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29 agosto 2016 1 29 /08 /agosto /2016 22:44
Lacrime Impure
Lacrime Impure

Il gesuita perfetto è il titolo originale del romanzo. 140 pagine dedicate alla descrizione del noviziato gesuita. Un’esperienza dura. Inoltre la scrittura del testo risale alla fine degli anni cinquanta, in pieno clima autoritario, preconciliare.

Il giovane se ne stava dritto come un pino proprio in mezzo alla cappella, davanti all’altare infiorato, e l’intera comunità cantava in coro per lui. I suoi occhi avevano la tinta del vetro nero e c’era come una cupa energia nel suo corpo magro di religioso. Non si sentiva affatto commosso ed era giusto che un perfetto gesuita non si commovesse neppure in un istante come quello. Da mesi e mesi aveva previsto ogni atto di quella solenne e semplicissima cerimonia e ora tutto si svolgeva meccanicamente sotto gli occhi disinteressati di Andrea.” (pg 132)

Il gesuita perfetto è proprio lui, il giovane Andrea, còlto con tali parole alla cerimonia dei voti.

Andrea quindi è il nostro protagonista e narratore in questa vicenda tutta interiore, scritta e raccontata dal punto di vista più interno possibile: la sua coscienza martoriata.

Il suo travaglio è il doloroso prodotto della “teoria del discernimento degli spiriti, del Santo padre Ignazio” (pg 37). Qui la pedagogia dell’ordine ignaziano viene centellinata pagina dopo pagina da una scrittura profonda e precisa come poche altre, con uno spunto critico costante, immanente, sempre al limite del rifiuto. Ma sempre vinto, alla fine, dal cogente silenzio della disciplina, in uno scontro interiore che va oltre il lutto, oltre il desiderio represso e la mortificazione dell’anima.

Ecco, questo è il gesuita di Monicelli. E alla fine il gesuita perfetto vince e s’impone sul giovane Andrea, sulle sue ansie e sui suoi segreti, compresi gli impuri desideri omosessuali. Questo tema, l’omosessualità nei novizi, viene evocato e permea la vicenda, ma non ingombra la narrazione, la informa con una dolce latenza in un drammatico, quanto riservato, tormento morale. Ma la tattica della compagnia di Gesù per affrontare tale tematica si fonda sui trattati di ascetica, tra i quali quello del Rodriguez (dell’unione e carità fraterna), ed è tutt’altro che ingenua, anzi irriducibilmente efficace in quanto, semplicemente, non la riconosce:” ognuno avrebbe dovuto arrangiarsi per proprio conto o andarsene dalla Compagnia”. (33). I testi di studio collettivo e da mandare parzialmente a memoria sono L’imitazione di Cristo di Ignazio di Loyola e Esercizio di Perfezione di Alfonso Rodriguez.

E alla fine di questo processo, il noviziato, le lacrime della sofferenza non sono più quelle di prima, sono le lacrime di chi ha ceduto l’anima alla Compagnia, la quale quell’anima se la terrà per sempre, perché quella formazione è troppo forte, è irreversibile.

Andrea partì al tramonto, solo, con la sua valigetta. Salì sulla corriera per Roma e passò il tempo del viaggio a rincorre gli esili frammenti dei suoi antichi desideri. Una nuova casa lo attendeva e nuovi doveri, nuove mansioni, nuovi volti sconosciuti.”

Il libro non mette il lettore dalla parte dell’Ordine, lo mette in guardia da esso. E se per ogni pagina lo coinvolge e lo lega ad Andrea nella sua ricerca, alla fine lo abbandona. Quando il novizio diventa gesuita e va a Roma la sua figura si sfuoca e sfuma lentamente nelle ultime pagine lasciando al lettore il dubbio sulla natura di quelle lacrime: lacrime impure? Perché?

(Ger 48,10)

*******

L’autore Furio Monicelli era il fratello di Mario, il noto regista di fama internazionale. Produsse questo testo sotto la spinta della sua esperienza di vita. Egli non concluse il noviziato, lo interruppe e cambiò vita. Nel 1960 il dattiloscritto arrivò al premio Strega, ma non vinse. Fu ripubblicato da Mondadori nel 1999 ed è questa l’edizione giunta oggi sotto i miei occhi.

Ottima lettura, che ha ravvivato in me vecchi ricordi della mia educazione cattolica, un’educazione da me alla fine rigettata come avviene per Fratel Zanna in questo libro.

Leggere oggi un testo come questo non è né noioso, né inutile né un esercizio spirituale. E’ una esperienza di lettura rara e preziosa, un’emozione che conduce agli strati intensi della coscienza e ci lascia lievitare sopra ogni materia quotidiana. Un’emozione d’altri tempi.

Deo Gratias.

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2 agosto 2016 2 02 /08 /agosto /2016 15:03
SMERALDI A COLAZIONE, di Marta Marzotto

Morta Marta Marzotto i negozi espongono il libro autobiografico, già pronto da qualche settimana: SMERALDI A COLAZIONE. Le mie sette vite, Cairo Publishing 2016.

Ovviamente a me interessano con somma curiosità le storie che costei ebbe con comunisti e sessantottini. Perciò ho acquistato il libro con animo speranzoso. Un libro dalla cui lettura ne esce un personaggio autenticamente simpatico e indipendente, il contrario esatto della Contessa di Paolo Pietrangeli.

Prima era la cenerentola delle fiabe, poi la contessa trasgressiva che stava coi comunisti e le femministe, poi ancora l’amante scomoda di Guttuso che non stava ai giochi del potere ipocrita della Prima Repubblica, infine l’espertissima comunicatrice dell’era del lusso, maestra delle regie gossippare.

Sono curioso di vedere se verrà rapidamente dimenticata o se il compulsivo e superficiale sistema mediatico del terzo millennio ne farà un personaggio cult.

Lettura.

