.

Un punto chiave della vicenda è il viaggio a Lhasa. Appena tre mesi dopo aver conosciuto Bastien infatti, quando Paul era ancora bambino, era stata Rose ad infatuarsi di lui, o meglio della sua sapienza e con lui era partita per l’oriente.

Tutta la parte centrale del libro narra quel viaggio, compresa l’infatuazione amorosa di Rose per Tom, un altro personaggio importante per la storia.

Ora, una quindicina d’anni dopo quel viaggio alla fine del quale Bastien aveva trovato la sua morte in aereo, Rose ha terminato le proprie ricerche giungendo alla conclusione, per lei stessa un po’ deludente, che non c’è verità in quel sapere esoterico, e che l’implicazione del Tibet nell’occultismo occidentale è solo il frutto letterario delle contraddizioni interne alla cultura occidentale. E siccome si trova di fronte al libro scritto dal figlio, lo contro-inizia al percorso critico che lo libererà dalla pericolosa suggestione.

La terza parte del romanzo quindi immerge il lettore nella letteratura esoterica e nelle ricostruzioni storiografiche del nazismo magico di Himmler e di Rudolf Hesse.

Il viaggio in Tibet di Bastien è la ricerca della Montagna di Mezzanotte, luogo mistico elucubrato a partire dal testo di ISAIA 14, 12-15, Il quale, nella versione che si ricava traducendo in italiano il testo tedesco che Lutero tradusse dal latino, recita:

Salirò in cielo, al di sopra delle stelle di Dio erigerò il mio trono. Siederò sul monte della Assemblea, ai confini della Mezzanotte. Salirò sulle nubi più alte sarò simile all’Altissimo.”

Il nazismo si era imbevuto di questa ricerca, dalle spedizioni di Ernst Shȁfer finanziate da Himmler alla fine degli anni trenta, alle elaborazioni neocatare di Otto Rahn ove si approda ad una “montagna dell’Adunata nella più lontana Mezzanotte” vetta polare del simbolismo nordico da contrapporre alle montagne del mondo ebraico (Sion e Sinai).

Ecco questa è stata la mia letttura di un percorso narrativo nel quale appare sullo sfondo il tema della responsabilità che ha oggi la nostra generazione nel delicato ricambio generazionale in atto. La moderna ricerca di spiritualità non può essere lasciata fare alla nuova generazione con gli strumenti della nostra, vecchia, generazione, figlia di chi ha conosciuto le guerre ma credulona ed impreparata a riconoscere i rischi connessi alle avventure culturali che portarono a nazismo. Le Brigate Tibetane non son mai esistite, esistono invece libri pericolosi come Il Mattino dei Maghi, uscito negli anni sessanta, dalla scrittura di due irresponsabili autori (Pauwells e Bergier) “sotto la cui penna, la società Thule diventa il centro magico del Terzo Reich, un Ordine oscuro in grado di mutare la natura stessa del reale attraverso i legami segreti dei suoi iniziati con il Tibet!”.

*** *** ***

E’ una lettura che può risultare piacevole, anche se non è stato questo il mio caso. L’autore, Jean-Marie Blas De Roblès, viene presentato in terza di copertina come una personalità di origine franco algerina poliedrica e poliglotta che ha vissuto il mondo. Per me è stato curioso notare la notevole somiglianza della sua foto con il nostro giornalista Gad Lerner, al punto che non riesco a non immaginarmelo ebreo come, appunto, quest’ultimo. In ogni caso mi appare chiara una motivazione quasi didattica alla scrittura di questo romanzo, laddove l’autore mostra notevole erudizione ed anche avversione per i temi del complotto e della sua letteratura.

Siamo alle solite: la ragione è il bene, il complotto è il male. Come se il complotto appartenesse alla sfera dell’irrazionale, come se la Ragione, quella di Kant, non fosse in crisi. Come se la verità non fosse altro che una pura convenzione accademica nel tempo cangiante. Ciò che era vero ieri è falso oggi e viceversa.

