Ilaria Capua è una virologa di fama internazionale, sta atterrando Florida dove inizierà a cinquant’anni una nuova vita e inizia il racconto di questo libro. Autobiografia che racconta e denuncia “una storia di scienza e di amara giustizia”.
Scrive bene, è intelligente e colta ed ha avuto una esperienza che è opportuno conoscere. Per questo il libro non è sembrato una scusa agiografica per una operazione di markenting, ma un’occasione per aggiornarsi su scienza e politica dei nostri giorni.
E' uscito il mese scorso (Marzo 2017). A spingermi alla lettura, dopo la presentazione del libro avvenuta a Valdagno, poi da Augias e da Minoli, è la curiosità di sapere se è stata vittima di infauste casualità, o se è caduta in una trappola globale.
Arriva a Orlando subito dopo la strage che ha portato per alcuni giorni il nome di quella città nei nostri telegiornali. C’è stata una sparatoria della polizia contro gente di colore. Ora Obama è in visita alla città: è l’America bellezza! Il senso di nuovo inizio è chiaro in questo primo capitolo che, come tutto il resto del libro, è stato scritto in collaborazione con Daniele Mont D’Arpizio, divulgatore.
Ci si introduce qui alla vita di Ilaria.
Contrariamente alle aspirazioni paterne Ilaria ha studiato veterinaria dopo un curriculum studentile di prim’ordine tra Roma e Perugia. Vuole fare ricerca e vuole farlo nel pubblico. Vince un concorso che la porta a Teramo e qui avvia un’esperienza di partnership col settore privato. O così o niente fondi. Le aziende hanno i dati e glieli forniscono, lei col suo laboratorio offre di fatto in cambio un servizio di controlli. Funziona, arrivano i fondi e lei comincia a produrre test diagnostici per le malattie dei volatili senza dover comprarli dagli inglesi. Impara all’estero ad estrarre il DNA virale. Congelamento, scongelamento, centrifuga, etanolo ecc. Estende il metodo all’adenovirus, all’herpesvirus e finalmente pubblica col suo gruppo. Arrivano i premi. Fa pagare stipendi e impara che ci si diverte anche in laboratorio. Tra provette e centrifughe scoppiano storie che poi finiscono, lei sposa Giovanni ma non funziona.
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie lancia un bando e lei arriva in Veneto, a Legnaro, 10 Km da Padova. Scoppia l’epidemia di influenza aviaria e l’area, che è sovrappopolata con tanti allevamenti avicoli, è sotto emergenza. Il virus si attacca alle scarpe, alle ruote e si estende con un effetto domino devastante. Abbattimenti e controlli in prima linea, tra gli allevatori veneti ai quali spiegare come si diffonde il virus. Ilaria trentenne, donna che parla ai contadini veneti di regole europee da rispettare e lo fa con accento romanesco, non può fermarsi a pensare, deve uccidere i virus. E con i colleghi veterinari che la aiutano, abbatte 17 milioni di polli in quattro mesi. Un bagno di sangue che però contiene l’epidemia. Ma a lei non piace il ruolo dell’angelo sterminatore. Perché non cercare di salvare tutti questi animali per esempio sviluppando i vaccini?
Ecco, questa è probabilmente la domanda chiave della sua vita.
Il punto centrale del problema è che una volta somministrato il vaccino l’animale immunizzato non è distinguibile dagli altri ammalati perché sviluppa gli stessi anticorpi. Ma in altri paesi, extraeuropei, i vaccini invece si usano.
A PG 32 il libro spiega il procedimento attraverso il quale si può realizzare la distinzione, messo a punto da Ilaria. Esso è stato adottato nel protocollo europeo per gli allevamenti avicoli. Si chiama DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals).
La vita di milioni di persone dipende da questa idea messa punto a Legnaro, 10 Km da Padova in una struttura pubblica a dimostrazione, osserva il libro, che non si è mai ai confini dell’impero. Con la ricerca e la determinazione il successo, l’OMS, la Commissione Europea sono a due passi.