Laura Laurenzi, la scrittrice lifestyle che ha composto il volume, dichiara nell’introduzione che il “vero nucleo” del libro è la storia ventennale con Guttuso. Sono d’accordo. La parte autobiografica denota a volontà di battersi anche inpunto di morte per la verità sul caso Guttuso. Uno “scandalo artistico-cultural-politico” degli anni in cui comunisti e cattolici parlavano di compromettersi.

Mentre la preoccupazione che traspare nella parte redatta dalla Laurenzi è soprattutto quella di esaltare la forza di una donna che saprà rifarsi ogni volta che la vita la colpisce duro e che in particolare uscirà dalla vicenda Guttuso disegnando e firmando gioielli, orologi, borse, penne, occhiali, valigie, posate e profumi. Insomma concedendo alla vita “il permesso di passarle addosso”.

Il primo capitolo riprende il cliché degli anni cinquanta fondato sulla storia con Umberto Marzotto come favola troppo bella per essere vera. La poverissima col principe azzurro. Nel cinquantaquattro l’Italia era ancora povera ed affamata e ciò che attirava l’attenzione delle lettrici di rotocalchi in quella favola era l’accesso alla ricchezza attraverso l’amore. Ricchezza e amore. A questa visione, già spesa sui rotocalchi molti decenni fa, questa nuova biografia contrappone un teorema più semplice ed efficace: quando Marta Vacondio conobbe Umberto Marzotto era già uscita dalla povertà. Guadagnava bene nel mondo della moda di allora. Inoltre non era particolarmente bella, lo erano le sue gambe, questo sì, che furono le prime ad ispirare la pubblicità delle calze di nylon nel dopoguerra. Ma fu l’incontro di due personalità sintoniche a portare al matrimonio. A questo punto, certo, è arrivato il superlusso.

Da quel momento l’ex mondina scaltra, intelligente e carismatica entra nella dimensione del lusso e del potere galattico. E ne farà buon uso per tutta la vita. Farà anche cinque figli, uno meglio dell’altra con la commovente e dolorosa eccezione di Annalisa che morirà trentaduenne consumata dalla fibrosi cistica. Il libro ricorda che ciò avveniva anche in un periodo già particolarmente duro.

Guttuso.

Ognuno di noi ha un sogno nel cassetto: il mio sogno si chiamava Renato Guttuso. Un cassetto bene aperto però, perché non ho mai nascosto nulla a nessuno. Tutti sapevano tutto: i nostri rispettivi coniugi, i miei figli, il Partito comunista, l’Italia intera.” (Pg. 74)

Questa è la pare centrale e più ricca del libro. Oddio, alcune pagine sono un po’ troppo diluite dalle parole d’amore dell’artista. E’ chiaro che i due si amavano e che lei ebbe un ruolo notevole come musa ispiratrice. E’ chiaro che nei quadri famosi c’è lei decine e decine di volte, col suo corpo e la sua sensualità. E questo ha contribuito a fare li lei ciò che è stata “al di là delle regole di un moralismo spicciolo”. (pg. 56)

In queste pagine Marta Marzotto racconta di aver conosciuto Renato Guttuso nel 1960 e di non averlo più rivisto “per i successivi sette anni” (pg 55) quando era incinta di Matteo. In tale circostanza il pittore le regalò un suo disegno riguardante la guerra in Viet Nam. Era destinato al PCI “ma Guttuso volle darmelo ugualmente”. Questa anteposizione di Marta al Partito era quindi inscritta nella loro storia fin dall’inizio, ma il destino non vorrà che si ripeta alla fine, quando, dopo la morte dell’artista, il PCI abbandonerà Marta nella sua battaglia per la verità sulla presunta conversione di Guttuso al cattolicesimo.

Di diverso tono e di minore intensità è il racconto relativo alla storia che Marta Marzotto ebbe con l’altro comunista di primo piano: Lucio Magri.

Lo definisce un errore, ma dev’essersene accorta tardi perché la storia, secondo quanto riferisce il libro stesso, durò dieci anni. Dal 1976 al 1986. “Ho trascinato le mie storie a lungo – scrive Marta – tutta la mia vita lo dimostra”.

In effetti durò a lungo anche la storia con suo marito Umberto dal quale divorziò dopo il 1987. “Dopo tanti anni si diventa complici: sempre vicini, nello stesso letto coniugale, fino all’ultimo giorno del nostro matrimonio”. (pg 48)

Marta Marzotto ha sempre sostenuto, anche nelle assemblee delle femministe, di aver avuto solo tre uomini nella vita e in questo libro li definisce con queste parole: Umberto l’amore, Renato l’incantatore e Lucio l’errore.

Lucio Magri viene descritto come un tombeur de femmes insaziabile e ingrato. Ingrato soprattutto con Luciana Castellina, suo vero grande amore, ma anche con la stessa Marta che costui abbandonò a se stessa quando era il momento della battaglia contro la falsa narrazione sulla conversione e morte di Guttuso. “Diceva di amarmi, ma la verità e che amava solo se stesso” (pg 155)

Fu il clima da compromesso storico (nonostante fosse già politicamente morto e sepolto) a far sì che passasse sulla stampa (e anche di fatto in tribunale) la versione propalata dal vescovo, poi cardinale, Fiorenzo Angelini secondo la quale il pittore in fase terminale per cancro ai polmoni si sarebbe convertito e avrebbe adottato il proprio giovane segretario Fabio Carapezza per farlo unico erede dei diritti artistici sulle sue opere.

In quelle circostanze, difronte al profilarsi di una battaglia pubblica sui diritti legali di colui che aveva disegnato lo stemma del PCI, una battaglia legale ma soprattutto mediatica che li avrebbe contrapposti al Vaticano e ad Andreotti (che della conversione si proclamava testimone) Nilde Iotti e Napolitano scelsero il silenzio. I comunisti abbandonarono il salotto e la famiglia Marzotto pure perché spaventata da giornali e giornalisti (pg 181). Ma ciò che il libro considera inaccettabile non riguarda tanto i diritti, quanto il fatto che quel grande amore, ispiratore di cotante opere d’arte, anziché glorificato, venne sputtanato.