Perciò Basten era un bugiardo … “ma preferisco sapere che era un bugiardo piuttosto che uno sbirro dei nazisti.” In pratica è un bugiardo, sì, ma buono. Anzi addirittura è stato lui a tracciare il percorso di demistificazione seguito da Rose. Una madre della quale riporto le ultime parole della lettera/testamento intellettuale al figlio: “… tu non devi riportare il racconto di Bastien senza ristabilire la verità. Sarebbe un atto criminale, Paul, dico sul serio! Concludi il tuo romanzo lasciando il minimo dubbio sull’esistenza di queste brigate e contribuirai al declino della razionalità che oscura gli inizi del nostro secolo, un vasto groviglio di cervelli da cui trae nutrimento la più remota mezzanotte degli uomini. Se esiste qualcosa di peggiore della religione, è il mito; la letteratura non è certo in grado di cambiare il mondo, ma ricordati che ha ancora i mezzi per tenere insieme ciò che lo disgrega.”

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La Montagne de minuit è uscito in Italia nella primavera del 2011, con la traduzione di Marcella Maffi, dopo che Sperling e Kupfer ha comprato i diritti per le Edizioni Frassinelli.

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12 gennaio 2014 7 12 /01 /gennaio /2014 18:43
SI VIS PACEM PARA BELLUM

I nostri padri latini, la cui cultura era espressione di un impero particolarmente efficiente ed aggressivo, legavano la fattibilità della pace all’esistenza di condizioni operative per la guerra. Il loro modus operandi era anche caratterizzato da una visione della pace nota come “pax romana”, che significa tout court desertificazione. Ciò nonostante il significato convenzionale del loro motto “Si vis pacem para bellum” non è affatto “se vuoi la pace FAI la guerra” bensì “se vuoi la pace PREPARA la guerra” … E, soprattutto in un mondo atomico e dronico, cari amici, la differenza è enorme.

Ora noi, in questi tempi di coppie gay legittimate, siamo difronte ad una altra coppia anomala. La strana coppia: Sharon/pace.

In questi giorni di lutto sharoniano infatti, l’entourage mediatico occidentale tenta di veicolare l’idea che il ministro della difesa israeliana che concepì, pianificò e ordinò l’invasione del Libano nel 1982 per poi lasciar fare il massacro di Sabra e Chatila sotto gli occhi della sua giurisdizione militare, fosse un pacifista.

Mah!

La cosa è ostinatamente marcata dai quotidiani e dai telegiornali. Anche se, per la verità, nei servizi e nei coccodrilli dei professionisti seri, ovvero quei giornalisti che cercano di conservarsi tali, ciò non appare, ma allora ci pensa il direttore intervenendo col titolo.

Ne è un esempio ilSole24Ore di oggi, che titola:” Muore Ariel Sharon: <<falco>>in battaglia, leader che tentò la pace”. Tale titolo si riferisce ad un servizio che rinvia ad un paginone interno ove campeggiano due commenti; uno dedicato ad Ariel quale leader politico, firmato Ugo Tramballi, l’altro dedicato a Sharon in quanto militare firmato, nientemeno che Luttwack. Se non fosse per questi due commenti, in particolare quest’ultimo, con quel titolo a pagina otto non ci andrebbe nessun lettore di buon senso, ma come resistere all’analisi di Luttwack?

Perciò andiamo a pagina otto.

Ebbene qui troviamo i due commenti impaginati in modo assolutamente irrazionale, ma tale da obbligarti a leggere il famoso titolo ove si dice che Sharon “tentò la pace in politica”.

Ma il bello è che quell’articolo, firmato V.D.R. che qualcuno potrebbe divertirsi a prendere per “Voci dalla Rete”, con l’idea di uno Sharon pacifista non c’entra proprio per niente! Vi si descrive anzi un leader visto con sospetto dagli stessi USA, un politico abbagliato dal liberismo (vedi foto), uno Sharon che da Primo Ministro si occupò di scelte economico strategiche per il “rilancio” economico di Israele. A questo obiettivo, resosi conto che “Israele non avrebbe potuto reggere il peso finanziario e militare” di quel territorio, risponderebbe in realtà la scelta di cancellare i 25 insediamenti ebraici della Striscia di Gaza. Quindi Sharon non fece spostare forzatamente i propri coloni per ottenere la pace con Abu Mazen, ma mascherò come tale una pesante ristrutturazione politico militare.