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Diventa leader, conosciuta in tutto il mondo. Il suo gruppo passa da otto a sessanta, con donne e stranieri. Arriva anche l’amore, quello giusto stavolta: Richard uno scozzese che non parla ancora bene l’italiano. Con lui arriva Mia, cui è dedicato il libro perché un giorno lei dovrà capire. E l’esperienza della maternità a trentott’anni è forte, rischiosa e dolorosa, ma è anche grande e dà equilibrio alla sua vita. Si trasferisce ad Asiago con la madre.
Ma nel 2005 scoppia l’ennesima influenza aviaria. Si diffonde rapidamente in tre continenti, ma l’Europa con i suoi protocolli è più sicura e l’Istituto diventa punto di riferimento globale. E perciò quando un laboratorio nigeriano riesce ad isolare il virus lo manda a lei, a Legnaro dove viene decodificata la sequenza genetica. E’ fatta. Ora da lì si può partire per sviluppare test diagnostici ecc. A questo punto però, haimé, spuntano i guai. l’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole la sequenza, nessun problema, ma la vuole per segretarla in un database di Los Alamos ad accesso ristretto. Loro, quelli di Legnaro, sarebbero del club, avrebbero accesso a quel database, entrerebbero nella élite del potere sanitario globale. Premi e riconoscimenti. Ma Ilaria, interrogata la propria coscienza e i propri colleghi, dice NO. La fuori c’è il mondo in pericolo e quell’impronta digitale che lei ha per le mani è decisiva per salvarlo. No, Ilaria crede nell’Open Access e sente di non dover “rispondere ad un board il cui unico interesse è far soldi” (pg 42) e non ci sta proprio: mette tutto in un database pubblico, accessibile a tutti i laboratori del mondo.
La sequenza viene scaricata e condivisa da migliaia di fonti e si sviluppa un dibattito sulla opportunità di condividere i dati in fase prepandemica con piena trasparenza e grazie a ciò nel 2009 il virus della influenza suina verrà tracciato a tempo di record.
Nel 2007 riceve il premio Scientific American 50 per aver “promosso la trasparenza e la condivisioni dei dati scientifico in tutto il mondo” ma l’esposizione e la notorietà non le danno vantaggio, si sa, suscitano invidie. Donna, mamma, burbera, aggressiva e distaccata - così viene definita – l’aria si fa di piombo all’Istituto.
Con la prima vaccinazione per l’avaria del 2000 il fatto di aver reso pubblica la sequenza del virus ha segnato un passo davvero importane per la scienza Open Access è ciò è stato riconosciuto ufficialmente nella motivazione del premio internazionale più importante nel campo della veterinaria, il Penn Vet World Leadership Award e il tour americano per la consegna è trionfale. La motivazione dice tra l’altro che la Capua ha cambiato in modo sostanziale “la pratica e l’immagine della professione veterinaria”.
In questi anni Ilaria Capua sa già di essere intercettata perché avvertita da un biglietto anonimo, ma non capisce perché. Quando riceve un avviso di garanzia si adopera per incontrare il giudice per le indagini preliminari che se ne occupa e lo incontra il 2 Luglio 2007. L’incontro è generico e non avrà più seguito fino alla vera e propria imputazione della primavera 2013. Quando, dopo un servizio-inchiesta del settimanale Espresso si ritroverà addosso accuse pesantissime collegate al traffico di virus.
A questo punto lei è già deputato alla Camera, eletta nelle liste di Mario Monti.
La vicenda che l’ha portata ad accettare tale candidatura è abbastanza complicata e nel libro viene descritta nei capitoli centrali, dove si narra della sua vincente selezione presso il Weybridge, Central veterinry Laboratory in Inghilterra. Il posto sarebbe di grande prestigio e avvicinerebbe la famiglia al ramo anglosassone di suo marito. Ma il ministro della Sanità del quarto governo Berlusconi Ferruccio Fazio viene a saperlo e mostra di non gradire che l’Italia perda un cervello di chiara fama. La invita al ministero e le offre di impegnare il Fondo annuale per gli istituti zooprofilattici in un progetto per un mega laboratorio in Veneto sotto la sua completa direzione. Una proposta molto lusinghiera che sembra concepita per rilanciare la ricerca di eccellenza in Italia. Lei accetta e rinuncia al prestigioso progetto anglosassone. Ma Fazio rimane in carica solo fino a quando cade Berlusconi e nel frattempo le cose si complicano. In pratica sfuma tutto dopo un frustrante gingillìo di progetti per la costruzione della Torre della scienza in Veneto, a Padova.