La parte migliore di questa mia lettura ha riguardato le citazioni e le descrizioni dei quadri di Guttuso laddove Marta indica al lettore i volti e i corpi (quasi sempre il suo) ivi rappresentati. Tutto ciò che viene detto nel libro sarebbe documentato dalle lettere che il pittore le scriveva mentre creava. Lettere in parte scomparse, in parte inutilizzabili.

Ristabilire la verità è il vero motivo per cui ho scritto questo libro”. (pg 204) Se questo è vero diventa particolarmente suggestivo e giallistico il particolare relativo alla lettera misteriosa che Guttuso, prigioniero in fin di vita avrebbe scritta di nascosto a Marta per farle sapere del raggiro in atto. Una lettera che a lei non pervenne mai, ma che finì agli atti di un ennesimo processo. La storia è raccontata nelle pagine 202 – 204 e successive…

Buona lettura.

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14 luglio 2016 4 14 /07 /luglio /2016 23:55
LiMes di Giugno: Brexit e il patto delle anglospie

Gli scenari del dopo Brexit vengono esaminati dalla monografia di LiMes/Giugno 2016.

Bruno Rosa ci ricorda che il Leave ha un fondamento storico di un certo spessore. Richiama in proposito l’Anglicanesimo come distacco da Roma e la confisca dei beni ecclesiastici come precondizione per l’accumulazione originaria che permise la rivoluzione industriale; poi la costruzione dell’impero.

Ci ricorda anche che l’adesione del 1973 non è stata molto idealistica, ma alquanto strumentale: l’economia UK cadeva a pezzi e di fronte alla prospettiva di dover rivolgersi all’FMI col cappello in mano venne accettato l’ingresso (limitato) al mercato unico.

A suo giudizio la vera domanda da farsi per capire è: “da cosa stanno fuggendo gli inglesi” o meglio: è stata forse l’UE a cacciarli? E la risposta è che non è stato negato dagli inglesi il “sogno” europeo quanto piuttosto la sua realizzazione pratica.

L’UE è diventata un luogo di mediazione dove si recitano parti a soggetto non più credibili. Il latino spendaccione contrapposto al nordico virtuoso, lo smoke and mirror: grandi annunci al pubblico per fare esattamente il contrario ecc.

Le osservazioni di Rosa mi stimolano, lungo la sua linea di pensiero, le seguenti considerazioni.

Come reagire quindi? Se a questi ormai incorreggibili difetti si risponde con meno integrazione e rilancio degli stati nazione si tirerà a campare. Se invece si imbocca un cambio forte alternativo alla germanizzazione e al populismo, allora ci saranno maggiori margini per l’evoluzione del sogno europeo. Ad esempio? Decentralizzare la sovranità dello Stato (al contrario del suo rafforzamento per aver maggior forza contrattuale nella negoziazione dei margini di flessibilità) in due direzioni: verso l’alto e contemporaneamente verso il basso. Aggregare macroregioni transnazionali (Pirenei franco/spagnoli, Piemonte/Provenza, Alpe Adria ecc.) tralasciando l’illusoria prospettiva degli Stati Uniti d’Europa.

L’espressione Stati Uniti d’Europa è suggestiva perché rimanda agli USA, una esperienza istituzionale riuscita, ma non è applicabile alla nostra realtà continentale per via della storia che abbiamo. La storia ci divide, ogni metro dei nostri confini è il frutto di due millenni di aggregazioni e riaggregazioni spesso sanguinarie. I confini degli Stati nordamericani sono stati tracciati col righello, le vie di comunicazione sono state inventate scopiazzando dai nativi, ingannati e sterminati. Tutta un’altra storia.

Ora Brexit può cambiare le prospettive. Se ne occupa Germano Dottori nel suo articolo, ma con un approccio filo renziano: sfruttare Brexit per strappare maggiori margini ad UE. Tuttavia in questo articolo vi sono visioni interessanti. Per Dottori infatti l’Italia assume una nuova rilevanza soprattutto nel rapporto con gli Stati Uniti. “Gli americani – scrive Dottori – guarderanno a noi (Italiani) con rinnovato interesse per creare un contrappeso all’asse renano (Germania/Francia) di per sé poco allineato agli USA”. E così potremo essere in grado di “elaborare una relazione bilaterale con gli americani che soddisfi al massimo gli interessi reciproci.” (44)

In questa foga Dottori arriva ad auspicare (quasi) una presidenza Trump. Con Hillary infatti l’Italia godrebbe di minore libertà e la nostra “nota aspirazione alla distensione dei rapporti con la Russia” ne farebbe le spese.

In ogni caso però, ci ricorda più avanti Dario Fabbri, la pressione per le sanzioni antirusse calerà con l’uscita inglese e anche quella per l’approvazione del trattato di libero scambio transatlantico (TTIP).

Gian Paolo Caselli esamina invece i possibili mutamenti nei rapporti finanziari del dopo Brexit. Egli mette in evidenza come soprattutto con la Russia si aprano per quest’ultima opportunità geopolitiche prima inesistenti, ma anche problemi seri sul piano delle riserve valutarie. Al punto che per molti circoli russi “in caso di indebolimento economico UE i mercati europei potranno facilmente essere sostituiti da quelli asiatici, in particolare cinesi”. (63)

I testi proseguono quindi con analisi molto pessimistiche (tipo suicidio britannico) delle contraddizioni interne al Regno Unito (Scozia, City of London ecc.) fino a considerare addirittura pericolanti alcune pietre miliari come il Belfast Agreement del 1998. In esso, scrive Arianna Giovannini, si dà il diritto a chiunque “sia nato in Irlanda del Nord di scegliere liberamente se essere cittadino del Regno Unito, dell’Irlanda o di entrambi i paesi. Non è ancora chiaro se nel contesto post Brexit sarà possibile mantenere tale status, ma sembra improbabile che una persona possa essere al contempo cittadino Ue ed extra Ue”. (71) Inutile ricordare che ciò mette a rischio soluzioni a conflitti inter religiosi e intracomunitari molto pesanti, che si ritenevano ormai superati.