Insomma siamo al ridicolo. Ugo Tramballi traccia un ritratto politico di Sharon, che chiama amichevolmente Arik, tutto centrato sulla sua durezza ed unilateralità. Questo Sharon di Tramballi ha un curriculum da guerriero ed è un “sionista pragmatico”. Ciò nonostante, per quanto a prima vista appaia irragionevole, “è stato il primo israeliano a ritirarsi da un territorio palestinese”. E “guidati da un uomo come lui gli israeliani erano pronti a scrollarsi di dosso la questione palestinese.” Peccato che non l’abbiano fatto, direi, siamo nel 2005…

EDWARD LUTTWACK, consigliere militare strategico di prima scelta, è molto più distaccato e preciso. Egli ci ricorda che Sharon violò varie norme internazionali (ad esempio fece uccidere i prigionieri egiziani per non intralciare operazioni sul campo), creò, sempre da capo militare, una squadra speciale, la famosa 101, senza divisa e senza disciplina militare che agiva con modalità criminali e sconfisse ed umiliò l’esercito egiziano violando gli ordini scritti dei suoi superiori. Notare che portare avanti azioni senza divisa, o addirittura con falsa divisa, e la sistematica violazione del proprio manuale operativo costituiscono evidenze sufficienti per l’imputazione e il mandato d’arresto dei criminali di guerra. Insomma Luttwack non descrive certo Sharon come uomo di pace. Anzi dice esplicitamente che Sharon “era troppo anticonvenzionale persino per un esercito anticonvenzionale come l’Israeliano”. Molto chiaro, grazie Luttwack. E non occorre essere laureati in lettere per sapere che “anticonvenzionale” non significa essere un po’ sbarazzini e monelli, ma significa essere contro le convenzioni. E qui si tratta della Convenzione di Ginevra.

*** *** ***

Ma allora perché, a quale impellente esigenza risponde, questa ostinazione titolistica a farci bere l’idea di un Ariel pacifista?

Penso che derivi dall’ansia di non retrocedere sui negoziati di pace palestinesi. Penso che derivi dalle veline della NATO. Penso che una delle persone più turbate dalla morte di Sharon in queste ore, e non per lutto ma per ansia da insuccesso, sia proprio John Kerry.

Il fallimento del negoziato di pace israelo-palestinese in corso costituisce infatti una eventualità insostenibile per i paesi dell’area NATO. Un rilancio del conflitto costerebbe troppo e l’Occidente non può mettere in piazza il fatto che non ha più i soldi per fare la guerra, deve far finta di essere buono e credere nella Pace come valore universale. In queste ore inoltre deve lasciare che i cinesi investano serenamente nei titoli di stato occidentali e rendere credibile la prospettiva di stabilizzare definitivamente la situazione entro il 25 Maggio, data della preannunciata visita papale ai due Stati.

Solo con questa prospettiva Putin potrà evitare la militarizzazione delle relazioni diplomatiche, l’IRAN potrà confermare e ratificare l’accordo nucleare e Cina, India e Brasile potranno investire il loro eccesso di liquidità nelle economie occidentali. Determinando finalmente le condizioni per la ripresa.

Senza questa prospettiva l’occidente va alla morte. I soldi del Qatar non sono infiniti. Occorre quindi mettere in riga Netanyahu, il quale sta tentando un gioco troppo pericoloso: rilegittimare il modello sharoniano.

Ancora una volta infatti Ariel rompe le scatole. Accidenti… Se fosse morto dopo il 25 Maggio sarebbe stato meglio per tutti.

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11 gennaio 2014 6 11 /01 /gennaio /2014 19:14
De grandi e morti parla ben e lassa stare i torti.

La notizia relativa morte di Ariel Sharon, sabbatina, arriva non certo inaspettata, anzi pre-sondaggiata con moderne tecniche di inganno dell’opinione pubblica. Si dirà che sono ormai solo i fissati come me a sostenerlo, ma il Mossad non è certo estraneo ai piani di gestione della notizia. L’aspetto da cogliere è che vengono utilizzati i social networks per l’assaggio tattico dell’impatto. Su Facebook infatti era uscita la notizia, di venerdì, e gli stimolati followers avevano già iniziato a inviare commenti. E’ quindi arrivata la smentita della notizia e la sua gestione sabbatina. Ora Israele tace per osservare sia il riposo sabbatico che il comportamento dei sistemi infomativi dei vari paesi all over the world.