La sua vision, quella che lei chiama One Health, non è mai stata così vicina alla possibilità di essere realizzata. Ma forse Ilaria, abituata alla precisione scientifica, non ha chiaro cosa sia il muro di gomma della politica e parte in quarta sulla pista sbagliata. Gli altri istituti zooprofilattici non sono per niente entusiasti di queste nuove idee partite dal ministro, il suo stesso istituto ha impegni di investimento precedenti che vincolano la spesa e soprattutto non c’è chiarezza sul fatto che lo stanziamento previsto dal ministro sia aggiuntivo o meno. Alla fine di dieci milioni ne restano uno e mezzo. Inutile pensare di procedere da sola, perché” forse è vero che il singolo non conta niente, se il sistema non è disposto ad ascoltare.” Non è il momento, scrive, e forse neanche il paese giusto per andare controcorrente. Intanto però le aspettative per il nuovo laboratorio si sono sviluppate anche tra i suoi colleghi e i dipendenti dell’Istituto e diventa quindi rilevante il fatto che lì vicino, a Padova, c’è un progetto promosso dalla Fondazione Città della Speranza in fase di realizzazione avanzata: la costruzione della Torre della Ricerca.
La Fondazione dispone di risorse che derivano soprattutto da un crowdfounding di successo e le ha impegnate in un progetto molto ambizioso. Il progetto riguarda l’oncoematologia pediatrica ma ad Ilaria viene consigliato da gente esperta di provare a cercare punti di contatto per un lavoro fianco a fianco. Si può intravvedere infatti una sinergia in tema di virus e sistemi di gestione time sharing con la parte della torre che si occupa di HIV pediatrico. Ilaria quindi sogna questa possibilità e si lusinga un’altra volta. Tra i vertici dell’Istituto e quelli della Fondazione avvengono incontri lusinghieri con forti strette di mano, ma poi tutto procede al rallentatore. L’Istituto dovrebbe comprare il settimo e il nono piano della Torre, la Fondazione ha fretta anche perché l’alternativa è il mutuo milionario, ma è proprio l’Istituto che non tira per concludere. Il nuovo presidente della Regione Zaia si esprime a favore del progetto ma ci sono vincoli tecnici di pubblica amministrazione, ad esempio i finanziamenti possono essere utilizzati solo per manutenzioni su terreni in proprietà ecc. ecc.; altre ipotesi di ristrutturazione dei laboratori con suddivisioni del personale non piacciono a Ilaria. In pratica si blocca tutto, la Fondazione pone un ultimatum alla fine del 2012 e l’appuntamento vien mancato.
Secondo commentatori della politica veneta il progetto “Capua in Torre” è caduto perché dietro di esso si è celebrato lo scontro interno tra la Lega di Zaia e quella di Tosi. Ilaria si dichiara “scossa, allibita, delusa e stanca” ma a chi, come me, un po’ di politica l’ha vista da vicino, risulta un atteggiamento tutto sommato ingenuo. Gli altri partner dell’Istituto, quelli che siedono nel consiglio di amministrazione ovvero la Regione Friuli e la Provincia Autonoma di Trento e Bolzano non erano interessati al progetto padovano e certo non vedevano bene il ministro Fazio. Tutto qui.
Nel capitolo settimo Ilaria si diffonde in una difesa strenua dei vaccini. Per lei i vaccini hanno salvato l’umanità e cita la poliomielite, la difterite e la meningite. Auspicherebbe che fossero gli Stati a produrre i vaccini, ma ammette che le aziende farmaceutiche hanno preso la palla al balzo e si sono ad essi sostituite. E non sono enti noprofit. E’ però giusto che sia così perché, scrive Ilaria, il trattamento medico-chirurgico che il paziente è costretto ad affrontare quando prende la malattia è molto più costoso di quello che comportano i vaccini. (pg 104)
La seconda parte del libro è altrettanto interessante. Ilaria non usa il libro per togliere sassolini dalle scarpe, ma persevera nella sua fede nella scienza ignorando i rischi che nascono quando quest’ultima interagisce con la politica.