Infine si approda alla conclusione che la grande sconfitta è proprio la City perché crolla la competitività del distretto finanziario londinese col rischio di essere addirittura tagliata fuori dalla globalizzazione.

Direi che nel suo complesso questa prima analisi delle conseguenze del voto britannico tende verso un auspicio di rilancio europeista, verso una repubblica europea che superi gli stati nazionali.

E’ ovviamente una lettura stimolante e un intervento qualificato che si distingue nettamente dal clima nebbioso degli attuali commenti giornalistici.

Buona lettura.

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2 luglio 2016 6 02 /07 /luglio /2016 19:53
Sette martiri

La commemorazione dei SETTE MARTIRI di Valdagno si riferisce ad un fatto accaduto il 3 Luglio del 1944, sempre di Domenica. Fu un episodio della Resistenza che avvenne qui a Valdagno, città medaglia d’argento al valor militare. La comunità cittadina da allora celebra ogni anno la memoria di coloro che persero la vita in tale circostanza.

Vennero fucilate sette persone catturate pubblicamente in piazza a Valdagno come rappresaglia per un attacco mortale ai militari tedeschi. Il maggiore Diebold, l’ufficiale tedesco che ordinò l‘operazione, incaricò gli alleati italiani, ovvero i fascisti armati della Brigata Nera “Turcato”, di scegliere le persone ed eseguire gli arresti. Di conseguenza "uno strumento cieco ed indiscriminato come la rappresaglia fu trasformato in operazione selettiva..."

L'apposito libro, scritto da Maurizio Dal Lago ed editato dal Comune di Valdagno, nelle pagine 18/19 si occupa della proporzione scelta per la rappresaglia. In proposito Dal Lago scrive che il famoso rapporto "uno a dieci" non sarebbe stato la regola, ma sarebbe solo il frutto di una nostra interpretazione dei fatti di Via Rasella, Quindi sappiamo perché i martiri divennero sette, ma non perché sarebbero stati otto.

*

Il 3 Luglio 1945, un anno esatto dopo la fucilazione dei martiri, era un martedì e vennero celebrati i funerali dopo la riesumazione delle salme e la loro esposizione in una solenne camera ardente ricavata presso la ex sede della Casa del Fascio, ovvero dove oggi ha sede l’Agenzia delle Entrate. Le sette bare vennero trasportate a spalla dai partigiani fino alla Chiesa di San Clemente ove fu celebrata la messa funebre. Poi nel cimitero di Valdagno ebbe luogo l’orazione ufficiale, tenuta dall’operaio Virgilio Pretto del Partito Comunista. In quella circostanza alcuni familiari dei caduti contestarono il segretario comunale (Pietro Guiot) accusandolo di essere stato complice dei tedeschi e dei fascisti. Successivamente, con la scopertura della lapide, la strada che prima veniva chiamata “del Gambero” prese il nome che porta tutt’oggi di via sette martiri.

I valdagnesi ricordano sempre in questa circostanza che i martiri avrebbero dovuto essere otto se non fosse stato per la forza d’animo di Raffaele Pretto che fuggì durante la fucilazione riuscendo a nascondersi poi tra i boschi. Nella sua fuga Pretto fu aiutato da gente di contrada e alcune contrade furono infatti l’obiettivo della repressione tedesca dei giorni successivi. A tal proposito il prof. Dal Lago ha pubblicato la riproduzione di un manifesto nel quale il Comando tedesco dichiara di aver “distrutto” il 5 luglio 1944 le contrade di Marana, Bosco, Cengio, Zovo, Bertoldi, Tomba e Ferrazza.

Tra quelle persone c'erano dei partigiani veri e propri, membri cioè di una organizzazionw clandestina che combatteva il fascismo della Repubblica Sociale e questi erano Bietolini (segretario provinciale del PCI in missione sotto falso nome) Virgilio Cenzi (falegname in fabbrica ma anche sindacalista comunista fin dal 1921) e Giovanni Zordan detto Nani Sette. Poi c'erano dei semplici cittadini antifascisti come Ceccon, Guadagnin e Ferruccio Baù, casolìn da Vilaverla, che era noto ai fascisti locali perchè il 27 Luglio 1943 aveva avuto i coraggio di salire in Comune e buttare dalla finestra le foto del Duce, Fino a Francesco Rilievo, il più giovane, il quale non centrava nente nè con la lotta partigiana, nè con l'antifascismo.

La memoria serve per non dimenticare e trarre delle lezioni dalla storia. Qui abbiamo un esempio che ci ricorda che se oggi abbiamo una certa libertà essa non è venuta gratis.

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2 giugno 2016 4 02 /06 /giugno /2016 22:04
La diplomazia di Francesco

Un paio di settimane fa IL GIORNALE se ne è uscito con la pubblicazione di un saggio sulla diplomazia vaticana.

Il titolo ovviamente è scentrato verso la odierna moda trendy per il mistero: POTERE VATICANO, la diplomazia segreta di papa Francesco. In realtà non c’è alcuna diplomazia segreta, almeno non più di quanto si possa già immaginare col buon senso, ma c’è una buona sistematizzazione del nuovo quadro diplomatico vaticano, ovvero quella riorganizzazione delle relazioni internazionali che si sta configurando sotto Pope Francis.

La tenerezza e la misericordia sono le parole che introducono lo stile di questo papa e trovano importanti esempi sugli scenari di Palestina, Cuba e, auspicabilmente in Cina. Ma non mancano i colpi un po’ più duri come in Turchia sulla questione degli Armeni o i rischi di scivoloni come in Ucraina. Nel complesso però si vede un Vaticano che opera mediazioni efficaci e che procede tracciando un “cammino di pace” in ogni direzione.