Il punto chiave è che la vera vox in capitulo da ascoltare in questo caso viene diluita tra gli encomi più o meno sinceri degli alleati occidentali.

Ma ovviamente non può sfuggire. Siamo in piena trattativa per la soluzione “due popoli due Stati”, certamente auspicabile, e rischiamo in tal frangente di sorbirci l’enfasi di coloro che vorrebbero dedicare alla figura di Ariel un tributo simile a quello, ipocrita e sproporzionato ma umanamente doveroso, recentemente dato a Mandela.

Perciò si dica ciò che si vuole, si dica che è solo un giudizio emotivo, ma si dica ciò che i Palestinesi dicono di Ariel:

“Un criminale con le mani sporche di sangue palestinese.”

***

E’ un fatto accertato, ed ammesso dagli atti ufficiali dello Stato di Israele medesimo, che Ariel Sharon, ministro in carica, all’alba del massacro di Sabra e Chatila venne contattato, informato e reso edotto con precisione su ciò che stava per accadere. Si tratta di un contato diretto con la direzione operativa che stava sul campo ed egli non mosse un dito, ma lasciò fare deliberatamente. A me basta questo; non occorre neanche seguire coloro che dichiarano tutt’oggi a gran voce che quello fu in realtà un massacro da lui voluto e pianificato: quello fu un crimine contro l’Umanità e si svolse sotto il suo consapevole silenzio. Un crimine noto, denunciato, accertato, ma rimasto senza processo. Oggi Ariel Sharon muore senza che la giustizia internazionale lo abbia mai dichiarato criminale di guerra, ma solo perché una comunità internazionale insabbiata nella propria diplomazia, a differenza di quanto avvenuto con i criminali della ex Jugoslavia non ha avuto la capacità di incriminarlo.

Per questo io mi sento legittimato a credere in ciò che dicono le sue vittime; in ciò che dice Fatah. I due grandi rivali di quella storia non possono essere messi sullo stesso piano.

Onore all’eroe Jasser Arafat. Rispetto umano per Ariel Sharon. Sic transit gloria mundi.

Ma per quanto riguarda me, il mio intimo pensiero, voglio onorare l'insegnamento della mia famiglia:

"de grandi e morti parla ben. No ocor mia che te li basi.

Sàra la boca e tasi!"

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9 gennaio 2014 4 09 /01 /gennaio /2014 15:44
La Caccia: il caso Haradinaj

Nel 2005 l’ufficio di Carla presenta l’atto di incriminazione relativo ad Haradinaj, da pochi mesi eletto Primo Ministro in Kossovo. Diciassette capi di imputazione per crimini contro l’umanità e altri venti per violazione delle leggi e consuetudini di guerra. Si pone il problema del suo arresto e della sua estradizione all’Aja. Haradinaj, sorprendentemente, ma meritoriamente, si dimette e si consegna il giorno dopo rilasciando alla stampa una dichiarazione di innocenza. Nel Marzo 2006 la Camera giudicante concesse ad Haradinaj un permesso senza precedenti che gli permette il rientro in patria per l’esercizio dell’attività politica. Tale decisione è apertamente sostenuta e richiesta dalla Unmik, la forza internazionale, come condizione auspicabile per la governabilità del Paese. L’anno successivo egli stesso si riconsegnò di propria iniziativa al Tribunale per facilitare il completamento del processo.

Il 3 Aprile del 2008 egli venne assolto da ogni accusa.