Il percorso di analisi non si sofferma sul tema del terrorismo nonostante un breve accenno al fatto che il Vaticano riceve informazioni importanti sulla sicurezza delle comunità cristiane situate nelle zone del radicalismo islamico.

Si parte dallo scorso 11 Gennaio quando Francis ha ricevuto il corpo diplomatico nella sala Regia (il cui nome si pronuncia come se avesse origine monarchica mentre sarebbe più chiaro se pronunciato con l’accento sulla penultima vocale) rilevando che il numero degli ambasciatori residenti si è ulteriormente accresciuto. In tale occasione sono stati evidenziati anche i primi frutti della sua diplomazia in termini di contatti con i paesi islamici e inviti da nuovi paesi come Pakistan o Irak.

Il gesto più eloquente della nuova diplomazia è stata comunque l’apertura della Porta Santa in Africa. Indica che San Pietro non è più il centro, ma che bisogna ripartire dai luoghi del nostro oblìo come la Repubblica Centro Africana.

Poi sono seguite le notizie di un disgelo vero come quella di Cuba che dialoga con USA, un processo che ha un sapore di rilancio di tutto il dialogo Nord Sud del mondo in momento che tirerebbe dall’altra parte. Di questo comunque si avevano sentori fin dall’estate del 2014 quando si iniziò a fiutare la portata dei movimenti di Parolin, un segretario di stato che promette assai bene.

Altri due momenti importanti sono la Palestina e la Turchia. Il primo tra questi due fronti diplomatici particolarmente critici è stato trattato sinora con notevole abilità sul piano simbolico. Francis e Peres hanno piantato un ulivo proveniente dal Getzemani nel giardino di Gerusalemme il 26 Maggio del 2014, lo stesso ulivo che poi è stato piantato con tanto di badili in mano nei giardini dell’Oltretevere da Francis, Peres, Abu Mazen e Bartolomeo (patriarca di Costantinopoli) in segno di speranza e pace per la polveriera mediorientale.

Insomma una diplomazia fatta di preghiera e spiritualità, una diplomazia del terzo millennio che manda messaggi inequivocabili.

***

Nel caso dei rapporti con Erdogan invece non c’è stato altrettanto successo.

Il punto assai critico è dato dalla vicenda degli Armeni nel secolo scorso. La comunità internazionale si appresta a dare riconoscimento a quello che potrebbe essere stato un vero e proprio genocidio tra i più grandi della storia. La Turchia moderna, nonostante ripudi tutti gli errori del passato Impero Ottomano, non riconosce quei milioni di morti come un genocidio e rifiuta tale termine. Sostiene che non ci fu alcuna persecuzione etnica, ma che c’era la guerra e gli Armeni, nonostante sudditi dell’Impero, collaboravano col nemico russo. La comunità armena superstite, diasporizzata per quasi un secolo, vuole oggi ricostituirsi con piena identità nazionale agli occhi del mondo e chiede il riconoscimento del genocidio come è avvenuto per la shoàh. L’atteggiamento del Vaticano non è per niente indifferente e i toni di Erdogan sono stati polemici. Ciò costituisce una cattiva premessa per il viaggio apostolico di tre giorni che si prevede pope Francis faccia a fine Giugno.

L’autore del saggio è il giornalista free lance del gruppo Mediaset Fabio Marchese Ragona. La lettura è buona, ma sul piano dei contenuti questa edizione de IL GIORNALE (quotidiano della destra berlusconiana) non è esattamente “fuori dal coro” come prometterebbe il logotipo.

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3 maggio 2016 2 03 /05 /maggio /2016 01:44

Si tratta di uno strano libro, pubblicato nel 2010 da Hobby & Work, che si occupa di Miti,congiure ed enigmi all'ombra della unificazione europea.

E' una raccolta, strutturata in duecento pagine, di più scritti da mani diverse. Si apre con il politologo di chiara fama Giorgio Galli, autore di saggi che indagano la relazione tra cultura politica e culture esoteriche, il quale introduce la lettura esponendo le proprie considerazioni sul valore e la attendibilità delle carte sottopostegli da Paolo Rumor.

Egli le considera interessanti ed attendibili.

Giorgio Galli passa in rassegna le “memorie riservate” di Giacomo Rumor. Egli le confronta e verifica con quanto scritto da Baigent, Leight e Lincoln nel loro secondo libro “The Messianic Legacy” quindi passa ad esaminare il ruolo avuto dal collaboratore di De Gaulle Maurice Shumann (ex ministro della difesa francese) ravvisando analogie tra i rispettivi ruoli di Shumann e Rumor in Francia e Italia. E si profila il disegno secondo cui la costruzione europea vanta protagonisti al di fuori della scena ufficiale.Sia l'elaborazione di Galli sia le carte Rumor evidenziano infatti come il Vaticano abbia da subito sostenuto, in chiave anticomunista, la prospettiva postbellica di costruzione dell'Europa.

 

 

Galli indaga le correlazioni tra il mito di Rennes-les-Chateau e le memorie rumoriane e ciò costituisce il punto di maggior sorpresa e curiosità dl testo. Coloro che hanno letto e conoscono le formidabili inchieste storico politiche dal taglio fortemente esoterico introdotte negli anni ottanta con il libro "il Santo Graal" possono infatti trovare qui un insperato riscontro.

 

Ecco quindi il tema centrale della prima parte del libro: De Gaulle e l’esoterismo.

Appare “plausibile” a Galli che gli appunti di Rumor derivino dalla cultura esoterica che era presente ai vertici del movimento di De Gaulle fin dagli anni quaranta. (pg.51) Il mito di Rennes Les Chateau ha influenzato il gollismo che a sua volta aveva un retroscena esoterico che quadra con le carte di Rumor. Ecco il portato principale del libro. Il resto è piutosto nebuloso volatile.

 

 

 

 

In un successivo post mi occupo della seconda parte, più ifficile da approcciare ma altrettanto curiosa.

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30 marzo 2016 3 30 /03 /marzo /2016 21:42
SICARI DELL'ECONOMIA

L’autore, John Perkins, ha dato alle stampe questa autobiografi professionale uscita nel 2004 con un preciso obiettivo di riscatto morale. E’ un economista pentito. Un promettente americano che ha lavorato per la MAIN di Boston come esperto in pianificazioni dello sviluppo. Egli si definisce sicario dell’economia (Economic Hit Man) perché il suo mestiere è consistito per decenni nell’indebitare i paesi in via di sviluppo al fine di mettere gli Stai Uniti d’America in grado di controllarli e dominarli. Ebbene all’apice della carriera l’autore scopre di vergognarsene, lascia il suo ruolo e si mette nelle energie alternative. Dall’esterno vede però gli effetti disastrosi di ciò che egli stesso aveva contribuito a determinare e decide di scrivere il libro.

Nel 2005 i diritti di copia per l’Italia sono stati acquistati e, con la traduzione di Giuliana Lupi, è uscito “Confessioni di un sicario dell’economia. La costruzione dell’impero americano nel racconto di un insider”. Dopo la terza ristampa Il Sole 24 Ore lo ha diffuso nelle edicole nel novembre 2013.

Penso che la scelta del quotidiano di Confindustria sia legata all’opportunità di far capire che quando l’indebitamento pubblico diventa insostenibile finisce anche ogni libertà economica e con essa anche l’autonomia di un paese, di una intera nazione.

In ogni caso il messaggio di Perkins, che non è assolutamente comunista, è chiaro: l’indebitamento è lo strumento strategico utilizzato dagli USA per il dominio globale. Ovvero la sottomissione delle economie al controllo della “corporatocrazia”. E il valore del messaggio sta nel fatto che lo dice lui, un uomo di successo, esperto in queste tecniche, che ha fatto la svolta etica.

Il tema in questi ultimi anni è di particolare attualità anche per via delle trattative TTIP ecc. infatti da quanto si può capire esso tratta proprio dei rapporti tra governi e multinazionali. Ovvero il futuro assetto della geopolitica corporatocratica.

In ogni caso il libro è una lettura utile e piacevole. Nessun trattato di economia, niente catastrofismo, niente angoscia, niente massonerie mitiche: pura narrazione di fatti. La vera ricchezza della narrazione è in effetti proprio questa. I fatti storici.

Il canale di Panama, il ciclo dei petrodollari sauditi, l’aggressione alla foresta pluviale amazzonica e tant’altro sono stati la sua vita e lui ce la racconta. Raccontandoci di fatto tutta la storia degli ultimi cinquant’anni e passa. Da leggere assolutamente.

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27 gennaio 2016 3 27 /01 /gennaio /2016 19:32
Piombo di Stella

Alessandro Stella, spiega la quarta di copertina, è direttore di ricerca al CNRS francese e ha pubblicato vari studi sulle rivolte sociali, la schiavitù, il meticciato, le relazioni di genere e la sessualità. Negli anni ’70 è stato militante dell’Autonomia Operaia nel vicentino. Egli ha recentemente scritto questo libro:

"ANNI DI SOGNO E DI PIOMBO. Una Storia di compagni nell’Italia degli anni settanta."

Il libretto di 115 pagine è pubblicato da Edizioni Arcadia Libri con la prima (e unica, credo) edizione uscita in Aprile 2015. Io ho avuto tra le mani la copia custodita nella biblioteca pubblica del Comune di Chiuppano. La pubblicazione è stata curata dalla associazione culturale Contèiner di ROANA, che si occupa anche di cultura cimbra, e dal centro ARCADIA, di Schio, di estrema sinistra.

La lettura è stata interessante, anche se la scrittura è ancora quella tipica del lessico sinistrorso anni settanta. E ha il pregio di offrire una ricostruzione dei fatti che, per quanto parziale, non è quella dei vincitori.

Tra quelle pagine infatti c'è un documento di memoria non retorica e forse più umana di quella che si può oggi ricostruire sfogliando i quotidiani dell'epoca.

Il 12 Aprile 1979 (settimana santa se non ricordo male) poco dopo le cinque e trenta del pomeriggio in centro a THIENE, nell’appartamento affittato da Lorenzo Bortoli e Antonietta Berna in via Veneto avviene l’esplosione di una bomba artigianale: 17 candelotti di Vulcan 3 in una pentola a pressione.

Seguono sirene spiegate, fermi, interrogatori e perquisizioni per tutta la notte.

Una notte durante la quale Alessandro Stella, all'epoca forse il più alto dirigente di Autonomia Operaia nel vicentino, informato dell'esplosione si rende conto della potente reazione delle forze dell’ordine e lavora per fermare l’attuazione della “notte dei fuochi”. Con questa espressione, notte dei fuochi, si intendeva un momento apicale di lotta violenta da attuarsi con armi ed esplosivi in tutto il Veneto simultaneamente. Autonomia Operaia, "AO", era una organizzazione politica di estrema sinistra insurrezionalista. Le cui azioni violente e distruttive erano dirette contro obiettivi materiali quali aziende, sedi, caserme ecc.

Quella prevista per quella notte è considerata particolarmente importante dai militanti pechè era stata dagli autonomi programmata in risposta al più importante evento repressivo: 7 Aprile di Calogero. Ovvero una retata che aveva portato in carcere la struttura di vertice ed intermedia di AO.

Pietro Calogero era il giudice che all'epoca portava avanti una inchiesta, centrata su Padova e la sua università, seguendo un filone investigativo secondo il quale il docente universitario Toni Negri era non soltanto il numero uno di AO, ma anche il punto più alto di direzione di tutta la lotta armata italiana, Brigate Rosse comprese.

Quella notte dei fuochi nella caserma dei carabinieri di Bagnoli, nel sud padovano, un nucleo autonomo piazzava una bomba con lo stesso tipo di esplosivo.