Il lessico formale e distaccato del libro di Carla sorvola, forse per signorilità, sul fatto che alcune delle accuse da lei ritenute ampiamente provate, sono agghiaccianti. E devo dire che, per quanto io sia convinto che chi, come lei, acceda a quei livelli di responsabilità internazionale non possa certo essere un ingenuo angioletto, mi risulta difficile immaginare una Carla Del Ponte che inventa per eccesso accusatorio accuse come la seguente: Lo stupro di una sposa rom eseguito prima da Haradinaj e in seguito dai suoi uomini. Allo sposo sarebbero state strappate le unghie. Le altre persone sarebbero state prima costrette a mangiare le orecchie tagliate degli altri invitati del banchetto, poi sodomizzati e infine tutti uccisi. (Wikipedia)

In ogni caso all’epoca di questa dura sconfitta subita dal Tribunale, il mandato di Carla Del Ponte era già scaduto e la sua sostituzione effettuata. Appare inoltre chiaro che Haradinaj, cosi come gli altri illustri uomini di governo del Kosovo, si era sentito sicuro fin dall’inizio. L’Uck fu concepita, svezzata e coccolata negli Stati Uniti e da essi protetta. Lo stesso generale Wesley Clark ebbe svariati e continui contatti con quel gruppo dirigente e Haradinaj per tutto il periodo (tre anni) del processo ebbe continui ed ufficiali contatti ed incontri con generali, direttori, ministri, capi di stato ecc. di tutto l’occidente democratico.

Carla Del Ponte, amica e collaboratrice di Giovanni Falcone, titolare di altre decine di formidabili inchieste, ebbe a dire, in una intervista all’Espresso, la seguente, oggi lapalissiana, verità:

“… mi hanno dato l’incarico e forse non si immaginavano che avrei fatto così bene.”

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7 gennaio 2014 2 07 /01 /gennaio /2014 15:36
L'UCK  e il contrabbando di organi

Nel corso di mesi estivi del 1999 albanesi kosovari avevano trasportato oltre il confine albanese trecento persone rapite. I più giovani venivano nutriti e visitati da medici presso strutture e capannoni a Tropoje, Kukes e altre località nel nord del territorio albanese. Nei dintorni di Burrel venne anche identificata una struttura, una casa gialla, al cui interno era stata allestita una sala operatoria ove venivano espiantati da chirurghi gli organi dei prigionieri. Tali organi venivano quindi inviati in aereo presso cliniche chirurgiche occidentali per essere piantati sul corpo di pazienti paganti. La ricostruzione del libro di Carla Del Ponte dice chiaramente che quei prigionieri erano perfettamente consapevoli del proprio destino, che prevedeva di essere tenuti in vita dopo il primo espianto per essere poi uccisi al fine di sfruttare altri organi. Alcuni collaboravano alla sepoltura dei vari cadaveri che l’attività produceva, altri chiedevano, inutilmente, la morte immediata. Il contrabbando si svolgeva con la conoscenza e il coinvolgimento attivo di ufficiali intermedi e superiori della Uck.

I fatti si svolsero nel periodo immediatamente successivo ai bombardamenti NATO, quando sul territorio ancora non operavano forze dell’ordine istituzionali. Vi sarebbero state personalità affidabili con le quali collaborare quali ad esempio, dice la Del Ponte, Ibrahim Rugova, ma non disponevano di uffici e/o strutture operative. Pertanto il Tribunale dovette servirsi della NATO, la quale si assunse il compito “con scarso entusiasmo”, per l’inchiesta sul campo.

Nel 2000 vari esponenti della direzione politico militare Uck finiscono nel mirino del tribunale. Tra questi in particolare Hasim Thaci e Agim Ceku. Entrambi divenuti successivamente primi ministri del governo kosovaro.

La successiva collaborazione col generale italiano Fulvio Mini, comandante della Kfor nel 2002, conduce alla identificazione fotografica dei siti collocati nella Albania settentrionale, utilizzati come fosse comuni. Tra questi la famosa “casa gialla” usata come clinica clandestina per l’espianto di organi. Si formulano le accuse e nei mesi successivi inizia una campagna di attentati e uccisioni a Pristina aventi per obiettivo testimoni e collaboratori del Tribunale.

A giudizio di Carla De Ponte i programmi di protezione dei testimoni sono insufficienti di fronte alla forza e alla coesione culturale che caratterizza l’illegalità locale. Il processo alla fine produce assoluzioni.

Altri paesi, come ad esempio la Francia, diedero molto spazio allo scandalo del contrabbando degli organi evidenziando apertamente come si trattasse di una strada illegale, ma efficace e coperta, per l’autofinanziamento delle attività Uck. Ma in Italia, paese apertamente schierato a favore dei trapianti e delle donazioni di organi come valore etico, tale scandalo non fu mai oggetto di grandi inchieste e campagne di informazione.