A Thiene intanto i corpi sono straziati e i carabinieri durante la notte organizzano un riconoscimento che coinvolge senza troppi riguardi genitori e parenti. I giornali del giorno dopo riportano il fatto in prima pagina; il Giornale di Vicenza in quell’occasione parla di “Gente sbandata, senza ideologie”. Una espressione che contraddice il leit motiv dei trent'anni successivi durante i quali si è sempre parlato di giovani imbottiti di ideologie dai cattivi maestri.

Nella casa sventrata vengono trovate anche armi, quali una pistola e un mitra e addirittura il mazzo dei volantini, pronti, già scritti, per la rivendicazione. Le vittime dell'esplosione sono tre, Antonietta Berna, figlia del capostazione di Thiene; Alberto Graziani, studente di medicina a Padova e Angelo Dal Santo, operaio politicizzato.

Il Corriere della Sera se ne occupa con Tobagi (futura vittima del terrorismo) il 14 Aprile, ma non fa un gran servizio, parla ad esempio di giovani con entrate economiche poco chiare. Maurizio Chierici è un po’ più accorto e si reca a Thiene, giorni dopo, a casa della madre di Alberto Graziani per una buona intervista che esce sul Corriere il 28 Aprile 1979. Ne esce una immagine più chiara: Alberto era a un passo dalla laurea in medicina, amava il volontariato ed era impegnato nel sostegno dei soggetti deboli. Era conosciuto come leaderino del Cineforum.

Antonietta al momento della esplosione stava lavorando con la macchina da cucire nell'altra stanza. Era la compagna di Lorenzo, che verrà arrestato. Angelo Dal Santo e Alberto Graziani stavano invece costruendo la bomba.

A pagina 32 Stella riassume il curriculum di Angelo Dal Santo. “Finito il liceo andò a lavorare in fabbrica, la Lima di Lugo, metalmeccanica, ove si impegnò nella lotta sindacale. Mise in piedi un gruppo di operai della sua fabbrica. Iniziò e condusse in porto una vertenza sulle condizioni di lavoro e sulla mensa aziendale, fu eletto nel CdF e poi delegato di zona dei metalmeccanici della FIM-CISL. Quando morì Angelo era conosciuto da decine di operai e sindacalisti della zona di Schio Thiene al punto che, dopo la sua morte e l’arresto di Lorenzo e degli altri compagni, i metalmeccanici della FIM-CISL diedero un aiuto importante al comitato dei familiari per costituire un collegio degli avvocati di difesa pagandone le spese.

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Il 19 Giugno 1979 Lorenzo, il logistico del nucleo, muore suicida impiccato alla finestra del bagno mentre è isolato in carcere a Verona. Ha lasciato un biglietto che non lascia dubbi sul carattere suicidiario del gesto. Suicida per amore di Antonia, morta per lo scoppio mentre nell’altra stanza cuciva a macchina i capi del suo lavoro a domicilio. Aveva già provato a togliersi la vita col Roipnol in carcere a San Biagio l’11 e il 22 Maggio. Lui faceva l’operaio ed era il locatario dell’appartamento. “Tutto casa e famiglia l’operaio arrestato per attività sovversiva”. (Gazzettino 13 Aprile).

Lorenzo Bortoli era nato 25 anni prima a Torrebelvicino e si era diplomato all’Istituto d’arte di Nove. Alessandro Stella dice di lui che era passato attraverso “la ricerca di paradisi artificiali”.

Funerali il 24 Giugno. Sepoltura al cimitero di Thiene, accanto ad Antonietta.

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16 novembre 2015 1 16 /11 /novembre /2015 18:25
Carrisi cacciatore del buio

Buona lettura. Siamo in presenza di uno scrittore che sa il fatto suo e che ci offre il meglio del suo filone al gusto di panpepato e morellino di scansano.

E’ giusto chiamarlo Thriller, all’americana perché la tensione pervade ogni pagina. Ma questa è la ricetta speciale di Donato Carrisi il quale infierisce sulla metropoli cattolica e sulla millenaria competenza vaticana in fatto di Male.

Marcus è un prete un po’ speciale che porta il segno del suo ritorno dalla morte sulla propria tempia. E c’è qualcos’altro di nascosto nella sua vita: il segno del male. Egli può leggere il male che si nasconde nella realtà. Ovvero quelle tracce del male che che Carrisi definisce anomalie.

Non è un agente della scientifica, non è un poliziotto, ma Marcus sulla scena del crimine è imbattibile perché le tracce non si sottraggono alla sua vista. Ed è un prete, anzi è un “penitenziere”.

I lettori di Carrisi lo sanno, la natura umana è attratta dalla malvagità e di essa ce ne sono vari tipi; ecco è proprio di tale ventaglio di tipologie e qualità che Marcus se ne intende. E in questa storia la lezione che Marcus impara è che: “Il modo per catturare un malvagio è capire come fa ad amare”.

Il mostro di Roma ammazza coppiette ed è furbo. Marcus è l’unico che può intuire e seguire la pista giusta, ma è tutta spirituale, se non esoterica, mentre il vicequestore Moro, per quanto esperto ed abile, può dispiegare forze d’indagine, può seminare Roma e i colli di coppiette – trappola, ma alla fine da solo non ci arriva.

Ci vuole un CACCIATORE DEL BUIO.

Inoltre ci sono i traumi infantili da conoscere. E i bambini di luce, di sale o quant’altro lo sanno bene.

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13 ottobre 2015 2 13 /10 /ottobre /2015 09:48
L'ultima notte del Rais

L’ultima notte del Rais di Yasmina Khadra (Sellerio 2015) –

150 pagine che romanzano la morte di Mohammar GEDDAFY. L’autore, algerino, si chiama Mohammed Moulesshoul ed è un militare di carriera che ama scrivere.

Un militare che scrive e pubblica con successo mi fa pensare, da qui quindi la mia curiosità.

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Notte a Sirte 19 Ottobre 2011. Geddafy riposa davanti alla tenda come lo zio tuaregh della sua infanzia che prendeva il tè nel deserto. Sente che le sue guardie del corpo dubitano, ma si sente ancora forte e sicuro, basterà la fede.

Ma si trova in una scuola abbandonata del distretto 2 e i cecchini sono appostati. Forse il rais sottovaluta e scambia due parole con l’attendente. Si rende conto che costui non sa perché succede ciò che succede in Libia e lo caccia perché aborre i suoi ragionamenti. Ma anche gli altri suoi fedelissimi come Abu Bakr, mostrano un profilo da “bandiera a mezz’asta”. La situazione è critica, vicina allo sfascio, con il rischio di bombardamenti. I figli di Geddafy con i loro incarichi militari sono deludenti.

Alla fine, nell’intimità con Amira verifica la scorta di eroina in esaurimento e rinuncia, cosa rara, ad onorarla a letto. Pensa alle donne che hanno ceduto al suo potere e a quella di cui ha abusato solo grazie al potere nel 1972. Sogna di incontrare Vincent Van Gogh nel deserto. Una visione che gli ricorda il successo del colpo di stato del 1 Settembre 1969 quando sfruttando l’assenza di re Idris, realizzò assieme ai suoi seguaci militari l’operazione “pugno di ferro”.

Geddafy vede nel suo onirico Van Gogh una sorta di ispiratore salvifico che appare in sogno per aiutarlo con messaggi e premonizioni. Anche il libro verde e il colore della bandiera nazionale da lui scelte si ispirano al cappotto di Van Gogh…

“Il potere è allucinogeno, perciò non si è mai al riparo dalle fantasie omicide “ PG61

In un colloquio col suo braccio destro Al Mansour, Geddafi perpetua il suo errore di valutazione sui pericoli immanenti e si mostra convinto che il popolo insorgerà in sua difesa perché si rederà conto che in giro per le strade della Libia c’è Al Quaeda. “Vinceremo entro la fine di Ottobre”.

Ed ha un terribile scatto d’ira quando l’interlocutore non nega ch’egli abbia commesso errori nella gestione degli affari si Stato tali da far sì che ora il popolo si ribelli. Tutto ha un prezzo, la fedeltà e il tradimento… il coccodrillo non si ammannisce asciugandogli le lacrime.

Il mattino seguente Abu Bakr gli mette assieme una scorta di dodici auto con una cinquantina di soldati ben equipaggiati tra i quali il giovane tenente colonnello Brahim Trid, “l’Otto Skorzeni personale” il giovane militare intrepido e di intelligenza superiore che gli ha messo al riparo in Algeria alcuni componenti la famiglia. Ed è previsto inoltre l’arrivo delle milizie inviate dal figlio, capo delle forze armate. Basta solo aspettarlo preparati.

Un prigioniero davanti alla morte gli dà del bastardo e questa parola turba profondamente Geddafy come le apparizioni oniriche di Van Gogh.

Chi è Albert Preziosi? E’ il vero padre di Muhammar, un pilota corso abbattuto nel deserto nel 1941 e poi salvato e curato dalla famiglia di Geddafy. Il suo padre naturale. Questo è il risultato di una inchiesta condotta dall’esercito di sua maestà re Idris quando venne esaminata l’istanza di promozione a capitano. Muhammar capì che era la verità e ruppe i rapporti con la famiglia che glielo aveva taciuto.

Inizia il bombardamento e arriva la consapevolezza di essere stati presi nella trappola finale. (pg 122) Le prossime 40 pagine sono una frenetica ricostruzione della fine di Geddafy. La colonna d’auto blindate riesce a ricongiungersi con quella del figlio, ma sarà inutile. La superiorità militare degli insurgers, in particolare per l’uso dei droni, sarà decisiva. Il cerchio si stringe ed uno dopo l’altro i protagonisti del regime cadranno sotto colpi di ragazzini super armati e indiavolati.

In questa fiction sembra che sia il popolo a linciare Muhammad Geddafy , inoltre l’autore sembra mosso da un odio personale che condisce la scena con maltrattamenti estremi degni solo di fantasie infantili.

Il momento della morte di Geddafy è stato filmato col telefonino e diffuso in tutto il mondo. La ricostruzione di Yasmina Kadra (Mohmmed Moulessoul) ne fa una iperbole rivoluzionaria come se fosse stato il popolo giustiziere a uccidere il Rais mentre in realtà sono stati solo dei barbari ultra armati e foraggiati dall’occidente.

Ma l’autore, ex militare algerino che vive in Francia, è prigioniero della propaganda antilibica e racconta una storia che non va oltre le ricostruzioni di comodo fatte all’epoca. L’enfasi viene posta sui tratti istrionici ed egopatici dell’uomo Geddafy come se l’occidente si fosse mosso per liberare il popolo da un tiranno maniacale.

In realtà dopo la caduta di Muhammar Geddafy il mondo è cambiato in peggio e oggi la situazione dei gruppi tribali libici è allo sfascio. In Libia ci sono due governi e quelli stessi insurgers che hanno linciato il rais si sparano uno contro l’altro quotidianamente senza un senso, un obiettivo un’ideale o una speranza che li guidi. Quella operazione, quella guerra, voluta da Stati Uniti, Francia ed Inghiterra, è servita solo a forgiare una leva di terroristi che ora usano le armi e gli arsenali libici in Siria contro Assad. E la televisione occidentale tace, anzi nasconde una realtà che è più cruda delle stesse fantasie vendicative di questo libro. Un racconto sull’ultima notte del rais, che lo fa parlare in prima persona senza alcun accenno alla politica di Geddafy, allo sviluppo della Libia, alla battaglia per l’autonomia e il futuro dell’Africa.

C’è da chiedersi come mai la Sellerio, che di solito ha buon gusto, si presti ad operazioni propagandistiche dal sapore ripugnante come questa.

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