E’ possibile che inchieste come questa abbiano dato moto fastidio alla Unmik, al punto da far diventare ingombrante oltre ogni sopportabilità la stessa Carla Del Ponte.

[continua ...]

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6 gennaio 2014 1 06 /01 /gennaio /2014 15:27
La Caccia della Del Ponte in Kosovo

Continuo la lettura del libro sulla caccia ai criminali di guerra nella ex Jugoslavia.

PG 286. Il Kosovo è la regione meno sviluppata di tutta la ex Jugoslavia. Nella cultura popolare è ancora diffusa la lex talionis descritta da Omero.

Durante la primavera e l’estate 1999 soldati e poliziotti serbi intrapresero un’azione sistematica di pulizia etnica in tutta la regione, rivolta verso la popolazione albanese, maggioritaria in Kosovo. Unità combattenti serbe entravano nei villaggi uccidendo ed incendiando. Ne consegue una prevedibile fiumana di profughi sull’ordine delle centinaia di migliaia. Ai confini di Albania e Montenegro la polizia kosowara sequestra documenti e averi scaricando i profughi oltre confine.

In quella terra vi sono ricchezze minerarie e medievali monasteri ortodossi. Nel tredicesimo secolo essa fu sede dell’imperatore quando la Serbia fu grande impero. Tito la fece diventare Provincia Autonoma della Serbia negli anni settanta ponendovi alla guida una fedelissima élite comunista. Ma dopo di lui, negli ultimi anni di vita della Federazione, vi furono pesanti repressioni a Pristina nei confronti della corrente indipendentista. E Miosevic salì al potere patrocinando la causa dei serbi kosovari. All’epoca la maggioranza albanese raggiungeva quasi il novanta per cento della popolazione totale. Dalla salita di Milosevic, che impose il governo serbo diretto, gli albanesi iniziarono la creazione di strutture parallele, una opposizione più o meno clandestina, ma non armata almeno fino al 1993, quando nacque UCK: l’esercito di liberazione del Kosovo.

Questa struttura nei primi anni operò dagli Stati Uniti e dalla Svizzera, ma dal ’95 quando fu chiaro che gli accordi di pace detti “accordi di Dayton” avrebbero lasciato sola la terra kosovara, iniziò i combattimenti conquistando progressivo consenso popolare. Tale consenso crebbe proporzionalmente alle politiche repressive di Belgrado fino all’apice del 5 Marzo 1998. In quella data le forze speciali serbe attaccarono la residenza del leader Adem Jashari che resistette per trentasei terribili ore di fuoco alla fine delle quali si contarono almeno ottantasei morti tra gli albanesi tra cui 24 tra donne e bambini.

I funerali furono una enorme manifestazione di massa con i rappresentanti incappucciati e armati della UCK in prima fila sotto le bare. Quella sconsiderata repressione aveva così determinato l’uscita del conflitto dalla clandestinità a la sua attenzione da parte del mondo intero. Nella primavera del 1999 la NATO già rovesciava bombe e missili su Belgrado per costringere il governo di Milosevic a ritirare le proprie forze da quella terra. I bombardamenti andarono avanti fino a Giugno quando la Serbia si ritirò. Le Nazioni Unite istituirono una apposita missione denominata Unmik per aiutare il Kosovo a sviluppare una struttura politica e una security autonome. La dirigenza militare UCK si trasformò di punto in bianco nel nuovo ceto politico, diventando l’unica legge in molti centri del paese.

Al Tribunale iniziarono ad arrivare le prime denunce e informazioni su crimini di guerra commessi da membri UCK. Tra il 12 Giugno, giorno di dispiegamento della KFOR sul territorio kosovaro, e il mese di Novembre ’99 ben 593 casi di persone scomparse o sequestrate erano arrivati al Tribunale.

Una associazione di scomparsi forni nel 2001 a Carla Del Ponte, in visita a Belgrado, una serie di prove relative ad attività criminali commesse da UCK. E qui nasce il caso più scottante per l’esperienza di Carla Del Ponte al Tribunale.

Il traffico internazionale di organi.

[continua .. ]

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